Eroi e traditori

Naos aveva familiarizzato con le arti di Lesath. Si occupava principalmente di preparare delle pozioni curative, che poi venivano vendute ad altri mercanti che le avrebbero diffuse per l'Impero. 

In quei giorni Naos aveva letto numerosi libri e li aveva riconosciuti come opera dall'uomo che aveva preso il nome di Sirius l'Umiliato. Dopo la sconfitta per mano di Acrux le scoperte erano state attribuite a re Rigel, padre di Sirius. "Quanto avrebbe potuto fare quell'uomo, se solo non fosse stato sconfitto e bandito?"

Nei tomi si parlava anche di veleni. Naos e Ain progettavano di comprare del vino al basilisco, molto amato dai nobili. Erano però ancora lontani dalla quota necessaria. Per essere più sicuri, Naos aveva costruito una balestra artigianale e l'aveva posizionata nel proprio armadietto. Chiunque lo avesse incautamente aperto avrebbe attivato un meccanismo e si sarebbe ritrovato un dardo in faccia. Il ladro, probabilmente, non sarebbe morto, ma non avrebbe dimenticato la sorpresa.

L'ultimo tassello mancante era il moly, l'antidoto universale. Lesath aveva alcune di quelle radici. Se Ain ne avesse assunto almeno una piccola dose si sarebbe evitato molti rischi. Il piano prevedeva che Naos rientrasse nel laboratorio nella notte di un giorno di Megrez, e per non dare nell'occhio aveva preso l'abitudine di tornarci sempre la stessa sera. Che fosse per restituire qualche oggetto, prendere un utensile di bassa importanza o leggere con tranquillità, poco cambiava.

Naos rifletteva e macinava delle foglie secche al tempo stesso. Dubbi e propositi lo spinsero a mettere troppa forza e ruppe la coppa. «Signore, sono desolato!» si affrettò a dire.

Lesath, che aveva continuato a osservarlo per tutto il tempo, finì il vino e scrollò le spalle. «Non preoccuparti, è successo anche a me. Raccogli la polvere e vedi di fare più attenzione». Il tono era diventato più gentile.

Lesath provò a chinarsi di fronte a un armadio, ma una fitta alla gamba glielo impedì.

«Aspettate, faccio io». Naos aiutò Lesath a sedersi. Non sembrava nemmeno lo stesso uomo inquietante che lo aveva assolto dai peccati.

Presa un'altra ciotola e raccolte le polveri, Naos continuò a lavorare alle pozioni per altre due ore.

«Stai facendo un buon lavoro» ammise Lesath. «Mi dispiace di essere stato sgarbato».

Naos era incredulo. «S-signore, figuratevi, stavate solo facendo il vostro dovere».

«E tu fai il tuo. Hai qualcosa da chiedermi?»

Qualcosa scattò in Naos. Valutò l'ipotesi che Lesath sapesse leggere nel pensiero, come Wasat si era spesso vantato di saper fare. Tuttavia, Ain aveva rivelato i dubbi in privato e non gli era accaduto niente. 

Quella gentilezza poteva comunque celare una trappola. «Se posso chiedere... la vostra gamba... che è accaduto?» Non era normale che continuasse a zoppicare, una discreta magia avrebbe sanato un osso rotto.

Lesath ebbe un attimo di esitazione. «Perché lo vuoi sapere?»

Naos non poteva tirarsi indietro. «Vorrei solo sincerarmi delle vostre condizioni».

Lesath lo fissò per qualche istante, poi scoprì parte dell'arto. Naos rimase a bocca aperta. Era un unico blocco di piritio che si era fuso con le carni. «Tu ti sacrifichi per gli altri, giovane Naos?»

Il giovane osservò lo scintillante metallo color carne viva. «Sacrificarmi è mio dovere, signore».

Lesath fece un cenno di diniego. «Avrai notato che mi faccio pagare per assolvere il popolo dalle colpe e chiedo spesso soldi. Secondo te lo faccio perché sono avido o perché mi piace spremere fino all'ultima goccia i bifolchi?»

«Mai oserei!»

«Allora perché?»

«Sono sempre necessari soldi per le spese dell'Impero».

«Povero, giovane Naos. Non hai proprio il coraggio di dire la verità. Ma capisco, oh, se lo capisco». Lesath lo guardò con gli occhi scuri. Benché fosse più basso, a Naos sembrò imponente. «Fai bene a soppesare ogni parola. Ma credimi quando ti dico che sacrificarti è la cosa peggiore che tu possa fare. Se io avessi saputo la verità, se avessi potuto scorgere il futuro, allora avrei capito che sbagliavo clamorosamente. Ciò che conta è vivere appieno la nostra vita!»

