CAPITOLO 2

Polvere

La mattina seguente, davanti allo specchio della sua camera da letto, la detective Sutton si acconciò i capelli in un disordinato chignon. Li legò con un lungo e stretto nastro beige che cadde leggero sulle spalle. I pantaloni a palazzo, aderenti sui fianchi, e la camicia candida sotto un gilet marroncino non facevano altro che mettere in risalto la sua bellezza, quell'eleganza di cui i suoi cari avevano sempre parlato con ammirazione, nonostante a volte entrasse in conflitto con la sua professione. Il suo viso era pieno di lentiggini e i suoi occhi verdi trasparivano un fascino unico. Senza darsi un'ulteriore occhiata, si mise al polso l'orologio e, prendendo il soprabito e la chiave della camera, uscì nel corridoio. 

Quando raggiunse la fine delle scale, verso il piano terra, due dei suoi sensi furono rapiti, come dolci baci tra amanti. Il primo fu l'odore di uova, salsiccia, toast, pancake e un delicato profumo di caffè appena fatto. Il secondo fu la recitazione di una poesia che nulla aveva da invidiare alle grandi performance teatrali. Entrò nella prima stanza socchiusa, subito dopo la scalinata, dove, di fronte a una grande vetrata, si trovava un tavolo rettangolare con una finissima tovaglia bianca, apparecchiato con mille piatti fumanti e invitanti. 

Seduto su una delle sedie c'era un uomo ancora in vestaglia, con occhi piccoli e vivaci e una folta barba castano chiaro, che si abbinava ai suoi capelli sbarazzini. Teneva un libro nella mano sinistra, mentre con la destra, che reggeva una forchetta, cercava di afferrare un pezzo di salsiccia sfuggente. Nel frattempo, recitava con fervore una poesia ad alta e profonda voce.

- Il tempo...- iniziò come se davanti avesse un'immensa platea - ...è troppo lento per coloro che aspettano, troppo rapido per coloro che temono, troppo lungo per coloro che soffrono, troppo breve per coloro che gioiscono, ma per coloro che amano... - Continuò alzando gli occhi, guardando con un velato sorriso la giovane davanti a lui - ...Il tempo è eternità. - concluse, chiudendo il libro con una sola mano, in un solo semplice scatto, riponendolo poi accanto a sé.

- Henry Van Dyke. - commentò la donna con un sorriso.

- Lo conoscete?! 

- Uno dei miei professori ha insistito nel trattarlo.

- Ha fatto bene! - aggiunse, quell'individuo misterioso. - è un'artista meraviglioso e di tutto rispetto. - affermò ancora, addentando un boccone di carne che gli era sfuggito in precedenza. Poi si fermò un attimo a osservarla, per poi alzarsi di scatto, come risvegliatosi da un sogno - Ma che scortese e maleducato sono! - disse, gettando il tovagliolo sul tavolo e tendendo la mano alla ragazza - Lord Charles Cabot, inquilino della casa.

- Loren Sutton, inquilina temporanea. - rispose lei, stringendogli la mano e sedendosi di fronte a lui.

- Posso servirvi qualcosa, Miss Sutton, mentre aspettiamo il caffè? - chiese Lord Charles, rimettendo il tovagliolo sulle gambe.

- Prenderò qualche pancake dall'aria così invitante.

- Eccellente scelta! 

Poco dopo arrivò anche una donna che portava con sé il tintinnio di tre tazze fumanti, che posò sul tavolo già apparecchiato. La signora, di circa cinquant'anni come Lord Cabot, aveva una corporatura robusta ma una vita molto stretta. I suoi capelli erano di un biondo sporco e aveva due grandi occhi nocciola dietro un paio di occhiali rotondi e spessi. I suoi vestiti erano vivaci, di vari colori sgargianti, a differenza del grembiule bianco legato con un bel fiocco sulla schiena.

Loren non dovette aspettare che la donna si presentasse per capire che era Miss Mary, la padrona della casa, che, dopo aver posizionato le teiere al centro del tavolo e le tazze davanti agli inquilini, si sedette a capotavola tra i due ospiti temporanei della sua dimora. Emanava lo stesso odore dei suoi piatti e alla ragazza parve di vedere, nonostante gli anni di differenza, l'anziana nonna che, da un po' di tempo a questa parte, aveva deciso di esibire un atteggiamento più tradizionale, incline alla società di quel secolo.

- Buongiorno, mia adorata Mary! - disse Lord Charles, che l'aveva osservata tutto il tempo in piedi, aspettando pazientemente che si sedesse.

