13. Ridicole Speranze
Mason
New York City, alle quattro e diciassette di un martedì dicembrino, è la rappresentazione della pace.
Le strade sono spoglie delle luci e della folla, dei taxi gialli e delle code immense di traffico. Niente ingorghi, clacson che strombazzano, voci mescolate e indistinte.
La metropoli dorme, sotto la ragnatela delle stelle.
A parte qualche rarissimo passante, sono l'unico a camminare per le vie di Manhattan. I coni di luce prodotti dai lampioni mi permettono una visuale soddisfacente del percorso. Il quarto di luna, pallido e sottile, non basta a illuminare le vie.
Tutta questa tranquillità mi fa sentire al sicuro. In caso di attacchi da parte delle Ombre, sarò la loro unica preda. Nessuna vita da proteggere, nessun umano da trarre in salvo. Solo io.
Mark ha ristabilito la normalità in Accademia: oltre alle lezioni e agli allenamenti, abbiamo ripreso a fare anche le Sentinelle.
Come sempre, da tre anni a questa parte, a me spetta il turno di notte, in completa solitudine. L'ultima volta che qualcuno ha passeggiato al mio fianco, durante un giro di perlustrazione, è stata mesi fa, con Bridget.
E i miei pensieri corrono di nuovo a lei.
Dopo la lezione di oggi - di ieri, precisamente - il cattivo umore mi ha perseguitato. La chiacchierata con Stacy l'ha affievolito, ma non abbastanza.
Odio il fatto che la etichettino superfluamente, basandosi sulle sue origini e sul suo passato. Loro non sanno nulla. Non sanno come piangeva nell'incavo della mia spalla, come le sue lacrime mi bruciavano la pelle, come tremava fra le mie braccia. Non sanno che lo sguardo di Bridget, quella sera, era un cielo in tempesta, di nuvoloni grigi, tristi.
Non sanno che ha sofferto. Non sanno che, quando ha capito di essere diversa, le è crollato il mondo addosso.
Ma non sanno neanche dove ha accumulato il coraggio per sgattaiolare fuori dalla finestra, mollando tutto e tutti. E non lo so nemmeno io.
La mia mente è un intruglio, un gigantesco nodo che non riesco a sciogliere. Le corde sono avvolte una sull'altra, intrecciate, allacciate come fili. Districarle è impossibile. Fa male anche solo toccarle, quelle corde. Sembrano una rete elettrica di ricordi, fulminanti e dolorosi.
Posso essere il migliore a combattere, il Guerriero più scaltro e ingegnoso, ma mi manca la forza per affrontare il passato.
Mi manca la forza per affrontare lei.
Non appena l'ho vista, quel lontano giorno, mentre curiosava tra i corridoi, e ho incontrato il suo sguardo per la prima volta in assoluto, ho capito che era pericolosa. E non perché era addestrata o i suoi poteri erano superiori. No, sul fronte tecnico era innocua.
Il pericolo di Bridget dominava nei suoi occhi. In quell'oro troppo lucente, in quel castano troppo dolce.
Il tipo di persona che ti disintegra con un'occhiata.
Il tipo di persona che, dietro le iridi, nasconde un universo.
Mi concentro sui cristalli gelati che piombano dal cielo. Nevica ogni giorno, ogni notte. Passo al margine di una schiera di villette, dai terrazzi addobbati di lucine colorate e intermittenti.
Natale. Quando pronunci questa parola in presenza di umani, i loro sguardi si illuminano e un sorriso cresce loro sulle labbra. Immagino che, se Bridget fosse rimasta, mi avrebbe spiegato il motivo di tale allegria. Mi avrebbe raccontato come festeggiava il Natale, come funziona e come ci si deve comportare.
Sbuffo perché la sto ancora pensando. Perché mi basta vedere un paio di decorazioni e torna lei, nella mia testa.
Perché, al centro di quel nodo che mi ostruisce la testa e l'anima, c'è sempre stata Bridget Kelley.
Un rumore sommesso mi riporta al presente.
Scatto sull'attenti e stringo l'elsa del pugnale. Le mie dita sfiorano la superficie fredda e liscia del rubino incastonato, che adorna il cimelio di famiglia. Se devo continuare a fare Sentinelle, voglio che sia con le mie armi. Con le armi di un Evans.
