Leggende e realtà
Ain e Naos stavano girando tra le affollate bancarelle. I venditori esponevano pane appena sfornato che faceva venire l'acquolina in bocca, arrostivano la carne in cambio di qualche moneta in più e aprivano grosse botti per far scorrere birra ambrata.
Il rancio dell'accademia era solo un lontano ricordo. «Vuoi qualcosa? Offre lord Dabih» rise Naos aprendo il sacchetto che aveva ricevuto.
«Lode alla sua generosità!» esclamò Ain.
Comprarono del pane caldo, della carne grigliata e della birra. Il cibo era delizioso, mangiarono avidamente e tracannarono i boccali, per poi ridere allegramente. Naos si mise anche a fischiettare l'unico motivetto che conoscesse.
«E io che ero tanto preoccupato» disse Ain prima di lasciarsi sfuggire un piccolo rutto.
«Controllati, maiale» lo richiamò Naos.
Furono interrotti da un bardo che, con voce potente, declamava le imprese di Kochab dalle Pelli d'Ursa, devoto servitore dei Mizar che aveva guidato una spedizione contro un nido di empuse e lo aveva dato alle fiamme.
Ain seguì distrattamente il bardo, poi prese un profondo respiro. «Mi dispiace per come mi sono comportato» disse a Naos.
L'amico gli dette un colpetto sulla testa. «D'ora in avanti, cerca di restare al tuo posto».
Ain aveva notato gli sguardi che i paesani e gli altri soldati gettavano sul suo marchio. «Dovrò starci parecchio».
«Non preclude una miglior paga. Questa è Alcyone, amico mio, qui tutto è possibile!»
Ain preferì cambiare argomento. «Anche portarsi a letto quelle?» chiese indicando delle danzatrici che si esibivano per le strade, attirando una folla pagante.
Naos arrossì. Da quando era iniziato l'accademia aveva visto le donne in rarissimi casi, e mai così belle. «Ora non puntare troppo in alto».
Nonostante il fresco, le ragazze erano coperte solo da teli trasparenti, il ventre nudo. I loro corpi ondeggiavano delicati come giunchi al vento o, forti come onde, spazzavano via ogni ragionevolezza. Naos aveva sentito parlare di molti tipi di magie legate al fuoco ma era la prima volta che sentiva il proprio destarsi così.
Ain e Naos si avvicinarono, ma una fiamma arancione, di guardia, li fermò: solo chi comprava e beveva poteva assistere. I due non se lo fecero ripetere. Presero un tavolo esterno e bevvero lentamente, non fecero nemmeno caso al sapore dell'alcolico.
Una delle danzatrici, bionda e formosa, scese dal palco e si guardò attorno con aria maliziosa. I tavoli si riempirono all'istante di monete.
«Veloce» incitò Ain.
Naos rimase imbambolato per un istante prima di rovesciare quanto aveva. Quando la danzatrice si avvicinò, ne ammirò lo sguardo scintillante, le labbra carnose e l'ampia scollatura. Lei gli sfiorò il mento e Naos ne restò ammaliato. Si immaginò di stringere quel corpo flessuoso tra le braccia in ben altro tipo di danza. D'istinto, si mosse in avanti e cercò di afferrarla, ma ricevette un colpetto sul naso. Non gli fece niente, ma tutti scoppiarono a ridere. La ballerina si girò e tornò sul palco scuotendo le anche.
Naos rimase incantato. «Credo di essermi innamorato...».
«Tieni da parte lo stipendio, il meglio è dentro» gli spiegò Ain indicando l'insegna. Era anche un bordello. Stimolare i passanti con una danza sensuale e renderli audaci con qualche birra era una bella idea.
Naos deglutì mentre sentiva l'erezione premere contro il cinturino metallico. Non c'erano bordelli nel campo, tutto ciò che aveva visto era stata qualche danzatrice che i privilegiati portavano nelle loro stanze e la statua della Dea. Ciò era bastato a riempire le sue fantasie, ma non aveva mai toccato una donna. Rise silenziosamente mentre pensava a come avrebbe speso la paga.
Un grido lo fece sussultare: un uomo dal volto paonazzo aveva appena svoltato l'angolo e stava correndo nella loro direzione. Nonostante le birre, Ain si alzò, levò lo scudo e intercettò l'aggressore. Questi cadde a terra con un tonfo.