Naos intuì. «Siete stato ferito in battaglia e abbandonato?»

«Quella è la sorte dei soldati. La mia è stata peggiore, oh, se lo è stata. Ti sei mai chiesto cosa rappresenti il mio stemma?»

«Direi che è un thymos, un drago delle paludi».

«Esattamente. Quando ero giovane decisi di... mettermi al servizio del mio prossimo. Ero un grande guerriero, sai?»

Solo un nobile o un ricco borghese avrebbe potuto permetterselo.

«Un giorno come tanti, dei paesani implorarono il mio aiuto per uccidere un drago di palude. Ero reduce di un altro grave scontro ed ero molto debole, sia nella mente che nel fisico. Le loro implorazioni, però, mi mossero a compassione».

Naos si rese conto che Lesath stava studiando i movimenti del suo corpo. D'istinto, mise le mani dietro la schiena, gesto che non sfuggì al sacerdote.

«Quella maledetta bestia si rivelò un esemplare paurosamente coriaceo. Riuscii solo a ferirlo, ma lui mi strappò di netto la gamba. Rallentai l'emorragia come potei e strisciai disperato fino al villaggio. Quei patetici plebei mi sputarono in faccia e mi maledissero. Sostennero che avevo infranto le loro speranze e che ero un incapace. Nessuno fece nulla e tre di loro tentarono perfino di razziarmi l'armatura. Dovetti ucciderli perché mi stessero alla larga. Proprio mentre un ragazzo stava proponendo di portare il mio corpo nella palude per tenere buona la bestia, sopraggiunse un signorotto locale. Si offrì di uccidere il drago, e così fece. Ho detto uccidere? In realtà tirò una lancia al drago agonizzante, dato che io gli avevo mozzato gli arti. Tornò trionfante e il popolo si prostrò ai suoi piedi. Con fare annoiato, quel nobile mi fece caricare su un carretto, ovviamente in cambio della mia corazza, e mi abbandonò di fronte a un tempio. Divenni un sacerdote e ancora adesso amministro il culto della Dea».

Naos non aveva osato interromperlo. «Così... così è per questo che disprezzate il popolo».

«Disprezzare è un eufemismo». Aprì la mano. «Finché li aiutavo erano pronti a gettarsi ai miei piedi...», la richiuse a pugno «ma quando sono diventato vulnerabile, ecco che si sono gettati sui miei averi. Erano animali affamati che si sono trovati in fretta un nuovo eroe». Lesath si fece forza e si alzò. «Lo sai perché ti sto dicendo tutto questo, giovane Naos?»

Naos, in sua presenza, si sentiva debole e vulnerabile, come se il sacerdote fosse in grado di leggere i suoi pensieri solo con l'intuito. «P-per mettermi in guardia».

«Lo sapevo che eri intelligente. Tu e i tuoi amici state... raccogliendo consensi. Ain con l'abilità nelle armi, tu curando a basso prezzo, cosa che ti ho lasciato fare per vedere fin dove volevi spingerti. Quasi non ci credevo quando ho saputo che ti sei messo ad aiutare Sirrah, seppur in cambio di qualche spicciolo. Ma non fidarti di quella massa, fidati di me e della Dea».

Il fatto che avesse parlato prima di sé e poi della divinità turbò Naos. «Non possiamo restare a guardare mentre qualcuno compie violenze. Ci sono soldati che...»

«Quello che fanno non è affar nostro. Loro vessano il popolo solo perché questo è troppo debole. Ci sono cinquantamila popolani che si fanno prendere per il naso da cinquanta soldati. Non lo trovi assurdo?»

Naos si grattò dietro la testa. «Ma hanno paura. Sanno che se si ribellassero ne arriverebbero cinquecentomila».

«Sbagliato. Sanno che i popolani degli altri distretti si girano dall'altra parte. Il problema del vicino è del vicino, non loro. Questa è la mentalità più diffusa. Per quanto la protezione della Dea sia un dono, non lo sanno sfruttare. Cercano qualcuno che risolva i problemi al posto loro e razziano le carcasse dei caduti. Se per loro scelta mi donano i loro soldi, anziché investirli per cambiare la loro vita... io posso solo assecondarli».

