Fuga
In tre giorni Lesath e Naos sarebbero partiti.
Ain aveva preparato un piano di fuga. Nei vari giri fuori dalle mura aveva appurato che solo gli ingressi principali erano ben sorvegliati. La capitale era un progetto troppo grandioso per poter essere gestito. Dal canto suo, Naos sapeva bene che la profondità ufficiale delle mura nel sottosuolo era di dieci iarde.
C'erano due opzioni: la prima prevedeva di fuggire in caso di attacco, evento probabile, dato che la sorveglianza era stata rafforzata; la seconda, invece, avrebbe cavalcato la paura.
Al momento stabilito, il giovane alchimista avrebbe dovuto recarsi nel laboratorio di Lesath e incendiarlo, poi uscire in preda al panico e dare l'allarme. Mentre i soldati spegnevano l'incendio, Enif e Sirrah avrebbero appiccato il fuoco a qualche catapecchia, per poi gridare per le strade e far scappare in fretta gli abitanti. Enif sarebbe corso per le strade, minacciando l'arrivo di un'empusa.
Ain e Naos avrebbero dovuto inseguire il fantomatico mostro. Superare la cinta del distretto non sarebbe stato difficile.
Avrebbero attraversato il breve tratto che separava le cinte dei distretti alle mura esterne. Ain avrebbe aperto un percorso sotterraneo e la scomparsa dell'amico sarebbe stata imputata all'empusa. La medaglietta insanguinata sarebbe stata una prova.
Naos sentiva che qualcosa non andava in quel piano e si domandò se non stesse per fare il più grande errore della sua vita. La tensione era tale che, quella notte, non era riuscito ad addormentarsi.
Le ore erano passate lentamente, si era rigirato un centinaio di volte, era trasalito quando aveva sentito degli scoppi e si era messo a girare in circolo per la piccola stanza.
Non potendo più sopportare la fame d'aria, decise di aprire la finestra. Il cielo sembrava più scuro del solito e faceva freddo. Un gelo che faceva accapponare la pelle e lo spingeva a chiudere la finestra, come se quel ridicolo gesto potesse proteggerlo.
Sbatté ripetutamente gli occhi, si aggrappò per non cadere e guardò verso l'alto.
Scrutò le nubi senza scorgere minaccia alcuna.
Un'altra folata lo colpì. L'istinto gli suggerì di accovacciarsi e lasciarsi avviluppare. Aveva sentito dire che la morte per assideramento fosse tra le più clementi. Non ti colpiva con violenza, ma ti guidava da lei, indebolendoti gradualmente e invitandoti in un sonno dolce come un'amante.
Il suo corpo lo stava avvertendo di qualcosa di ben peggiore di una dolce morte.
Un granello bianco gli arrivò sul volto. Altri due gli caddero sulle mani. «Neve?» Rise della sua paura e tornò a dormire con un sorriso ironico. Era davvero paranoico.
Si fermò. Non riusciva a muoversi, come se fosse stato trasformato in una statua. La sua ironia aveva inutilmente tentato di negare la minaccia.
Un ruggito forte come mille tuoni ruppe la quiete, un battito d'ali frantumò il vetro e sbalzò via il carillon, un'ombra coprì intere case. Naos rotolò giù e si coprì la testa con le mani. Istintivamente pregò che non fosse ciò che temeva.
La campana suonò, dando l'allarme. «Cocitoooo!»
Naos non osò strisciare verso l'apertura. La paura lo aveva assalito. Era colpa sua se il mostro aveva attaccato? Era stato lui a offendere la Dea e ad attirare la sventura sull'intera Alcyone?
Cosa doveva fare?
La porta venne sfondata. Ain entrò e lo sollevò di peso.
Naos provò a fermarlo. «È colpa nostra, noi...»
«Non dire puttanate e corri!» ordinò Ain sbattendolo fuori.