«Bravi ragazzi, lo avete preso» si congratulò una fiamma dorata, accompagnata da due arancioni, arrivando di gran carriera.
Naos si alzò di scatto. «Il merito è suo» si affrettò a dire, indicando l'amico.
I militari afferrarono il fuggiasco e lo sollevarono. Attirato dal trambusto, quello che doveva essere il padrone del bordello si avvicinò. Era un uomo dal viso glabro, il collo circondato da una catena variopinta a cui era saldato un rubino. Portava un anello per mano, una giacca dai bottoni dorati, un cappello a tricorno ricamato d'argento e teneva in bocca un oggetto che Naos non riconobbe. Era bianco avorio, lavorato per assomigliare a un collo squamoso terminante con una bocca spalancata rivolta verso l'alto; un'ondulata scia di fumo ne usciva. «Mi ricordo di te. Allora, qual è il casato più potente?»
Il prigioniero tentò di divincolarsi. «I Megrez sono i veri salvatori e figli delle fate!»
L'uomo con la pipa roteò gli occhi. «Odio i sovversivi».
I soldati tirarono fuori dei bastoni di legno e colpirono ripetutamente il prigioniero. Questi crollò a terra e si richiuse in posizione fetale mentre gemeva di dolore.
Ain e Naos avevano subito quella violenza troppe volte per restare indifferenti. Che bisogno c'era d'infierire contro uno sconfitto? La soddisfazione per la cattura era sfumata.
Il padrone del bordello li notò e andò loro incontro. «A giudicare dalle facce, siete reclute. Avete fatto un bel lavoro. Allora, per l'arancione un bel visconte di bronzo».
Naos ricevette una piccola moneta. La guardò confuso. Sulla prima faccia era stata incisa la sagoma, di profilo, di un contadino che zappava, mentre sulla seconda era raffigurata una fenice che pareva emergere dalle vampe; la scritta sottostante recitava "il lavoro è libertà".
«E al soldato semplice... hai il marchio? Povero te!»
«Ci sta corrompendo?» farfugliò Naos.
«Coraggio, non fate quelle facce, che poi ci rimango male». Tolta la pipa dalla bocca, li guardò per bene. «Siete dei nuovi gruppi, vero?»
Un rumore di ossa spezzate fece sussultare Naos e fremere Ain. Il padrone del bordello si girò. «Può bastare. Dato che gli piacciono tanto le mura, presto ne sarà circondato per aver tentato di derubarmi». Si rivolse di nuovo ai giovani soldati. «Mi sa che vi serve una guida, e per questo richiederò un prezzo». Con un movimento fluido si riprese la moneta, la lanciò in aria e la riafferrò. «Era una di quelle vere, poi?» Ci dette un morso senza scalfirla. «Direi di sì. Da quale accademia venite?»
«A-Alioth, numero venticinque» rispose goffamente Naos, gli occhi rivolti al prigioniero che lasciava dietro di sé una scia di sangue.
Il guerriero dorato, rimasto vicino a lui, lo interruppe. «Io vado». Così dicendo camminò verso le danzatrici. Naos si riscosse e temette che avrebbe preso quella dai capelli d'oro, ma ne puntò un'altra.
Lei s'irrigidì. «N-no, aspettate, io mi limito a b...»
Una sberla la colpì in faccia e la gettò a terra. «La bocca non ti serve per parlare, puttana!» L'ufficiale se la caricò in spalla tra le risate di soldati e paesani. Molti alzarono il boccale in segno di approvazione.
La danzatrice si dibatté e allungò un braccio alla ricerca d'aiuto. «No, vi prego! Chiunque, ma non lui!» supplicò mentre si divincolava. In preda al panico, tentò di graffiare il suo assalitore, ma non riuscì a trovare punti scoperti e le unghie si spaccarono contro la corazza: le dita sanguinarono.
Seccato, l'ufficiale le afferrò una mano e le spezzò il mignolo con un colpo secco. Lei gridò ancora.
«Per quello non farò il sovrapprezzo, ma non stropicciarla troppo, mi raccomando» disse il padrone.
Il sollievo di Naos fu travolto dalla collera. Non poteva restare immobile. «Lasciala stare!»