Mi metto in ascolto del silenzio, cercando falle. Sento un altro rumore. È un fruscio lento, come il vento che agita le foglie.
Come un'Ombra che si prepara ad attaccare.
Schivo giusto in tempo la sfera che mi si è scagliata contro. Una palla nera, elettrica, letale.
«Magia nera, eh?» Sorrido. «Vediamo se te la cavi.»
Contro le Ombre esce fuori la mia sfacciataggine. Mi piace provocarle, portarle al limite. Voglio che mi colpiscano. Così, posso contrattaccare. Posso distruggerle. Posso vendicarmi.
Lo spirito viene allo scoperto. Il suo corpo deforme fluttua, mentre tra le sue lunghe e scheletriche dita si forma un'altra sfera.
Sistemo il pugnale nella tasca del gilet, fatta appositamente per custodire le armi. Nel palmo della mia mano crepitano scosse elettriche che si uniscono in un circolo di energia.
Magia contro magia.
Pura contro nera.
Arcandido contro Ombra.
«Fatti sotto» la sprono.
Essa non tentenna. Inizia a girarmi intorno, a formare cerchi di cui io sono il punto centrale.
Poi, in uno scatto, mi si precipita addosso. E non so dire se sia successo per colpa della mia recente distrazione o debolezza, ma l'Ombra riesce ad agguantarmi.
Le sue mani mi circondano il collo. Ghigna, perfida. Mi sottrae l'energia, che sento defluire a cascate. Tra un minuto o meno avrò perso i sensi, se non mi ribello. Oppure, sarò già morto.
Stringo i suoi polsi. Il contatto col suo corpo mi riempie di brividi. Toccare un'Ombra è paragonabile a toccare l'anima oscura di una persona.
È il puro niente.
«Non ti ricordavo così debole, Generale» dice. La sua voce è un leggero sussurro, flebile e calmo, ma pieno di odio.
Approfitto del suo momento di gongolamento. Stacco una mano dal suo polso e genero una sfera, che la colpisce nettamente. Il mostro mi lascia, facendomi cadere sull'asfalto. Torno in piedi, a fatica, recuperando fiato e forza.
«Vuoi testare la mia debolezza, stronza?» le sibilo contro.
Mi piazzo frontalmente ai suoi occhi cupi. Li fisso bene. Sembrano recipienti vuoti. Abissi interminabili.
«Adesso, è il mio turno» dichiaro, preparandomi a disintegrarla.
«Peccato, Guerriero, avevo delle informazioni interessanti. State cercando l'Erede, giusto?»
Le sfere che avevo plasmato si dissolvono. «Cosa? Cos'hai detto?»
«Vuoi sapere dov'è la Principessa?»
Estraggo il pugnale e glielo punto contro. «Parla.»
«Oh, no, non posso dirti tutto. Il mio Padrone si arrabbierebbe. La sua Principessa va tenuta al sicuro.»
Chiudo la mano libera in un pugno e serro la presa attorno al manico del pugnale. "La sua Principessa". Il disgusto e la rabbia che provo nell'udire quelle parole mi danno il voltastomaco.
«Posso dirti che è molto lontana da qui. In un altro continente. È a più di cinquemila chilometri di distanza. Quasi seimila.»
«Dove? Dimmelo» le intimo.
«Non posso, Generale. Il mio Padrone...»
Stufo del suo blaterare, la infilzo con il pugnale. L'Ombra sparisce, scomponendosi in cristalli, insieme alle mie ridicole speranze di poter ottenere la posizione specifica di Bridget.
****
Busso alla porta della suite di Mark, all'ultimo piano dell'Accademia.
Anche gli Evans ne avevano una, come ogni altra famiglia. Poi, i miei genitori e Piper sono morti, e io ho preso una stanza singola. Non potevo sopravvivere là dentro, in mezzo alle nostre fotografie e ai nostri mobili. Avevo bisogno di ricominciare, in un ambiente diverso e anonimo.