Il cielo era riempito da strane creature. Erano lunghe una ventina di metri e la loro materia sembrava la stessa delle nuvole. Ricordavano una nave con la prua composta da un teschio lattiginoso con gigantesche gemme dorate a riempire i bulbi oculari. Dai lati del corpo uscivano sei remi, le cui pale avevano la forma di ali piumate; si muovevano con un moto armonico. Dal corpo emergeva un prolungamento ondulato e appuntito, vagamente simile all'albero maestro di una nave, che a sua volta si ampliava in una singola ala membranosa attraversata da vene ricolme di pura luce. Altri due corni e altre due creature comparvero. La loro struttura, così perfetta e simile alla fattura umana, le rendeva ancora più terrificanti. Erano armi dotate d'intelletto e prive di qualsiasi emozione umana.
«Principati!» Naos osservò impietrito quella scena. Era lui la causa di quell'attacco?
«Ripigliati, imbecille!» Ain gli dette una sberla e lo afferrò per le spalle. «Ascoltami bene, guardami negli occhi! Chi se ne frega di te!» Naos si massaggiò la guancia. Sì, la volontà di un misero popolano non poteva attirare la sciagura.
Attorno a loro soldati e paesani si erano dati alla razzia, un gruppo di persone tentava di entrare nel tempio e le grida si ampliavano come un incendio.
Una voce le sovrastò tutte. «Tornate nei ranghi!» Alto e minaccioso, Lesath procedeva assieme a una ventina di persone, tra cui Alrai e Spica. «Volete nascondervi dietro alle gambe dei genitori come se foste bambini? Se fuggirete, aiuterete solo a diffondere il panico e altri soldati si uniranno alla fuga. Il nemico penetrerà e sarà una carneficina». Si sforzò di farsi sentire da tutti. «Se chi vi ha preceduto avesse ragionato così, non saremmo qui. Se c'è ancora speranza per gli uomini è perché i caduti hanno seguito l'insegnamento della Dea. Siamo di fronte a una scelta. Possiamo gettarci in lacrime ai piedi del nemico e supplicarlo di diventare suoi schiavi... oppure possiamo combattere!»
Il ruggito del cocito si propagò ancora. Naos avvertì lo stomaco vibrare e si rese conto che erano più di uno. Solo l'Imperatore poteva vincere un duello, ma uno stormo era troppo per chiunque non fosse la Dea in persona.
Uno stridio. Un ticchettio. Una sfera di fuoco che incendiava le case. Subito dopo, Naos vide una figura volare via. Le empuse erano arrivate davvero!
Ain prese in mano la situazione. «Le empuse e i cociti si sono alleati! Ne ho visti decine!» Indicò l'ingresso. «Guardate, il portone è aperto!»
Decine di soldati non aspettavano altro. Mandarono in malora la Dea e presero a fuggire come se avessero avuto il cocito alle calcagna.
«Tornate qui, traditori!» chiamò Lesath prima di lanciare una folgore dal dito. L'unico risultato fu uccidere tre uomini.
Ain spintonò Naos. «Ora o mai più».
Naos sapeva che, se fosse stato tra i pochi a restare avrebbe dato prova di una fedeltà incondizionata e Lesath avrebbe compreso che la necessità non era l'unico ponte che costruiva i legami. Il loro, però, era già andato in pezzi.
I due amici si precipitarono nel tempio e si divisero: Ain andò verso la dispensa, Naos si diresse al laboratorio. Aveva già impacchettato libri con formule, erbe medicinali e strumenti. Prese una sacca con le erbe e una coi libri, ne controllò un altro paio e cercò l'unguento infiammabile.
Nel frugare in una scatola, rovesciò accidentalmente una fialetta, che rotolò fino all'ingresso. Un piede pesante la frantumò.
Naos si gelò e, alzando gli occhi, vide il volto sfregiato di Alrai. Questa volta si era portata uno scudo.
Rimasero paralizzati per una frazione di secondo prima che Alrai attaccasse con un tondo. Naos salto indietro, si appoggiò al banco da lavoro e si spostò per evitare un affondo che aprì una crepa nel muro.
I rivali si studiarono. «Alrai, non morire per la Dea, possiamo scappare, possiamo salvarci tutti!»
Lei lo ignorò. «Si sta per liberare un posto!» L'ululato selvaggio, il volto sfregiato, gli occhi folli e il suo animo oscuro la rendevano un vero demone. La sua spada ruppe un tavolo, frantumò una sedia e spaccò di nuovo la parete.