Calò un silenzio di tomba. I paesani avevano smesso di festeggiare, le danzatrici tacevano. Gli unici rumori erano il soffio di fumo e il pianto della vittima.
«Che cosa hai detto?» chiese la fiamma dorata girandosi molto lentamente.
Ain afferrò l'amico. «Quello è un ufficiale!»
«Questo è stupro!»
«Compiuto da un ufficiale»
«Mio signore, vi prego, aiutatemi!» supplicò la ragazza allungando una mano. Naos cercò aiuto: i più lo guardavano con un sorriso divertito e un paio di persone avevano chinato lo sguardo. Se avesse reagito, sarebbe stato il solo a farlo. Forse Ain lo avrebbe seguito, ma non sarebbe servito.
Il padrone del bordello interruppe il momento. «Pace, pace, ora insegno io a questi ragazzini come stanno le cose!» Nel dirlo, li prese sottobraccio e li portò via. Il grido di paura della danzatrice si perse tra le risate.
«Allora ragazzi, visto che siete nuovi, vi spiego come funzionano le cose qui. I ricchi, nobili o meno che siano, comandano e fanno quello che pare loro, se li infastidite finite nei guai. Non mettetevi a predicare la voce del popolo o cose del genere, l'ultimo che lo ha fatto si è ritrovato in casa la boccetta di veleno con cui suo padre è stato avvelenato. Che cattivo ragazzo». Scosse la testa con falso disappunto. «Quindi, avete varie possibilità: o fate domanda per andare sul fronte - pace all'anima vostra - oppure fate i bravi. Fatevi notare da qualcuno d'influente, ma per farlo non serve tanto la forza, abbiamo bisogno di coraggio e intelligenza.
«Se il capo vi dice di stare zitti, voi state zitti. Se vi chiama per testimoniare, voi lo fate. Credetemi, è molto più sicuro. Se vi ordina d'infilare qualcosa nella casacca o nella tasca di qualcuno, voi lo fate. Se vi dice di scheggiare la statua di un concorrente, voi la scheggiate. Chiaro e semplice. Tenete la bocca cucita, onde evitare spiacevoli imprevisti, noie varie e grattacapi. Per voi. Poi, man mano che farete quello che il capo vi ordinerà, questo sarà sempre più soddisfatto. Oggi una monetina, domani una promozione, dopodomani sarete dei "protetti", ossia potrete scalare la gerarchia quasi come un nobile. A quel punto, e parlo per esperienza, potrete essere voi a corrompere gli altri. E chissà, magari il capo vi presenterà qualche graziosa signorina in cui intingere il biscotto».
Lo sguardo di Naos era duro come la pietra. Non aveva subito anni di umiliazioni per questo. «E se ci rifiutassimo? Faremo rapporto al responsabile».
Il corruttore sfoggiò un ghigno capace di far rabbrividire, il sorriso di chi sapeva di avere l'assoluto controllo. «Dagli il tempo di finire con la puttanella, poi potrai parlargli. Intanto io vi accuserò dei più disparati crimini. A voi la scelta. Posso dire che avete bestemmiato il nome della Dea».
«Ma è falso» obiettò Ain.
«E con questo?» chiese l'uomo premendogli un dito sul marchio. Ain venne scosso da uno spasmo e digrignò i denti per sfogare il dolore. Non c'era desiderio di lottare nel suo sguardo, solo paura. «La vostra parola qui conta quanto quella di un ubriaco e ci sono mille persone che giurerebbero il falso per un barone di rame». Inspirò il fumo e lo soffiò. «Avete un'occasione, non sprecatela, giovani degeneri». Dopo aver parlato si allontanò canticchiando.
Quell'uomo aveva pubblicamente confessato la sua disonestà in un luogo sacro come la capitale, solo pensare di fare una cosa del genere sarebbe stata offesa alla Dea. E il popolo aveva assistito con indifferenza e divertimento.
La vittima urlò ancora. «Senti come gode, quella cagna» commentò un paesano.
Naos si poggiò una mano sullo stomaco. «C-che cosa facciamo adesso?»
Ain si allentò il collare, respirò rumorosamente e deglutì. «Non possiamo fare nulla. Andiamocene».
«Stanno violentando una donna!»