La porta si apre e sulla soglia compare una ragazzina dagli occhi celesti, con i capelli scuri e lisci. Indossa una maglietta e dei jeans, segno che non è ancora andata a dormire.
«Mason!» esclama la figlia di Mark, sorpresa di vedermi.
«Tuo padre è sveglio, Yara?» le chiedo.
«Sì, è nella sua stanza. Entra» Si sposta dall'uscio, in modo da farmi varcare l'ingresso degli appartamenti. «È l'ultima porta a destra.»
La ringrazio e attraverso il corridoio della suite, lasciandomi alle spalle Yara e il salotto. Arrivo in fondo e raggiungo il battente che mi ha indicato Yara. Busso un paio di volte e la figura imponente di Mark mi compare davanti. Quando scopre che a interrompere il suo lavoro sono stato io, mi schiaffa un'occhiata infastidita.
«Che vuoi, Evans?»
«Ho delle informazioni» esordisco.
Senza chiedere il permesso, entro nella sua camera. Rimango in piedi, davanti alla porta, che richiudo, mentre il direttore torna a sedersi alla sua scrivania, cosparsa di carte. Ha l'espressione esausta, come se non avesse fatto altro che lavorate, nelle ultime ore.
«Quindi? Che hai scoperto di talmente importante da irrompere qui alle cinque del mattino?» chiede.
«Notizie su Bridget.»
Lo sguardo di Mark si rianima. «Dimmi, dimmi.»
«Un'Ombra ha detto che si trova in un altro continente, a quasi seimila chilometri di lontananza. Escludendo l'Asia, che è troppo lontana, restano Africa ed Europa. E, a meno che non si trovi in un paese del Nord Africa, io penso che la più gettonata sia l'Europa» ragiono.
Si passa una mano sul volto, strofinandosi gli occhi. «Tutto qui?»
Annuisco e il cipiglio di Mark diventa stizzito. «Hai fatto irruzione in casa mia, alle cinque, per dirmi che hai chiacchierato con un'Ombra e che lei ti ha snocciolato informazioni sulla Principessa?» ripete, con un velo di ironia malcelata.
«È la verità» mi difendo.
«Se ti avesse mentito? Non siamo così disperati da fidarci di un'Ombra, Mason. Potrebbe essere una trappola.»
Mordo l'interno della guancia per non ribattere. Io sono così disperato da fare una cosa del genere. Farei qualsiasi cosa, pur di riavere Bridget al mio fianco, e mi stupisce che Mark non l'abbia ancora capito.
«Secondo me, dovremmo provarci» insisto.
«Ho espressamente detto che, prima di gennaio, non ci saranno ricerche» mi ricorda.
«E io ti ho espressamente detto che forse so dov'è Bridget» replico, usando i suoi stessi termini.
«Va' a dormire, Evans» consiglia, anche se arriva alle mie orecchie come un comando.
«Dobbiamo fare un tentativo.»
«Non ordinerò ai miei Guerrieri di perlustrare un intero continente solo per il tuo volere.»
«Se fosse davvero in Europa?»
«E se non fosse lì? Che facciamo, a quel punto? Un safari in Africa? In Asia? Se non fosse da nessuna parte?»
Non trovo parole per rispondere. Sto zitto. Mark ha ragione.
Quindi, mi volto verso la porta, sconfitto. Afferro il pomello, ma senza girarlo. Osservo le venature del legno bianco del battente.
«Ci arrendiamo» sussurro. «Se non è da nessuna parte, ci arrendiamo.»
«Non è una cosa che possiamo permetterci. Lo sai» mi rimprovera Mark, avendomi sentito.
«È una cosa che faremo, prima o poi. Tutti si arrendono, dopo un po'.»
Spazio Autrice
Mason sembra scoprire un indizio fondamentale per proseguire le ricerche, grazie a un'Ombra. Mark, pero, decide di non fidarsi. È molto più riflessivo rispetto a Mason, ma il nostro Guerriero non ha ancora perso del tutto le speranze. Si arrenderà davvero agli ordini di Mark o troverà un'altra maniera per raggiungere l'Europa? In fin dei conti, ormai, lo conosciamo bene.
Aspetto i vostri commenti e, se vi va, qualche stellina!
Xoxo👣
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top