- A te, Charles! - ribatté la donna, ricambiando il sorriso dell'uomo e servendogli un po' di caffè.

I loro sguardi brillavano scrutandosi l'uno l'altro, ignorando inconsapevolmente la ragazza che era con loro e che li osservava interessata, guardando i loro occhi che si sussurravano parole silenziose. L'uomo le accarezzò la mano, sfiorandola appena con le dita, cercando di afferrare il caffè caldo. Le sorrise di nuovo, sorseggiando la bevanda, mentre lei spostava la sua attenzione sulla tazza davanti a sé, senza però annullare completamente il loro contatto visivo. Loren aveva letto solo nei libri quell'atteggiamento manifestato dai due, poiché, anche avendo avuto un'infanzia e una vita felice, non aveva mai avuto sotto gli occhi un modello di coppia che le avesse fatto nascere la voglia di trovarsi un marito.

- Presumo che voi, in questo caso, siate l'assistente di Mr. Taylor. Avete dormito bene, cara? - chiese a Loren senza guardarla.

- Molto, grazie!

- Charles, ti dispiacerebbe accompagnare la signorina alla stazione?

- Alla stazione? - domandò stupito l'uomo - Siete arrivata da una sola notte; cosa vi è capitato di così grave da dover recarvi dalla polizia?

- Oh, caro, non ho avuto tempo di avvertirti - si scusò Miss Mary poggiando una mano sulla sua - La signorina è l'assistente di Mr. Taylor, l'investigatore che si occuperà del caso di Isabelle.

- Oh! - esclamò nuovamente il nobile signore - Spero vivamente che la vostra presenza implichi il ritorno della nostra amata Isabelle. –

***

Dopo aver fatto colazione, Lord Charles salì nella sua camera per prepararsi, lasciando la ragazza da sola nella stanza accanto alla sala da pranzo. Un soggiorno con un soffitto alto, di un bianco cupo, e un pavimento scuro che aveva lo stesso colore dei mobili di legno. Un camino era appoggiato alla parete centrale della stanza, di fronte a un divanetto di stile Chesterfield di un delicato colore beige, affiancato da due poltrone dello stesso stile e colore. Sopra i mobili, posizionati su alcune pareti, c'erano dei lunghi specchi, mentre ai lati c'erano delle lunghe Sterlizie Nicolai e alte lampade con luci soffuse. Tutto era ordinato e curato nei minimi dettagli, ma l'angolo che Loren amava di più era quello accanto a una vetrata, dove c'era una libreria e un Petite Grand illuminato dalla luce del sole di quella mattinata limpida. Proprio quando si avvicinò al pianoforte, premendo delicatamente un tasto e facendo uscire una nota spezzata, Lord Charles entrò nella stanza e le chiese di seguirlo.

- In quale ruolo affiancate Mr. Taylor? 

- In una sorta di vice detective - rispose la ragazza con un sorriso. - Gli faccio d'assistente seguendolo durante l'investigazione, scrivendo passo dopo passo tutto ciò che fa.

- È la prima volta che mi capita d'incontrare una donna coinvolta nell'arte dell'investigazione...-

Quel commento le scivolò addosso, troppo abituata a quelle affermazioni di una società maschilista che non si tratteneva a divulgare quelle esposizioni su una superiorità che si basava sul sesso. Troppo spesso era stata giudicata per le sue scelte di vita, tanto che adesso tutto le appariva trasparente, troppo irrilevante per poter prestargli attenzione. In passato avrebbe di certo ribattuto a tale affermazione, ma crescendo aveva imparato solamente a non darle importanza, rendendo la sua vita spensierata e leggera per quanto le era possibile farlo.

- ... Non fraintendetemi, signorina Sutton. Trovo meraviglioso che le donne stiano acquistando più libertà nelle attività che la nostra società offre. In fondo vi ho sempre considerato le colonne portanti di questo nostro mondo e ho sempre trovato inaccettabili i limiti che vi vengono imposti. Quello che intendevo poco fa è che spero tanto di vedervi all'opera –

In quel momento, Loren volse il capo verso l'uomo. Forse avrebbe dovuto pensarci prima di esprimere un giudizio così precipitoso, anche se l'uomo non ne era a conoscenza. Le parole del Lord erano diverse da quelle che aveva sentito durante i suoi viaggi. Un sorriso debole si dipinse sul suo volto mentre tornava a guardare avanti, un po' lusingata dalle sue parole.

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