Ambizioni

Erano state giornate noiose e deprimenti in cui Ain non aveva fatto altro che marciare e spalare il letame. Anche se si era offerto volontario per risolvere problemi nei villaggi limitrofi non aveva ancora ricevuto il permesso. In qualità di marchiato avrebbe ricevuto solo un decimo del compenso e non sarebbe salito di grado, ma avrebbe guadagnato in reputazione.

Il senso di frustrazione che si era impossessato di lui non lo aveva agevolato nel rispondere con una sola parola quando gli altri soldati semplici criticavano qualcuno d'importante: era un modo diffuso per far uscire allo scoperto i dissidenti e farli punire. Aveva sentito dire che i sottufficiali, occasionalmente, prendevano una persona a caso e la frustavano, per dare l'esempio. Ain e Naos si erano anche accordati sul non fare domande nel caso i superiori avessero trattenuto una parte della paga.

L'amico gli aveva raccontato della spiacevole rissa coi soldati. Ain lo aveva rimproverato per non aver ucciso nessuno e gli aveva raccomandato di montare una trappola nel suo armadio. La violenza aveva molte forme e qualcuno avrebbe cercato d'imbrattare i loro abiti e di forzare i loro cassetti o armadi, sia per derubarli che per lasciarci dentro doni indesiderati.

Naos si portò vicino a lui. «Senti la mancanza di qualche angelo da sgozzare?»

Ain si sedette per terra, vicino ai campi. «Lascia perdere. Tu che hai deciso?» Parlare lentamente gli faceva molto meno male. 

Gli occhi di Naos brillarono e si sfregò le mani. Accertatosi di essere solo, s'inginocchiò. «Le persone qui sono ossessionate dalle benedizioni. Si scagliano come fanatici per fare donazioni e lottano come animali affamati per consegnare una moneta in più. Messer Lesath mi è parso compiaciuto. Quell'uomo mi preoccupa. E poi ha già un'assistente, si chiama Sirrah. Era la maga che lo assisteva».

«Avrai da preoccupartene di più se non te lo farai amico. Vai da lui e mostra il tuo talento. Cerca solo di approvare anche a voce, e non limitarti ad assentire muovendo la testa su e giù come un ubriaco». Ain giocherellò con la lancia. «Io invece m'ingrazierò Alrai e i paesani».

Naos lo guardò pensieroso. «Questo posto è così triste, vorrei dare una mano».

«Solo? Non intendi salvare la tua bella dalle grinfie del perfido?»

Naos arrossì leggermente, la voce si era fatta un tremito. «Io... penso a lei ogni notte, lo ammetto. Io vorrei, cioè, penso di essermi innamorato di lei!»

«Tieni buono il cazzo, Naos, non vi siete nemmeno parlati».

«Alcuni eroi si sono innamorati a prima vista» rispose Naos con naturalezza.

Ain conosceva quei racconti: intrepidi campioni che salvavano fanciulle dai mostri o che le incontravano in luoghi idilliaci. «La tua è una follia, Naos, ma io sono con te. Non abbiamo i mezzi per salvare la damigella, per cui dobbiamo procurarceli». Omise volutamente "in un modo o nell'altro". «Tu cerca di non fare tante domande e attieniti alle mie direttive. Al resto penserò io».

«Da quando sei tu che comandi?»

Ain si picchiettò l'elmo a livello della tempia. «Da sempre. E se le cose andranno male sarai tu a prenderti la colpa».

Naos scoppiò a ridere. «Sei uno stronzo, Ain!»

«E se le cose andranno bene, io mi prenderò tutto il merito».

Un amaranto passò di fronte a loro correndo a perdifiato. Altri due gli andavano dietro. «Muovetevi, è arrivato un novellino!»

Ain e Naos si scambiarono un'occhiata e si unirono al gruppo.

Il carro aveva portato un soldato semplice piccolo e gracile. Una massiccia fiamma gialla, che Ain riconobbe come uno dei nobili minori di Dabih, lo gettò giù dal carro. La faccia cadde nel fango, scatenando le risate generali. Un militare disse: «Ha talento, ha già capito qual è il suo posto!» Era Spica, sempre col filo di grano in bocca e scarcerato dopo aver pagato la cauzione.

Naos andò a soccorrere la recluta, seguito da Ain. «Stai bene, ragazzo?»

Il nuovo venuto alzò il capo segnato dai lividi.

«Sadr?!» esclamò Ain prima di fare un passo indietro. La gioia sostituì lo stupore. «Hai avuto quel che meritavi!»

Naos lo zittì alzando una mano e aiutò Sadr ad alzarsi. «Per l'amor della Dea, che cosa ti è accaduto? Eri fiamma gialla!» La notizia ammutolì i soldati. Perfino Spica, all'idea di un simile degrado, sbiancò.

«Fiamma arancione, chi ti ha dato il permesso di farti avanti?» rimproverò Alrai.