«Detto così paiono poco più che animali!»

«Togli pure il "poco più", giovane Naos. Anzi, sono peggio. Il cane a cui dai da mangiare ti vede come un amico e ti difende, mentre se lo prendi a calci ti vede come un nemico d'assalire alla prima occasione. L'essere umano deve in qualche modo essere stato maledetto dal Serafino, perché vive secondo una logica opportunistica».

Naos non se ne capacitava. «Se posso permettermi, non ha alcun senso. Perché godere del fallimento dell'eroe che ha tentato di difenderli? Capirei se chinassero la testa per paura, ma per sadismo è così... irrazionale».

«Perché molta gente è peccatrice nel profondo dell'animo, ingenuo Naos». Lesath agitò una mano. «Non sto parlando di essere propensi al peccato. Quello lo siamo tutti. Si tratta di sostenere, inconsciamente, il malvagio. Loro lo fanno perché dentro di sé vorrebbero essere come il Serafino. Vorrebbero avere una schiera di servi al comando, che la gente piangesse di terrore al loro passaggio. Vogliono essere le regole, non doverle seguire». Si arricciò la barba. «Considerala una sorta di superbia estrema, affiancata da una totale inettitudine».

Naos fece attenzione a ciò che diceva. «Messer Lesath... se posso permettermi, non penso che siano tutti così. Ci sono persone capaci e oneste anche nel popolo».

«Ribatti pure, giovane Naos. Ti leggo nello sguardo che vuoi aggiungere qualcosa. Non avere paura di parlare. Una persona intelligente vuole avere attorno qualcuno che la sa contrastare».

Naos fiutò un tranello. «Sperando di non mancarvi di rispetto, a me pare più una... fantasia di potere».

«Interessante, continua».

«Il loro è più una... reazione. Hanno subito angherie per tutta la vita, per cui hanno sviluppato il desiderio di apparire grandi e forti. Dopo aver passato anni in ginocchio davanti a un trono, può capire che qualcuno voglia vedersi in cima».

Lesath lo studiò e Naos si morse la lingua. Si era basato su qualche discorso che aveva fatto Ain tempo addietro, sulla gloria che avrebbe raggiunto e come avrebbe guardato chi lo aveva disprezzato dall'alto.

Una risata uscì dalla bocca del sacerdote. «Sei piuttosto intelligente, per l'età. La Dea illumina i sentieri dei talentuosi. Il nostro incontro non può essere casuale. Tu hai incontrato me, e io posso aiutarti. Lo stesso farò coi tuoi amici. Quando ti sei presentato la prima volta credevo che fossi uno dei tanti, ma avete dimostrato le vostre capacità. Come le userete?» 

Naos strofinò nervosamente le mani. «Mi avete dato molto su cui riflettere. Grazie, messere». Fece il saluto con quanta più serenità potesse trasmettere.

Lesath si fece da parte. «Puoi andare, giovane Naos. Mi aspetto grandi cose da voi».


                                                                                  ***

Ain alzò un boccale pieno di birra. «È stata una lotta all'ultimo sangue». Balzò sopra a un tavolo tra le risate di altri soldati e puntò il braccio su un nemico immaginario. «Lo scultone era emerso dal lago e mi fissava, era così grosso che avrebbe potuto inghiottimi in un sol boccone! Le sue squame erano armatura, il suo fiato un miasma velenoso. Quando ho incrociato i suoi occhi di pietra mi sono sentito come se dei lacci invisibili stessero stringendo le mie membra, ma non mi sono tirato indietro. Con coraggio l'ho sfidato e ho scagliato la mia lancia». Ain imitò il movimento. «Non l'ho nemmeno scalfito. Credendo di averla già vinta mi si è lanciato contro. Ma io gli sono balzato sulla schiena e gli ho piantato i pollici negli occhi. Il bastardo mi ha disarcionato e ha ruggito selvaggio, pareva piangere sangue». Mostrò il braccio sinistro, attraversato da due lunghi tagli. «L'odore della sua stessa essenza vitale lo ha confuso. Ha provato a scappare verso l'acqua, ma l'ho afferrato per la coda e trascinato indietro. Apriva e chiudeva le fauci, impazzito, così messer Sadr ne ha approfittato per piantargli la sua arma nella bocca!» Indicò il compagno con fare teatrale. Sadr alzò il pugno quasi con convinzione. «Le lance si sono spezzate e Sadr lo ha bersagliato di magie, facendolo infuriare. Vomitava il suo alito fetido, ma un'onda d'urto bastava a disperderlo. Per più di un'ora abbiamo combattuto e alla fine la bestia è dovuta soccombere!»