Naos bloccò il polso di Alrai e dette il via a una prova di forza in cui vide i suoi occhi ardere di una luce vermiglia. Fatto appello al suo coraggio, la lanciò contro un tavolo, che andò in mille pezzi. Lei si levò subito.
Il giovane alchimista cercò la gemma che portava sempre con sé. Non la trovò: la paura e la fretta lo avevano giocato.
Alrai ringhiò. «Tu sei un vigliacco. Parli di onore e giustizia, ma scappi dinnanzi al pericolo!» La lama calò dall'alto, Naos la schivò e sferrò un pugno dal basso: Alrai barcollò, piroettò per recuperare l'equilibrio e spazzò l'aria con la spada. La punta lasciò un sottile graffio sul viso. «Ti ucciderò, piccolo stronzetto. Io sono l'eroina!»
Lanciata una sedia, il soldato staccò una gamba al tavolo con un colpo secco. Alrai rise e attaccò: guidata dalla collera, i suoi movimenti erano rozzi e imprecisi, mentre Naos indietreggiava o scartava, per poi attaccare. Al quinto colpo ci mise così tanta energia che il legno si frantumò.
Il disertore indietreggiò. Doveva morire per mano di quella pazza quando era a un passo dalla libertà?
Colmo di una nuova energia, sferrò una raffica di pugni carichi di vento. Alrai si nascose dietro allo scudo, ma lasciò gli occhi scoperti. Il sesto attacco, più piccolo e concentrato degli altri, la colpì.
Alrai strinse gli occhi e barcollò all'indietro. Naos la prese di lato e la colpì sulla caviglia con un potente calcio, poi l'afferrò per i piedi. Nel sollevarla e sbatterla contro la parete, urlò. L'impatto fece tremare l'intera stanza.
La guerriera gemette mentre delle mattonelle le cadevano addosso.
Naos ansimò e si poggiò le mani sulle ginocchia. «Basta, cazzo! Voglio solo scappare da questo buco di merda!»
Alrai lo fissò con gli occhi gelidi. «Tu... vuoi scappare con gli averi. Non rimani a proteggere nessuno. Sei un bugiardo!»
«Sì, fuggo. Dopo che mi avete mostrato che siete dei pezzi di merda!» Passato lo scatto d'ira, Naos rallentò polso e respiro. «Non ci siamo mai capiti. Vedi i leccapiedi come quanto di più sbagliato. Vedi il tuo talento non riconosciuto. Non è per colpa mia». Gli venne da piangere. «Io volevo solo aiutare».
Alrai tossì, si aiutò ad alzarsi con la spada e la gettò via. Lo scudo divenne il nuovo appoggio. «E io... volevo solo far vedere quanto valevo. Mostrare il mio valore. Che potevo farcela da sola».
Naos avvertì il suo dolore. Aveva davvero sofferto. Gli ricordò Ain, che si era visto sottrarre i gradi per un solo errore. Le umiliazioni avevano trasformato il desiderio di rivalsa in un'ossessione che le impediva di distinguere l'amico dal nemico.
La odiava con tutto sé stesso per ciò che gli aveva fatto. Pensò alla notte in cui lei e i soldati lo avevano catturato e avevano cercato di abusare di lui. Avevano tentato di distruggerlo psicologicamente. Lo aveva attaccato e poi forzato a uccidere i paesani. Quanta gente aveva sofferto per colpa di quella donna?
La voce della coscienza lo fermò. Era lui l'uomo che aveva sbandierato i principi morali ma che non era stato capace di portarli avanti.
Naos e Alrai si fissarono. Era stato il trabocchetto a sfregiarle il viso e l'aveva battuta due volte, la seconda facilmente - la rabbia l'aveva tradita - e pubblicamente. L'istinto gli diceva che fosse di fronte a un'occasione di fare del bene. «Non dare la tua vita per la Dea, c'è un'altra strada!»
«Un'altra... strada...»
Alrai soppesò l'ipotesi. «Io... non capisco, dopo tutto quello che ho fatto, dopo tutto ciò che...»
Con mossa fulminea e imprevista, Alrai caricò Naos, lo spinse indietro con lo scudo e lo ferì alla coscia. Il giovane soldato urlò. «Veleno!» esclamò.