«Cosa potremmo fare?» sputò Ain. «Siamo troppo deboli. Andiamocene da un'altra parte. Questo posto mi dà i brividi. Sfidare i ricchi è un suicidio. Credevamo che qui sarebbe stato diverso, abbiamo voluto credere di dover solo resistere. Abbiamo sbagliato». Aveva parlato con timbro distaccato.
Naos abbassò gli occhi. «Ma il nostro giuramento recita che dovremmo vivere con onestà e rettitudine. Come può la Signora permettere tutto ciò?»
«Per lo stesso motivo per cui non ha fatto nulla contro gli abusi di Wasat». La voce di Ain era ricolma di una collera trattenuta a fatica. «Andiamo».
I due proseguirono fianco a fianco, ogni traccia di entusiasmo spazzata via. A cosa serviva difendere la legge per permettere quello? Se una regola era valida solo quando stava dalla parte del più forte, allora era una catena per il debole.
Naos ansimò e si appoggiò a una parete. La guardò e vide un manifesto rappresentante un soldato che teneva per mano due bambini. La scritta recitava "Vinci la guerra, salva il futuro".
Ce ne erano altri. Il secondo raffigurava dei guerrieri dalle armature scarlatte. Armati di lance e scudi, formavano una falange che si muoveva come un solo essere. "Insieme per costruire il domani".
Nel terzo era disegnato uno stregone di alto grado, tra le cui mani era stretto un libro. "L'istruzione è potere".
«Bugiardi!» gridò Naos dando un pugno alla parete. Benché si fosse trattenuto, questa si crepò.
Ain lo fermò e lo trascinò via. «All'accademia non potevamo fare niente, ma qui non siamo noti a tutti. Ho un'idea».
«Non penserai...»
Ain si grattò il mento. Il suo corpo fremeva per l'eccitazione. «Ne parleremo in un altro momento. Dobbiamo andare in caserma, poi penseremo a fargli un bel regalino».
***
L'aria che Dabih respirava gli dava l'idea di essere in un posto vecchio e trasandato. Nel muovere un libro, nubi di polvere si sollevavano.
L'ala della biblioteca che stava visitando era riservata agli errori del passato. Dimenticati dai più e relegati in tomi che non venivano mai aperti assieme ai loro inventori.
Dabih aveva sempre sentito dire che la dimenticanza era la morte definitiva. I nomi di quelle persone per lui erano come vaghi e sfocati disegni senza significato. Era la sorte di chi si gettava nelle grandi imprese, come aveva ribadito Sirius l'Umiliato: o si veniva celebrati come grandi eroi o rinnegati. Non c'era da stupirsi che, di fronte a una simile prospettiva, pochi si cimentassero.
Non era certo del motivo che lo avesse spinto a frugare in quel posto. Forse si rivedeva in quei fallimenti.
Dabih mise da parte un altro tomo. Appena arrivato a palazzo aveva detto allo zio di non essere dell'umore adatto al riposo. Era furioso per il modo in cui Zadok e Muliphein lo avevano trattato. La sua sicurezza si era sciolta come neve al Sole davanti a quel colpo che aveva a stento percepito. D'accordo, non era davvero il primo dell'accademia, ma avrebbe trovato un altro ruolo.
Lui e il suo gruppo avevano passato ore a frugare tra le invenzioni abbandonate. Era certo che in mezzo ci fosse qualcosa da riesumare. Ne ebbe conferma quando trovò i testi sulla polvere nera. Era stata causa di un forte disguido tra i Mizar e gli Alioth, provocato da una rivolta in cui i primi avevano perso numerose carovane. Aveva studiato gli eventi anni fa, ma non aveva potuto indagare su quella strana miscela. A ogni pagina le mani di Dabih tremavano per l'eccitazione. Aveva reperito le informazioni che stava cercando.
Proseguì la lettura. Era la facilità di produzione a rendere la polvere nera temibile: zolfo e carbone erano facili da procurare, mentre il terzo ingrediente, il salnitro, si poteva produrre attraverso una procedura che richiedeva il letame. Non a caso, in senso spregiativo, l'insurrezione era chiamata "rivolta degli spalamerda". Se fossero tornati a usarla, avrebbero potuto produrne in quantità massicce e usare cannoni più precisi.