Naos sostenne lo sguardo per qualche secondo prima di spostarsi. Non poteva sfidarla.

«S-soldato semplice Sadr, Figlio di Nessuno, a-accademia Alioth numero venticinque!» balbettò.

Ain scosse la testa. Se non fosse stato lo schiavo di Dabih non sarebbe sopravvissuto alla prima metà del corso. Anche gli altri soldati sembravano essersene accorti, visto che lo guardavano compiaciuti di aver trovato qualcuno più debole di loro.

Alrai si fermò di fronte a Sadr e lo sovrastò. «Seguimi, recluta. Ho molte cose da spiegarti». Nella sua voce c'era una punta di divertimento. La massa di soldati si aprì e Sadr gli andò dietro goffamente.

«Lo sbraneranno» commentò Naos scuotendo la testa.

«Dov'è il problema?» chiese Ain.

«Cosa vuoi fare, essere il primo a prendertela con lui?» 

«Ci stavo pensando, lo ammetto. Se lo facessi otterrei in un colpo solo la stima di tutti».

«Critichi qualcuno e poi ti comporti come lui?» ribatté severo l'amico.

Ain andò oltre. «Se conosco Dabih, e fidati che lo conosco bene, dopo la figura con lord Zadok si sarà sfogato sul suo Pallido Codardo. Non soddisfatto, lo avrà fatto combattere con qualche altro protetto, ma Sadr è forte quanto una dypsa senza veleno. Dopo l'ennesima umiliazione lo ha cacciato a calci in culo. Fine della storia».

Naos si girò e aprì le braccia. «Non ti fa un po' pena?»

«Guarda che io sono nella sua stessa posizione, al momento. Anzi, pure peggio». Si spazzolò il capo. «Non cercare di aiutarlo. Non ce la farai».

«Andiamo a parlargli».

Ain scrollò le spalle, ma sotto a quell'atteggiamento sentiva l'amarezza. Davvero stava provando compassione per quel verme? Umiliarlo e insultarlo gli avrebbe permesso di ottenere l'approvazione degli altri soldati. O forse... «Sì, andiamo» cambiò idea.

Naos non fece domande e andarono di fronte alla caserma. Sadr era appena uscito.

Rimasero a guardarsi per lunghi secondi senza proferire parola. Il viso contratto di Sadr metteva in risalto i lividi. Chinato il capo in modo plateale, si batté il pugno sul cuore e disse: «Mi dispiace! Per dieci anni sono stato incapace di oppormi a Dabih e sono stato il suo servo. Per dieci anni ho riso quando lui ti umiliava e sono stato da tutti considerato un codardo. Mi dispiace, davvero, Ain. Sei tu il vero primo dell'accademia!»

Ain gli andò incontro. Sadr era così basso d'arrivargli a stento alla spalla. «Se lo avessi fatto in un altro momento ti avrei ascoltato. Ma siamo tutti bravi a chiedere perdono quando siamo in svantaggio».

Sadr deglutì e guardò il marchio. Dabih aveva detto le stesse cose prima di lasciarlo.

Ain gli premette un dito sullo stomaco. «Che cosa dovrei fare di te, ora? Tu eri la sua ombra».

«Avevo paura Ain, io non sono forte come te, io morivo, morivo!» si giustificò.

Ain sentì una certa soddisfazione di fronte a quel viso paonazzo e spaventato. Sapeva che altri soldati lo stavano guardando. Aveva già dimostrato di essere forte. Se si fosse accanito sul debole, lo avrebbero applaudito. «Lo sai che qui non c'è nessuno che voglia uno schiavo? Qui tu sei la feccia, Sadr!»

Sadr chinò la testa e trattenne a fatica un gemito. Ain sentì lo stomaco contrarsi. Più che un guerriero gli pareva un bambino alle prime armi. Chi aveva pensato di farlo diventare un soldato?

Con uno scatto, afferrò Sadr per le spalle. «Stammi a sentire: troverò una soluzione vantaggiosa per entrambi. Non discutere. Siamo intesi?»

«S-sì» rispose Sadr, pallido in volto.

Ain lasciò la presa. «Possiamo andare».

«Sadr, vieni con noi» invitò Naos. Gli altri soldati non avrebbero attaccato briga in sua presenza. 

Ain si mise alla destra di Naos e Sadr alla sinistra, dando l'impressione che fosse la fiamma arancione a guidare il gruppo.

«Ora ascoltami, Naos. Domani Lesath terrà la celebrazione, ma stasera sarà disponibile per le offerte e le eventuali confessioni. Approfittane per parlargli e per offrire i tuoi servigi».

«Lo farò, lo farò. Ma tu che vuoi fare con Sadr?»

«Qualcosa che aiuterà entrambi. La mia ascesa è appena cominciata!»

                                                                                     ***

Naos fece un respiro. "E pensare che una volta volevo fare il giocattolaio!" Dopo la discussione con Ain aveva passato il pomeriggio e parte della serata e pensare a come comportarsi. Detestava confrontarsi coi superiori. Aveva sempre pensato che fosse meglio obbedire senza protestare o farsi troppe domande.