La donna fece un salto indietro, rinfoderò il pugnale e recuperò la spada. Aveva imparato dalla sconfitta: aveva visto che lui non uccideva, che era abbastanza forte da poter estrarre un'arma piantata nel suo corpo e farla sua.
Il panico dominò il dolore: concentrato il peso sulla gamba sana, si spostò e caricò un dardo di vento. Alrai venne respinta e Naos usò il potere curativo per contrastare il veleno.
Si sforzò d'immaginare quale sostanza avesse usato. Ne elencò cinque, ciascuna con una magia di guarigione mirata e diversa. Un sortilegio generico avrebbe solo potenziato la capacità del suo corpo di farvi fronte.
La guerriera pregustò la vittoria e caricò, spingendolo contro la parete. Gli diede una testata che gli ruppe il naso, una ginocchiata sull'inguine e un calcio sulla tibia. Naos usò ancora il vento per avere un attimo di tregua. Crollò in ginocchio e si vomitò addosso. La gola e lo stomaco bruciavano, le gambe non lo reggevano.
Alrai era a poche iarde, pronta a finirlo. Di Ain non c'era traccia.
Era davvero la fine? Morire per un atto di pietà?
Lo sguardo gli cadde su una sacca. Elencò il contenuto e comprese che lì avrebbe trovato la sua salvezza.
Agli angeli il combattimento leale!
Si mise in piedi e simulò uno scontro diretto. Alrai cadde nel tranello, Naos rotolò davanti alla sacca, l'aprì e afferrò un vasetto.
Lo lanciò e venne un urlo di dolore: era pieno di un unguento acido e infiammabile.
Naos sentì il cuore esplodergli. Scattò in piedi, spinse Alrai verso la parete e le sbatté il viso senza fermarsi. Gridò come un ossesso mentre rabbia e odio prelevano sul senso di giustizia. Non vedeva Alrai come un essere umano. Era un nemico, e come tale andava distrutto.
Dopo l'ennesimo colpo il muro venne sfondato. Naos girò Alrai e la guardò: i denti erano caduti, gli occhi si erano gonfiati, gli zigomi erano sfondati, il naso era in pezzi.
Naos si sentì svuotare delle sue forze. L'aveva sconfitta.
Perse la presa e lei si accasciò a terra. Appoggiatosi alla parte del banco integra, il disertore le prese il pugnale, annusò il veleno, lo riconobbe e si curò.
Si sentiva strano. Non era pentito del suo gesto.
«Pietà...»
Con fare circospetto rubò foderi e lame. Strappò la medaglietta di Alrai e se la infilò in tasca. Mise vicino alla porta il sacco con le erbe e quello coi libri. Dette uno sguardo alla parete e notò, nascosto tra le crepe, qualcosa. Si avvicinò e aprì la strada col pomo della spada.
Un libro? Non era il registro.
Lo raccolse con una calma che non seppe spiegarsi. Era come se avesse gettato via la sua furia cieca e fosse rimasta la freddezza. Lo gettò nella sacca e la richiuse.
«P-p-pie...»
«Perché dovrei averne? Non puoi imparare».
«Pietà...»
Naos pensò di finirla con una pugnalata. Un colpo e via, aveva già sofferto abbastanza. Non seppe decidere e per prolungare la riflessione raccolse un altro unguento infiammabile e una scatola contenente delle pietre focaie. Sparse il siero su mobili, vecchi libri ed erbe che avrebbe lasciato indietro.
Alrai continuava a gemere e a implorare perdono. Era una criminale, protetta dalla legge, incapace di apprendere e riconoscere di essere diventata peggiore di chi odiava. Se si fosse ripresa sarebbe tornato a cercarlo.
Le scoprì la testa. «Io non uccido esseri umani» dichiarò mentre le rovesciava il siero sul capo. Gli occhi e le ferite le bruciarono.
Prese le pietre focaie e le puntò su di lei. Volle accendere il fuoco, ma le braccia erano paralizzate. "Incapace di riconoscere di essere diventata peggiore di chi odiava", si disse.