Naos alzò il boccale. «Ai nostri eroi!»

«Ai nostri eroi!» fecero eco i soldati, tra cui Sirrah.

«A Mani d'Oro!» esclamò Enif alzando il vecchio liuto.

Ain bevve tutto d'un fiato. «Che schifo, questa roba dovrebbe essere usata come veleno, disgusterebbe anche un cocito!»

Spica non era tra quelli che stavano festeggiando. «Queste storie sono assurde. Come possono due soldati semplici uccidere uno scultone? Quel coso pesa tonnellate e l'acciaio non lo scalfisce!»

Ain si sedette sul tavolo, le gambe che penzolavano e dondolavano con fare giocoso. «Perché non è l'armatura a fare il soldato».

«Mi stai sfidando, soldato semplice?» Spica aggrottò la fronte.

«Siete tutti fissati». Ain espose una moneta d'argento. «Questa me la sono guadagnata onestamente. Magari la prossima volta avvicinati». In realtà la paga era di sei visconti e Ain aveva dato indietro il resto.

Spica fece una smorfia e si alzò, seccato. Molti soldati risero. La sua autorità era andata distrutta.

Ain appoggiò il boccale e sprofondò su una sedia. Era diverso dall'accademia. Lì poteva brillare. Spica era fastidioso, ma fuggiva il confronto. Aveva perfino smesso d'importunare i paesani. Andava tutto bene: Ain e Sadr uccidevano i mostri mentre Naos assisteva Lesath nella preparazione delle pozioni che venivano vendute. Era bello... fin troppo.

Ain si alzò, salutò gli altri soldati e uscì per sgranchirsi i muscoli. Erano in pieno autunno e i contadini non avevano smesso di lavorare. Alcune piante particolari nutrivano il suolo e altre mantenevano la temperatura adeguata, ma i paesani vivevano in condizioni davvero misere. La maggior parte del denaro veniva sottratto con le tasse. Le voci volevano che il generale Zadok facesse continue ricerche per costruire delle armi capaci di abbattere i cociti.

Ain rigirò una moneta di bronzo. La lanciò in aria, l'afferrò e ripeté il gesto. La sua forza e la diplomazia di Naos avevano portato dalla loro Sadr, Sirrah, Enif e un'altra ventina di soldati di vario grado. Altri li guardavano con maggior rispetto. Più i giorni passavano più sentiva una profonda soddisfazione. Tentare di assassinare Tarazed voleva dire rischiare di perdere tutto. Per vendicare una sconosciuta? Gli abusi c'erano sempre stati e il loro gesto sconsiderato non avrebbe cambiato nulla. Superato il momento di rabbia, quell'idea che lui stesso aveva avuto gli sembrava pura idiozia. Non ne aveva ancora parlato con Naos perché non lo aveva mai visto così risoluto. I recenti eventi avevano frantumato la sua fiducia nella gerarchia, ma stava coltivando quella in sé stesso.

«Ain!» lo chiamò una voce. Era Sadr. Lo aveva seguito.

«Ti è passata la sete?»

Sadr era imbarazzato. «Veramente... io...». Prese un respiro e si batté il pugno sul cuore. «Volevo ringraziarti, senza di te non sarei mai stato rispettato. Tu sei un capo che seguirei volentieri in battaglia!»

Ain negò agitando una mano. «Sadr, aiutarti è stato un piacere, ma... se apprezzi ciò che faccio cerca di trarne ispirazione. Migliora te stesso e aiuta il tuo prossimo, e, per il momento, cerca di non esporti troppo. Ci sono ancora forze che non possiamo combattere».

Sadr assentì. Lo guardava con un'ammirazione che Ain considerò eccessiva e imbarazzante. Sadr era consapevole di essere debole e per questo cercava qualcuno che lo guidasse. Più combatteva al suo fianco per aiutarlo ad accrescere la sua fama, più rischiava la vita. I sottoposti si erano sempre sacrificati per i superiori, ma Ain si sentiva sempre più coinvolto. Quanto avrebbe dato, ai tempi in cui Dabih lo umiliava, per avere qualcuno che facesse scappare gli aggressori e lo aiutasse a venir rispettato? Naos non aveva potuto fare molto, se non tenerlo lontano dai guai e intimorire i meno coraggiosi.

