Bellatrix
Zadok assaporava il vento sul viso e ammirava la capitale del Regno dei Megrez: Yuldin, presidiata dal Colosso di Pietra. I piedi della statua erano appoggiati su due moli laterali e la figura, armata d'ascia, s'innalzava per decine di iarde.
I moli proseguivano, unendosi a due piccole isole dove erano stato erette altre fortificazioni e dove i soldati, muniti di cannoni magici, erano pronti a reagire a ogni evenienza.
Alle loro spalle il porto era in fermento: c'erano navi da guerra che avevano compiuto la pattuglia, le mercantili vendevano i loro prodotti e le baleniere trascinavano degli immensi rettili dalle squame lucenti.
Le arche passarono sopra ai palazzi dai tetti triangolari. A differenza di Alcyone, che era separata da quattro cerchie, Yuldin si divideva in piccole isole, collegate tra loro da lunghi ponti formati da spesse e regolari radici. Ogni estremità era protetta da due statue, una maschile e una femminile, entrambe munite di un libro e di un'arma.
Le mura erano formate da giganteschi viticci, spessi come alberi e ricoperti di spine acuminate, ma solo verso l'esterno. Grandi alberi punteggiati di fiori sostenevano le abitazioni minori, o lo erano loro stessi. Il suolo si alzava e abbassava, a volte formando piccole cascate, altre laghetti; i gazebo sembravano dei boccioli che si aprivano e uomini di vimini, lavorati per ricordare delle donne vecchie e deformi, venivano dati alle fiamme. Rappresentare le empuse in quel modo aiutava i bambini a vederle come malvagie, ma era anche un modo per pulirsi la coscienza. Mostrarle come spregevoli megere era un modo per sentirsi dalla parte del giusto, mentre se fossero state splendide e giovani un comune guerriero si sarebbe riempito di dubbi e incertezze.
Poiché erano nemiche sia degli uomini che degli angeli, c'era chi aveva valutato l'idea di allearsi con loro. A memoria di Zadok, le trattative erano sempre fallite.
L'arca si fermò al centro della piazza principale, dove si ergeva una piccola montagna in cui erano stati incastonati palazzi, ponti, santuari e giardini. Il palazzo reale, posto in cima, era sormontato dalla scultura di una donna bellissima con grandi ali cristalline.
Atterrarono lentamente. Zadok si sistemò il turbante, assaporò il profumo dei fiori e calcò il ponte.
La vide: Bellatrix non camminava, ma la scalinata, anch'essa composta da legno incantato, si muoveva secondo il volere dei servitori.
Quando giunse di fronte a lui, la guardò dalla testa ai piedi: indossava una tunica verde, con un lungo mantello saldato da una spilla a forma di foglia; la fronte era cinta da una corona composta da viticci di smeraldo, in mezzo a cui brillava un grande rubino intagliato a forma di rosa. I capelli erano di un rosso abbagliante e raccolti in due lunghe trecce che ricadevano sulle spalle.
Ogni volta che la vedeva Zadok provava sentimenti contrastanti: le labbra a cuore, le forme piene, la procace scollatura e la sua bassa statura l'avrebbero resa il sogno di molti uomini, e così era da giovanissima. Ma Zadok sapeva cos'era stata capace di fare, una volta arrivata al punto di rottura. Rottura che forse non si sarebbe mai del tutto saldata.
Zadok fece l'inchino. «Che il cerchio si chiuda, regina Bellatrix!»
«La natura è in me, e io sono nella natura, lord Zadok» rispose lei con una voce dolce come il cinguettio di un usignolo. «La vostra presenza mi onora». Alzò la mano all'altezza della spalla e gliela porse; Zadok le prese delicatamente le dita e la baciò. «Voi onorate me con tali parole. Perdonatemi, mia signora, se non mi tratterò a lungo».
Bellatrix gli sorrise. «Sempre oberato di lavoro!»