Poggiate le pietre sul banco, sguainò la spada, strinse la parte non affilata e prese la mira. La guardia colpì la tempia e decretò la fine di Alrai. Se solo lo avesse ascoltato non sarebbe finita così. Non avrebbe fatto gli stessi errori.
Le sottrasse l'armatura - il piritio si adattava alla forma del portatore, rinunciando o guadagnando in spessore - diede fuoco al laboratorio. L'odore di carta, erbe e carne che andavano a fuoco era asfissiante. Sicuramente qualcosa sarebbe scoppiato.
Uscì di corsa con la refurtiva e arrivò all'uscita.
Ain non era all'entrata, dove lo avrebbe dovuto trovare.
Naos sporse la testa fuori e si augurò che nessuno entrasse: numerose case erano in fiamme, Lesath stava dando ordini o lanciando saette verso il cielo e i soldati erano impegnati ad affrontare dei grossi insetti bipedi.
Parricidi! Il pensiero di cadere tra le zanne di un'empusa lo inquietò. «Ain, dove sei, maledizione?» Gli scoppi si susseguivano, uomini a terra invocavano le loro madri, famiglie fuggivano o si rifugiavano nelle case, il sangue di mostri e uomini si mescolava in una poltiglia viscida che insudiciava il suolo.
Era il caos.
Naos esitò, non sapeva più cosa fosse giusto, stava fuggendo quando avevano bisogno di lui.
Bisogno? Un singolo soldato non avrebbe potuto fare la differenza e non si erano dimostrati degni di essere salvati.
Con quella consapevolezza ritornò tra le ombre e attese l'arrivo di Ain. Non seppe quanto tempo fosse passato, cannonate, incantesimi, urla, tutto si confondeva.
Quando l'amico arrivò, aveva numerosi lividi e delle bruciature sul viso. «Ho avuto dei contrattempi». Passò a Naos uno zaino con le provviste. Delle monete tintinnarono.
«Hai svaligiato il suo forziere?»
Ain fece un gesto d'intesa. «Un bell'avanzamento di carriera, non trovi?» Alludeva al padrone del bordello e alla moneta con cui aveva tentato di corromperli.
Scapparono insieme e si augurarono che nessuno prestasse loro attenzione. Lesath era impegnato, trattenuto da Sadr che simulava - con facilità - un moto di terrore. «L'empusa, l'ho vista, è lassù!» indicava disperatamente il campanile, la direzione opposta alla loro.
Ain e Naos proseguirono la loro fuga: passarono in mezzo a duelli, soldati e bestie.
«Dove andate?» era la voce di Spica. Il soldato sbarrò loro la strada. «Andate a comb...»
Qualcosa lo colpì in testa e perse i sensi. Enif e Sirrah sorridevano soddisfatti.
Naos rimase nuovamente bloccato. Avrebbe voluto ringraziarli, si erano detti disposti ad aiutarlo nonostante si conoscessero da così poco. «Grazie!» Fu tutto ciò che riuscì a dire.
«Muoviti, idiota!» incitò Sirrah.
Enif mise mano a una scatola e gliela lanciò. «Tieni i miei aghi, figlio di puttana, ti serviranno!»
Naos non obiettò, ringraziò ancora e scappò di corsa. Quelle armi lo avevano sconfitto al loro primo incontro e si promise di imparare a usarle.
«Di qua!» incitò Ain indicando il portone aperto. Avrebbero dovuto correre verso le mura, che aveva in mente?
Superarono l'ingresso al distretto e viaggiarono verso la via principale. I soldati disertori si erano aperti la strada con la forza e incendiando, i cittadini avevano saccheggiato le botteghe dei loro vicini, per le strade si contendevano beni e le ostilità sfociavano in duelli mortali.
L'unità che la capitale doveva simboleggiare si era sgretolava alla vista dei cociti: ideali, devozioni, giuramenti e alleanze si erano dimostrati dei draghi di legno.
Continuarono a correre per le strade, spingendo da parte i militari che cercavano di fermarli. In un paio di occasioni Naos si fermò per soccorrere dei paesani, ma la lotta con Alrai aveva consumato le sue energie.
«Perché di qua?» chiese d'un tratto.
«Stiamo inseguendo i disertori, idiota, e c'è una cosa che voglio fare!»