Dabih sognò a occhi aperti, immaginandosi come, con simili strumenti, avrebbe almeno potuto ridurre la differenza tra lui e i più potenti guerrieri.
I motivi per cui la polvere avrebbe potuto cambiare le sorti della guerra erano gli stessi per cui era stata bandita. Venti giorni erano più che sufficienti per imparare a sparare, anche se non a mirare, e centinaia di contadini che facevano fuoco a distanza ravvicinata potevano fare delle stragi. Gli archibugi si erano evoluti in moschetti, ma non erano stati in grado di penetrare il piritio dorato. Il testo spiegava che, onde non correre rischi, i soldati inviati a fermarli si erano inginocchiati e avevano inclinato i loro scudi, facendo sì che i proiettili rimbalzassero dopo aver scaricato solo una parte della loro forza.
I nobili non temevano le armi da fuoco, ma ciò a cui avrebbero portato. Il popolo non avrebbe più temuto il mistero della magia. I civili sarebbero riusciti a scatenare fiamme ed esplosioni e sarebbero stati in grado di abbattere le fiere, seppur grazie ai numeri.
Dabih proseguì nella lettura e trovò gli altri punti deboli: la polvere nera bagnata era inutile, bastava un piromante per distruggerne un deposito e il suo abuso avrebbe spinto i soldati a perdere lo spirito combattivo. La Legge Bianca l'aveva messa al bando, e con essa qualsiasi esplosivo i cui ingredienti fossero facilmente accessibili ai popolani.
Dabih strinse le pagine. Non sarebbe mai stato in grado di ripristinarne l'utilizzo, neanche col favore dei piani alti. Ennesima delusione. «Scrivano, taglia la polvere nera!» ordinò.
Sadr, seduto dall'altra parte del tavolo, prese nota. Le sue piccole mani tracciavano linee eleganti e delicate.
Dabih prese un altro libro a caso e finse di leggerlo. S'immaginò Sadr che, con un sorriso trionfante, gli puntava un moschetto contro e faceva fuoco. Un colpo mirato e di sorpresa e sarebbe morto. Poteva prevedere la traiettoria, ma schivare un proiettile era pura follia.
«Scrivano!» chiamò d'un tratto. Wasat gli aveva insegnato a non chiamare i sottoposti per nome. Era un modo per disumanizzarli. «Che cosa dovrei cercare, adesso?»
Sadr alzò appena gli occhi celesti. «N-non saprei...» rispose timidamente.
«Come al solito». Dabih si sentì meglio. Se non poteva risollevare se stesso, poteva pur sempre sminuire gli altri. Appoggiò i piedi su una sedia e tornò a fingere di leggere. Avrebbe voluto detenere il potere della polvere nera per non sentirsi più inferiore. Era colpa di quegli stupidi poemi e di quei patetici eroi che aveva ammirato. L'immagine di suo padre, potente condottiero, si era frantumata come uno specchio. Doveva trovare altre vie. Se avesse brillato in intelligenza e creatività avrebbe ottenuto il rispetto di chi era più importante di lui. Ma come poteva rivaleggiare con Zadok? Wasat gli aveva spiegato che quel plebeo investiva da anni il ricavato delle tasse nella ricerca su armi e vettovaglie. A suo confronto Dabih si sentiva uno stupido ragazzetto.
La rabbia fu spazzata via da un senso di vuoto. Non temeva Zadok solo per la sua forza, ma perché gli ricordava la propria mediocrità. In mezzo ai talentuosi, l'ordinario era uno storpio.
Dabih richiuse rumorosamente il libro. Significava che la visita era conclusa. Si avviò verso l'uscita in silenzio, seguito dai nobilotti e Sadr. Si sentiva più frustrato di prima, ma non lo volle dare a vedere. Lo aspettavano giornate noiose, in cui avrebbe dovuto fingere simpatia e interessamento nei confronti dei coetanei di altri casati. Doveva mantenere toni garbati e distaccati senza al tempo stesso apparire altezzoso.
Uscito dalla biblioteca, si chiese ancora cosa stesse macchinando suo zio. Tra poche ore sarebbe iniziata una festa per celebrare l'arrivo dei nobili ed era probabile che Wasat avrebbe scoperto le sue carte.
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