«Sono solo un umile messo dell'Imperatore». A un cenno di Zadok dei servitori s'inginocchiarono e consegnarono numerosi doni: una collana di diamanti, una scultura di zaffiro di Bellatrix stessa, delle nuove specie di piante e numerosi libri.
Bellatrix li guardò con disappunto. «Niente lettera d'amore con frasi sdolcinate? Mi delude!»
«A dire il vero ho due lettere: una di lord Muliphein, l'altra di vostra sorella».
«Sicuro che la prima non sia diretta a voi?» domandò Bellatrix. Ricevute le pergamene, le affidò a un servo, si fece da parte e chinò la testa. «Le leggerò prima dei festeggiamenti in vostro onore. Prima, permettetemi di accompagnarvi per i giardini reali».
Zadok la prese a braccetto e s'incamminarono insieme. Udì lo scrosciare delle piccole cascate e il cinguettio degli uccelli. Il vento soffiò, portando il profumo delle campane dell'inverno e i loro rintocchi. Zadok si fermò per ammirarle: quei fiori erano piccoli, ma luccicavano come cristallo e, quando si urtavano tra loro, producevano un suono squillante e vivace. La leggenda voleva che fossero nati quando il primo cocito era stato abbattuto, e che quel suono fosse il canto dei gioiosi spiriti che ne annunciavano la morte.
«Rilassante, non trovate?» domandò Bellatrix.
«Magnifico, mia signora. Magnifico» sospirò.
Passarono per scalinate, vie e giardini. Non parlarono molto, si limitarono a poche frasi di cortesia. Tuttavia, Zadok ebbe più volte la sensazione che il braccio della regina stringesse. «Qualcosa vi turba, mia signora?»
«Non posso negarlo. Conoscete la situazione. Piuttosto, non sapevo che l'Imperatore vi usasse come messo. Mi suonerete la serenata, la prossima volta?»
Zadok rise. «Sapete com'è fatto. L'Imperatore non si scoraggerà».
«Potrà insistere quanto gli pare, e la mia risposta sarà sempre la stessa». La voce era impregnata di veleno. «Ma non parliamo di questi argomenti così noiosi. Non vedo l'ora di sapere di tutte le vostre innovazioni e della fierezza provata di fronte alle nuove leve!»
Per Zadok fu un pugno allo stomaco. «Quindi sapete».
«Suvvia, Zadok. Sono una donna di politica. Vi stanno facendo diventare matto, non è così?»
Non aveva perso il suo senso dell'umorismo e il suo temperamento non si era ammorbidito. «Secondo voi ho bisogno di una pausa?»
«Per stasera cercatevi qualche altro argomento di discussione. Si terrà un banchetto in vostro onore e ci sono giovani dame interessate a voi. Mi raccomando, non fatelo sapere a lord Muliphein, potrebbe rattristarsi».
«Non giova essere troppo affascinanti» ammise Zadok mentre dei soldati si facevano da parte e chinavano il capo al loro cospetto. Mentre camminava, si chiese se non sarebbe stato, da parte sua, molto più intelligente trasferirsi a Yuldin, ma da lì non avrebbe potuto contattare rapidamente l'Imperatore per informarlo di ogni progresso importante o per richiedere dei fondi.
«Dovrete sopportare molti giovani lord e lady. Oserei dire che verrete assediato, vorranno sapere cosa avete provato quando mi avete salvata».
«Dite che faccio ancora in tempo a scriverci sopra un libro?» Con gli introiti avrebbe finanziato un nuovo progetto.
«Per le ali delle fate, no!» Bellatrix mosse una mano con eleganza, i gioielli che scintillavano e le vesti che danzavano come delle chiome. «Assumete un bardo scarsamente pagato e metteteci la firma. Sarà un bel poema epico, peccato che mi ritrarrebbe solo come una damigella in pericolo. Al limite lasciate la mia parte per il seguito».