Arrivarono fino al piazzale principale. Le empuse e i disertori avevano già ucciso i soldati preposti al contenimento.
Naos vide i resti di alcune grosse arche e un paio di cadaveri mostruosi carbonizzati. Il portone era stato sfondato da una fila di cannoni che i disertori avevano estratto dalle arche. «La via è libera!» Naos si mise le mani sulla testa. «La libertà!» Afferrò Ain per le spalle. «Fai ancora in tempo, amico mio!» Non era ancora pronto a lasciarlo, non dopo tutti gli anni insieme.
Ain scosse la testa. «Devo fare qualcos'altro». Indicò la statua della Dea e si avvicinò ai cannoni. Ne controllò alcuni prima di trovarne uno carico. Girò la leva per calcolare l'angolazione e fece fuoco. Il proiettile detonò contro la scultura, senza ammaccarla ma facendola vibrare.
Naos si mise le mani in testa. «Cosa stai facendo?!»
«Tante cose». Ain trovò un altro cannone carico. «Se ti prenderanno verrà fuori che sei del distretto di Lesath. Lui pagherà per primo».
Per la prima volta, fu Naos a restare stupito dell'intelletto di Ain. Lesath avrebbe dovuto insabbiare la fuga dei suoi uomini e presentarli come morti, altrimenti sarebbe stato coinvolto nel reato di lesa divinità.
«Ora guarda bene, Naos. Guarda bene cosa ne penso della Dea!»
Naos si strinse nelle spalle, spaventato. «Fermo, questo è troppo, pensa alla tua anima!»
«Agli angeli l'anima! Che i nobili vedano la loro Dea cadere, sappiano che siamo incazzati e che presto verremo a prenderli!»
Il proiettile partì e si schiantò contro il piedistallo. Venne un fragore. Il piritio blu era invulnerabile, ma non valeva lo stesso per il sostegno. La scultura dell'invincibile divinità dondolò. E cadde.
Ain alzò le braccia e ululò di gioia. «Una soddisfazione!»
Naos continuava a guardare quella scena. Era allibito, nemmeno nei suoi sogni avrebbe immaginato un simile evento. La statua era stata abbattuta, non da un nemico, ma da un soldato semplice che avrebbe dovuto servirla. La colpa sarebbe passata su tutti i disertori, i nobili avrebbero seppellito l'evento e dato la colpa alle streghe, ma i loro cuori avrebbero tremato.
Ain gli mise una mano sulla spalla. «Vai, amico mio. La libertà ti aspetta».
Naos fece scomparire l'armatura e guardò Ain con occhi lucidi. Le loro strade si separavano, forse per sempre. «Io... non so cosa dire! Ain, tu...»
L'amico scattò in avanti e lo abbracciò. Naos represse un gemito e ricambiò, il cuore che correva all'impazzata, i ricordi che si susseguivano.
«Corri e non voltarti». Ain sciolse l'abbraccio e gli dette le spalle. «Questo non è un addio, ragazzone, ma un arrivederci!»
Naos si pulì la bocca. «Tornerò, amico mio. E porterò te e tutti gli altri via da qui!» Furono le ultime parole che gli disse prima di voltarsi e correre via.
Come l'acqua di un fiume supera la foce per immettersi nello sconfinato mare, Naos passò attraverso il varco. Si fermò: era lo stesso passaggio da cui era entrato solo un paio di mesi prima. In quel breve arco di tempo aveva imparato dalla vita più di quanto l'accademia gli avesse insegnato.
Era finalmente un uomo libero.
Forte di ciò, riprese la sua corsa verso l'ignoto. Lui avrebbe tracciato il suo sentiero e nessun altro.
***
Ain si sfregò i capelli. Lasciar fuggire l'amico era stato più doloroso di quanto si sarebbe aspettato. «Coraggio, Ain. Non è il momento di fare il sentimentale».
Doveva tornare indietro, stando attento a non farsi scoprire da qualche ufficiale. Si sarebbe messo un bell'elmo in testa, anche se avrebbe fatto molto male.
