CAPITOLO 6.2
Una decisione
Il sovrintendente ruotò la missiva bianca tra le mani, leggendo attentamente per confermare ciò che aveva sentito. Gli occhi si spalancarono come le labbra a forma di cuore. Il corpo si scaldò improvvisamente, le gambe tremarono e il respiro si fece affannoso. Belle non gli aveva mai scritto una lettera, e non c'era motivo per farlo. Ogni cosa che le accadeva o la preoccupava veniva sempre comunicata a Benjamin a voce, per ricevere immediatamente conforto. Era raro che accadesse, ma ogni volta rafforzava il loro legame speciale. Si amavano profondamente e la loro unica preoccupazione era la sicurezza reciproca, senza alcun romanticismo, solo un legame fraterno. Non sapeva nulla sulla missiva eppure ne era terrorizzato.
Loren si avvicinò con cautela, incoraggiandolo ad aprire la busta il prima possibile, con dolcezza e senza pressioni, consapevole che il contenuto potesse o no riguardare il caso. Si allontanò un po' incerta, non voleva intromettersi nella sua privacy, ma le circostanze la costrinsero a restargli vicino. Si chinò dietro la sua sedia, abbastanza vicina da leggere la lettera ma senza invadere il suo spazio. Il ragazzo quasi strappò la busta, facendo cadere un oggetto sul pavimento. Loren lo raccolse, mostrando all'ispettore una chiave di ferro comune. Lui non le diede importanza, concentrato solo su foglio piegato.
Mio caro Benjamin,
Voglio che tu sappia che sei una delle persone più importanti nella mia vita. Anche quando arriverai alla fine di questa lettera, non dimenticarlo mai. Di solito ti racconto tutto, ma questa volta non posso farlo. Non posso dirti le ragioni che mi stanno spingendo a fare ciò che sto per fare. Ho sempre cercato di proteggerti e sto ancora cercando di farlo. Non ho mai desiderato altro. Ti scrivo questa lettera per dirti che domani partirò da Spellmount e non posso dirti né dove vado né cosa farò. Ma non preoccuparti, starò bene, o almeno ci proverò. Non sforzarti di capire, solo io conosco le risposte che mi hanno portato a questa decisione. Non posso venire a salutarti di persona perché so che non riuscirei a trattenere le lacrime e vorrei evitare di illudermi che tutto andrà bene come se fossi tra le tue braccia...
Anche se sei vicino, mi manchi già tanto. Custodirò gelosamente il tuo ricordo, ricordando con amarezza e amore le tue carezze, i tuoi abbracci, le parole di conforto, le battute che non ho mai capito, tutti quei giorni passati insieme. Spero che tu faccia lo stesso con il mio ricordo...
Ti prego di non lasciarti abbattere. Reagisci e lascia questa città, tu che sei più coraggioso e più forte di me, tu che puoi raggiungere qualsiasi cosa se lo desideri. Ascolta, aiuta e perdona le persone intorno a te. Scoprirai un'altra verità, quella che forse non hanno mai avuto il coraggio di dirti...
Ti ho lasciato le chiavi di casa, puoi andarci quando vuoi, anche se preferirei che lasciassi questo posto. L'unico favore che ti chiedo è di proteggere mio padre e stargli accanto, perché sarà distrutto da tutto questo e cercherà di fare qualcosa. Ma ormai non c'è più nulla da fare...
Se potessi tornare indietro, ti racconterei altre cose, quei fatti che pesano sul mio cuore e sulla mia coscienza. Ho molti rimpianti, ma quelli che mi tormenteranno a lungo saranno quelli che non ho avuto il coraggio di risolvere. Tu sei uno di questi, ma adesso c'è solo un'ultima cosa che voglio dirti...
Ti voglio bene,
Belle
***
Loren sospirò accovacciata accanto all'ispettore, chinandosi sulla lettera tenuta a mezz'aria, immobile. Lo sguardo attonito, di Benjamin, rifletteva il contenuto della missiva che aveva appena letto. Con dolcezza, la ragazza poggiò una mano sulla sua gamba e la mosse accarezzandolo.
- Se solo aveste letto questa lettera prima.
- Neanche sapevo della sua esistenza... - disse Benjamin a fiato rotto.
La giovane si alzò e tornò alla scrivania, chiudendo il taccuino, i fascicoli e i documenti sparsi. Li ripose sulla libreria alla parete opposta della stanza. Si avvicinò alla mappa ancora appesa, ormai priva di segreti da svelare, e la smontò pezzo per pezzo, lasciando la parete bianca e vuota. Benjamin aveva finalmente posato il foglio, ma restava immobile, fissando il vuoto davanti a sé. Loren si avvicinò, posando le mani sulle sue spalle.
- Almeno ora sappiamo che non le è successo nulla di male - concluse con dolcezza.
Dopo avergli dato una leggera stretta sulle spalle, uscì dalla stanza e chiuse la porta dietro di sé. Attraversò lentamente l'androne fino all'attaccapanni dove era appeso il suo soprabito. Dopo aver guardato per l'ultima volta l'ufficio lontano, iniziò a camminare per le strade della città, scomparendo dietro l'angolo del quartiere che non avrebbe mai più visitato.