Camminarono ancora per qualche minuto, poi Bellatrix fece un cenno e si staccò. «Qui va bene».
«A che vi riferite?»
«Per tramare in tutta tranquillità». Era meno dolce e molto più dura. «Suppongo che consideriate la vostra promozione a generale di confine una cosa scontata».
«Chi altro ne sarebbe degno?» domandò Zadok, fiero.
Bellatrix mise una mano sotto gli abiti ed estrasse una pergamena. «Re Rigel non è proprio d'accordo».
Zadok la srotolò e guardò costernato. Nel testo, Rigel confessava di provare i mali della vecchiaia e manifestava una sincera ammirazione nei confronti di... Thuban?
«Come fratello della regina, è di sangue nobile e i suoi metodi sono alquanto apprezzati». Bellatrix non lo aveva deposto solo perché faceva divertire il popolo e fomentava l'odio verso il nemico.
«Ma è un bruto e le sue scuole gladiatorie servono solo a creare dei mostri. Cosa ne sa di strategia militare?»
«I più apprezzati gladiatori Alioth sono suoi allievi. Re Rigel ritiene che il suo regno abbia perso lo spirito combattivo, che i giovani debbano tornare a vivere per combattere. Nella sua ottica, un generale deve incarnare l'unità e la coesione».
Zadok si sfregò il viso. La sua unica consolazione era che Muliphein e i suoi soldati non potessero vederlo. «Dopo tutto quello che ho fatto non mi farò strappare il titolo così!» Guardò sospettoso Bellatrix. «Intendete opporvi?»
«Il mio casato trarrebbe grandi benefici da un matrimonio». Parlava delle driverne, ibridi ottenuti facendo accoppiare il drago di Rigel con le viverne. Erano più forti dei loro padri e, a differenza loro, erano pronte ad avvicinarsi ai territori saturi dell'odore dei cociti. Con loro c'erano gli alberi mangia-angeli, che Rigel aveva sparso su montagne e confini.
«Non potete farlo!» si accigliò Zadok. «Rigel ha bandito Sirius dopo averlo forzato a combattere contro Acrux e lo ha cancellato dagli annali!»
«Quel pazzo è stato la rovina del regno. Ma non si può dire che non abbia giocato a vostro favore».
Dopo la sconfitta di Sirius l'Umiliato, al fine di riscattare l'onore del proprio casato, Rigel aveva fatto pressioni per divenire generale di confine. Acrux aveva finto una concessione, quando sapeva fin dal principio che Rigel fosse l'unico abbastanza ambizioso e incompetente da mandare in rovina il Regno di Alioth.
Acrux avrebbe potuto benissimo rifiutare, nominare qualche suo parente e finanziare i progetti che Zadok aveva raccolto, ma realizzarli su vasta scala avrebbe richiesto un immenso dispendio di risorse che avrebbe portato a una rivoluzione tecnologica. Per giustificare un simile cambiamento avrebbero avuto bisogno di prove schiaccianti della necessità.
I soldati che Rigel aveva mandato nelle cariche suicide erano martiri della causa.
Per mettersi a posto la coscienza Zadok si era più volte detto che non avrebbe potuto evitare quei sacrifici. Era stato l'Imperatore, vicario della Dea, a decidere. Zadok aveva preferito girarsi dall'altra parte, conscio che, se non ci fossero state tutte quelle morti, le opposizioni dei maghi avrebbero bloccato la rivoluzione tecnologica. La visione di Zadok prevedeva un futuro dove anche un popolano senza poteri avrebbe potuto unirsi all'esercito e fare la sua parte senza essere carne da macello. Poi aveva guardato ancora più lontano, e aveva visto macchine sempre più avanzate, capaci di contrastare gli angeli. Tutta l'umanità si sarebbe coalizzata e avrebbe spazzato via i cociti, aprendo la strada al Prescelto.