Frugò tra i cadaveri di un'arca e notò un cannone a mano, forse carico. Stava per raccoglierlo quando avvertì una presenza alle sue spalle. Strinse le labbra e si sforzò di assumere un tono allarmato e dispiaciuto. «Messer Lesath, meno male che siete qui!»
Il sacerdote li aveva inseguiti cavalcando uno sporco bonnacon, da cui era appena sceso. Teneva entrambe le mani sul bastone da passeggio e il suo sguardo sprizzava odio.
«I disertori! Ho cercato di fermarli, ma non sono arrivato in tempo».
Lesath fece una smorfia. «Ho visto tutto».
Ain finse di cadere all'indietro per la paura. Se il cannone era carico, poteva vincere. «Visto cosa? E c-come?» Simulò il terrore. «Perché non avete difeso la statua? La Dea sarà furiosa!»
Lesath lo ignorò. «Credi di aver salvato il tuo amico? Ho contatti in tutto l'Impero, lo troveranno e lo uccideranno in modo orribile. Non immagini a cosa lo hai cond...»
Ain usò la magia della terra per aprire una piccola fossa sotto al piede con la protesi. Lesath si sbilanciò. Afferrato il cannone, il soldato tirò la corda e sparò. Il proiettile detonò, liberando un'onda d'urto che sollevò Ain da terra e lo gettò tra i resti. Si concesse solo un istante per gioire. Gettata l'arma verso il fumo, vide una lancia. Cercò di afferrarla, ma una mano fortissima gli strinse la caviglia, lo sollevò in aria e lo sbatté come se fosse stato una bambola di pezza.
Ain incassò e vide Lesath: la veste stracciata, le braccia alzate a difesa ricolme di ustioni. Aveva fatto in tempo a difendersi con un incantesimo.
Non perdendosi d'animo, il soldato semplice tentò il tutto e per tutto. Aveva promesso a Naos che si sarebbero reincontrati, a Sadr di guidarlo e c'erano sicuramente altre persone che avevano bisogno del suo aiuto.
Non sarebbe morto contro quel vecchio storpio.
Scagliò una lingua di fuoco e mosse il suolo, ma Lesath fu pronto e schivò. Mentre il nemico saltava di lato, Ain fece partire un pugno. Lesath lo bloccò e gli spezzò il polso con una torsione. Ain gemette di dolore e tentò un calcio. Un pugno lo colpì sul ginocchio e il rumore di ossa che si rompevano gli frantumò i timpani.
Come poteva essere così forte? Da giovane era stato sconfitto da un thymos, una creatura potente ma non straordinaria.
Ain strisciò all'indietro e gli lanciò contro una lingua di fuoco. Lesath era una vera torre umana, avanzava come se le vampe fossero una folata estiva. «Aiuto, è pazzo!»
Il sacerdote gli afferrò la mano e gliela ruppe. Ain urlò prima d'incassare un pugno che lo fece sprofondare. Il corpo smise di rispondergli, ossa e organi erano stati massacrati, il dolore gli riempiva la testa.
Lesath lo sovrastava e la sua mano destra era avvolta dai fulmini.
Ain gemette e invocò aiuto. Per un attimo sperò che Naos, magari pentito, tornasse indietro. Non poteva fermare quel mostro. Era la fine e nessuno poteva salvarlo. Ain guardò con orrore Lesath, che si beò della sua paura. Fu in quel ghigno sfrontato che ritrovò la forza di arrecare un'ultima offesa. Era rivolta alla Dea, a Wasat, Dabih, Lesath e tutti gli altri.
Sputò. Saliva, sangue e succhi gastrici si mescolarono e volarono contro il sacerdote, che alzò il braccio sinistro. Lesath guardò allibito l'offesa che gli era stata arrecata. «Di nuovo, di nuovo!» ringhiò.
Ain avrebbe voluto sorridere. Mentre Lesath lo sollevava per un braccio, si rese conto di avere molti rimpianti. Davvero un peccato.
Sentì la mano tranciargli il collo e il mondo roteò intorno a lui. Vide Lesath che lo fissava mentre reggeva il suo corpo decapitato.
Quella vista lo avrebbe fatto urlare, se avesse avuto aria.
Lesath gettò il corpo, si avvicinò e levò un piede. Poi tutto finì.
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