Benjamin si mise in movimento, sistemando ciò che rimaneva nel suo ufficio, ma all'improvviso tutto si trasformò in un mormorio distante. Ogni battito del suo cuore risuonava come vetro che si frantumava nel pavimento. Per un attimo rimase paralizzato, mentre alcune lacrime scorrevano sulla guance. La vista si offuscò lentamente e, alla fine, si ritrovò a respirare con difficoltà. Colpì il tavolo con i pugni, la paura per il suo destino fu sopraffatta da una rabbia irrefrenabile che si scagliò con violenza contro il primo oggetto a portata di mano, riducendolo in mille pezzi. Si muoveva freneticamente per la stanza, grattandosi le mani in un gesto nervoso, cercando qualcosa su cui sfogare la sua frustrazione.
Perché amava così intensamente qualcuno che non aveva esitato a lasciarlo? Perché se n'era andata? Perché? Come aveva potuto abbandonarlo, sapendo quanto fosse importante per lui?
Ma osservando il posacenere in pezzi, la rabbia evaporò, lasciando ardere un senso di colpa che si faceva sempre più vivo fra le membra del suo corpo.
- È colpa mia – sussurrò – Non sono mai stato abbastanza...- continuò a mormorare a stesso.
Le mani iniziarono a tremare e l'ansia tornò a dominare, insinuandosi anche nelle pareti circostanti, stringendolo in una morsa da cui non riusciva a liberarsi. Un grido gli morì in gola e, in ginocchio, crollò sul tappeto, abbandonandosi a un pianto che nessuno avrebbe mai udito. Ancora una volta era stato lasciato solo. L'ufficio si fece stretto, trasformandosi in una vasca d'acqua sempre più profonda. La camicia gli stava stretta, come se volesse attaccarsi alla pelle. Alla fine, quando riuscì a riprendere fiato, si ritirò verso la parete e si avvolse le braccia attorno al corpo. Ogni ricordo legato a Belle si infrangeva contro le mura della sua coscienza, accumulandosi insieme ai ricordi dei suoi genitori. La paura di essere abbandonato di nuovo lo colpì come una tempesta, rivelandogli una triste verità.
Come avrebbe fatto a rialzarsi questa volta?
***
Owen aprì la porta, guardando attentamente il buio quartiere in cui si trovava la loro casa. Tutto sembrava tranquillo, illuminato solo dalla luna, almeno agli occhi di uno sconosciuto del luogo. Per l'uomo, con la tracolla sotto il braccio, era una notte terribile, anche se silenziosa. Nulla era piacevole nel paese in cui lui e sua moglie erano intrappolati.
- Non riusciremmo a fuggire un'altra volta - sussurrò Agatha, nascosta dietro la schiena del marito.
- Dobbiamo provarci - disse l'uomo, aprendo ancora di più l'ingresso.
Owen le prese la mano e la strinse forte. Non sapeva se entrambi fossero arrivati al confine, ma avrebbe cercato di portarci almeno lei. Non poteva permettersi di perderla. Sotto il cielo stellato, continuarono a camminare velocemente, guardandosi intorno costantemente. Le loro impronte scomparivano dietro di loro, poiché avevano scelto di percorrere solo sentieri rocciosi. Un gracchiare rauco li spaventò. Owen afferrò Agatha e la nascose in un angolo, cercando riparo nell'oscurità. Il corvo li sorvolò, ma loro rimasero nascosti, spaventati da qualcosa che non c'era. L'uomo si affacciò solo un po'.
Guardò il cielo, la strada e la Cursed, che era poco distante. Poi strinse ancora più forte sua moglie e, correndo, si precipitarono nella foresta senza voltarsi indietro. Il confine era ancora lontano. Al solo pensiero, Agatha si sentì gelare e al tempo stesso eccitarsi. L'avevano già attraversato in passato, ritrovando la libertà, ma superarlo era qualcosa di orribile. Camminarono nel buio, tenendosi a distanza ma guardandosi l'un l'altro. Owen seguiva dietro, stringendo il fucile che aveva recuperato da un albero in cui l'aveva nascosto. Agatha camminava davanti, attenta a ogni ramo, a ogni ombra sul loro cammino, ignorando per un momento la strada su cui doveva prestare maggior attenzione. Poi inciampò, rotolando per qualche metro e fermandosi vicino a qualcosa che nell'oscurità non riuscì a identificare, ma che emanava un terribile tanfo.
- Tesoro!? - chiamò Owen
- Sto bene! - disse lei, tirandosi su.
La luna brillò, forse per compiacerli o forse solo per spaventarli. Agatha guardò le sue mani, sporche di qualcosa di malsano, di un colore e odore intenso che bruciava le narici. Gli occhi grigiastri del signor. Barnes la fissavano. Era atterrata sul suo cadere o almeno su ciò che ne restava. Sentì l'impulso di urlare, ma una mano le coprì la bocca. Owen la girò per non farla continuare a contemplare quell'orrore. Quella era la fine che li attendeva, se non fossero riusciti a scappare in tempo...
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