Ain guardò quegli occhi celesti e si domandò ancora cosa dovesse aver passato. «Stavo pensando... hai detto che scrivi bene, giusto?»

«Certamente» rispose Sadr ostentando sicurezza.

«Allora domani ti presenterò a messer Lesath. Uno come te gli farebbe davvero comodo».

La gioia di Sadr si spense. «Ma, Ain... credevo che avremmo combattuto...»

Ain gli andò incontro e gli dette un colpetto amichevole sulla testa. «Qualche volta potrai venire. Ognuno deve fare ciò che gli riesce meglio». Dopo aver guardato in giro, gli bisbigliò: «Adesso tutti pensano che tu sia un discreto guerriero, dato che mi hai assistito. Ti lasceranno in pace. Naos, che ha la stima di messer Lesath, ti farà da tramite».

Sadr deformò le labbra in una piccola smorfia. «Capisco. Penso che tu abbia ragione». Il suo tono di voce era diventato meno insicuro.

«A tal proposito... quando parlerai con messer Lesath, vedi di evitare di dire che pensi o credi una cosa. O è in un modo oppure no. Non gradirà gli insicuri. D'accordo?»

Sadr assentì e si rilassò.

Ain gli mise una mano sulla spalla e sorrise bonario. «Dai, per stanotte possiamo rilassarci. Facciamo due passi, ho ancora parecchie cose da insegnarti!»

                                                                      ***

Naos aveva passato la serata a ridere e scherzare. Uscito dalla locanda, fece un piccolo rutto. 

«Datti una controllata, maiale». Alrai era appoggiata alla parete, sempre in armatura e con la spada alla cintura. 

Naos si strofinò il viso. Aveva bevuto solo un paio di birre, ma era stanco. «Non riesci proprio a starmi lontana!»

La guerriera sguainò lentamente la spada. Naos alzò le mani e indicò la locanda con gli occhi. «Dentro ci sono parecchi uomini che stanno dalla mia parte».

Alrai gli puntò la lama alla gola e lo fece indietreggiare verso la parete. «Tu pensi davvero che il distretto stia dalla tua parte. Sbagli di grosso. Ti troveranno interessante finché non cadrai, poi spolperanno il tuo cadavere».

A Naos ricordò il discorso di Lesath. «Sì, lo so, il popolo è ipocrita, mi lasci andare adesso?»

«Tu non capisci. Sei convinto di aver riunito mezzo distretto nelle tue mani, credi di poterli usare, ma sono loro che usano te».

«Di cosa hai paura? Sei tu quella di grado più alto dopo Lesath».

«Ma sei tu quello che è sempre al suo fianco. Il vero capo è quello a cui tutti danno retta, non quello con più fasce».

Naos si chiese se il cuore gli stesse battendo per la paura o per altro. Alrai aveva davvero dei begli occhi, e anche se sfigurava di fronte a Nashira, quell'armatura le dava un'aria dominante. Peccato per la differenza di età. «Tu confondi i motivi: sì, voglio essere ricambiato, così staremo tutti meglio, non perché voglio diventare più potente».

La guerriera lo fulminò con lo sguardo. «Se c'è qualcosa che odio più di un leccapiedi è chi si vanta di essere moralmente migliore. Tu cerchi tanto di fare il buono perché così qualsiasi cosa farai sarà giustificata e nessuno ti riterrà capace di congiure».

Naos si morse la lingua per non parlare del complotto ai danni di Tarazed. Probabilmente Ain aveva pensato di fare del bene anche per costruirsi un'immagine, ma non era il solo fine. «Smettila di paragonarmi a quelle persone, non sono un ipocrita!»

«Cosa farai quando non ti ricambieranno?» ribatté accorata. La domanda lo colse impreparato. Perché non avrebbero dovuto ricambiare chi li aiutava? Avevano interesse a farlo. «Quando non lo faranno, getterai la maschera e mostrerai che sei solo un'egoista come tutti gli altri!» Così dicendo gli dette le spalle e se ne andò impettita.

Naos era disorientato e dispiaciuto. Alrai era così ossessionata dal combattere quello che per lei era il male da vederlo ovunque. 

La sua era una dichiarazione di guerra. Ripensò a quella notte in cui avevano cercato di... Rabbrividì. Non c'era stato verso di farle cambiare idea. Avrebbe dovuto tenere gli occhi aperti. 

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