Se solo ci fosse stata un'altra soluzione, qualcosa che avrebbe permesso di salvare tutti, ma non l'aveva trovata, troppa era l'opposizione delle classi che non volevano veder minato il loro potere. La sua era una rivoluzione costruita su montagne di cadaveri e laghi di sangue, ma solo Rigel avrebbe avuto le mani macchiate.
Acrux, invece, avrebbe presentato Zadok come il nuovo generale: uomo del popolo, innovatore, benedetto dai Mizar e difensore dell'Impero. La marionetta perfetta per migliorare la propria reputazione e consolidare il potere.
Nonostante quei risultati, Zadok si addormentava e svegliava col terrore di poter fallire. Perché, se le sue armi e i suoi soldati non fossero riusciti ad aver ragione dei nemici, i progetti sarebbero stati accantonati e forse dimenticati per sempre.
«Attento a quel che pensate, lord Zadok. Percepisco ancora la vostra vergogna». Zadok, nel vedere i denti bianchi di Bellatrix, si sentì come se avesse di fronte un predatore. Lei aveva svelato la sua effettiva natura: quella di un codardo che si era nascosto dietro alla necessità e alla debolezza. «Non siate turbato. Tutti quanti facciamo cose di cui non andiamo fieri. Per raggiungere un obiettivo, dobbiamo muovere alcune pedine, convinti di star perseguendo il bene comune... oppure il nostro? Molti di noi hanno una visione distorta del mondo, secondo cui ciò che fa il nostro bene, allora lo farà anche agli altri. A lungo termine».
Zadok credette di specchiarsi in quei prati di smeraldo. «Appoggerete vostro fratello?»
«Io guardo il bene del mio regno. Per mia fortuna, Rigel vuole costruire una nuova generazione di... eroi». Fece una smorfia disgustata. «Ho tutto da guadagnarci. Tuttavia, ci sono poche cose che mi darebbero più piacere di deludere quel vecchio citrullo, umiliare mio fratello e vedervi soddisfatto».
«Quindi lo contesterete».
Bellatrix sbuffò e guardò il cielo sereno. «Fino a un certo punto. Mostrate che quanto avete fatto è valido, e vi aiuterò. Non senza chiedere nulla in cambio».
Formule, progetti, armi. «Avrete tutto ciò che mi chiederete».
«E non dovrete chiedermi soldati. Sarò io a decidere chi e quando mandare».
Zadok rimase paralizzato. «Le truppe che mi obbediscono direttamente sono poche, i Mizar non approveranno le armi a polvere, gli Alioth sono a pezzi e...»
«I Mizar obbediranno all'Imperatore, ma aspettatevi qualche alterco. Vi invierò dei battaglioni per mantenere la posizione, e sicuramente riceverete delle driverne. Per il resto, dipenderà da voi».
Zadok era sul punto di replicare quando intuì la trappola. "Se le vostre armi sono così potenti non avete nulla da temere". «State facendo tutto questo per proteggere il vostro regno?»
«Non fatemi la morale. L'Impero è unito solo quando abbiamo problemi, quando sono di qualcun altro torniamo a essere tre regni separati. Saremo uniti solo quando rimarrà un solo casato».
«Se non parteciperete, verrete considerati dei codardi».
«Siamo noi a controllare la produzione di seta e pietra fatate». Bellatrix fece una pausa. «Al posto dei soldati, potremmo fornirvene grandi quantità. O addirittura...»
«Le fate non sono mai uscite dal palazzo!» protestò Zadok.
Bellatrix risucchiò dell'aria. «Povero ingenuo. Dopo i festeggiamenti ve le farò incontrare». Gli dette le spalle e si avviò verso l'uscita. Le vesti, accarezzate dal vento e dal sole, danzavano e scintillavano. «Per il momento abbiamo parlato abbastanza. Seguitemi, vi condurrò alle vostre stanze».
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