Era divenuto un gran sostenitore della legge e dell'ordine fin dal giorno in cui, da bambino, dei soldati rivoltosi avevano ucciso il comandante e razziato il villaggio vicino. I suoi genitori erano morti e lui si era salvato solo perché la madre aveva fatto in tempo a nasconderlo sotto il letto. Aveva pianto e pregato mentre udiva i soldati che entravano in casa, aveva sentito i suoi genitori tentare di opporre resistenza e aveva visto due laghi di sangue spargersi. Una testa, quella di sua madre, era rotolata vicino al suo nascondiglio. Gli occhi scuri lo avevano fissato mentre lui si mordeva le mani per non urlare. I soldati avevano razziato quello che avevano trovato ed erano spariti nella notte.

Il piccolo Naos non aveva avuto il coraggio di strisciare fuori. Più volte aveva chiuso gli occhi nella speranza che, riaprendoli, il volto della madre scomparisse. Ma era ancora là a fissarlo con terrore, come se lui stesso fosse la causa della fine. Mai si era sentito così debole e vulnerabile.

I soccorsi erano arrivati poche ore dopo. Lo avevano trascinato fuori mentre scalciava, lo avevano zittito con uno schiaffo e gli avevano detto che cos'era accaduto. Gli avevano urlato che si era salvato per volontà della Dea e che doveva onorarla.

Questo accadeva quando i soldati si ribellavano. Ma anche quando eseguivano gli ordini, nel caso il comandante fosse come Dabih e Wasat. Loro non erano veri devoti alla Dea, ma gente che ne usurpava il nome. Doveva mettere alla prova quel Lesath e capire se si trattava di un fedele o un traditore. Aveva pochi dubbi in proposito, data l'accoglienza riservata alle reclute.

Varcata la porta a sesto acuto, entrò nel tempio: centinaia di panche erano disposte ordinatamente, statue degli eroi del passato fissavano e giudicavano chi entrava. I passi rimbombavano e davano la sensazione di essere seguiti. Naos invidiò Ain e si chiese come facesse a mettere in dubbio la parola dei comandanti senza provare il terrore della dannazione. Forse le eccessive punizioni di Wasat lo avevano "deviato", oppure il suo animo era come una spada affilata che non si poteva smussare.

Lesath, il sacerdote, era seduto dietro all'altare, intento a leggere un libro e a sorseggiare del vino. Naos si fermò a poche iarde di distanza e non fiatò. I minuti trascorsero carichi di tensione. Senza l'ebrezza provocata dalla birra e dalle danzatrici, Naos si sentiva in soggezione di fronte a quell'esile figura. Notò che, su un braccio, Lesath portava una fascia con una striscia. Abbastanza alto da essere chiamato messere, ma indegno di assistere un lord.

«Fissare la gente è alquanto scortese, ragazzo» disse Lesath con freddezza.

Naos sussultò. «C-chiedo venia, signore, io...»

«Non è così che si parla a un sacerdote. Ricomincia!» ordinò Lesath con voce potente. L'eco del tempio fece sembrare che cento uomini si fossero sollevati in una sola volta.

Naos si ricompose. «Lode alla Dea! Signore, sono venuto perché ho la coscienza sporca. Con mio massimo rammarico, devo comunicarvi che, essendo appena arrivato, non ho con me del denaro. Solo domani riceverò la paga, che offrirò interamente». La poca luce prodotta dalle candele rendeva Lesath una sorta di demone dagli occhi simili a schegge di rubino.

Lesath si alzò, trangugiò il vino rimasto e prese un bastone da passeggio. «Comprendo. Per questa volta sarò disposto a fare un'eccezione. Seguimi».

Naos seguì Lesath e cercò di mantenere la distanza di almeno tre passi. Le gambe lunghe lo fecero più volte avvicinare allo zoppicante sacerdote. In silenzio passarono per lunghi e stretti corridoi che li condussero a una porta di legno. Lesath l'aprì, fece accomodare Naos e la richiuse.

All'interno della stanza c'erano una sedia, alta e dai braccioli adornati con fregi simili a fiamme. Davanti stava un tappeto, su cui il penitente si sarebbe inchinato. Dietro al trono era stata saldata una spada dall'impugnatura blu e dalla lama candida attraversata dal colasangue. Era affiancata da uno stendardo che raffigurava un serpente con ali e due piccole zampe. Era un thymos, il drago delle paludi.

Lesath prese posto. Naos si tolse l'elmo, lo adagiò vicino a sé, s'inginocchiò e congiunse le mani in segno di preghiera. Tenerle in quel modo era un ottimo sistema per controllare la tensione. «Chiedo perdono, perché ho molto peccato» recitò il penitente.

«Confessa, pentiti... e per questa volta non pagare. Sarai esaudito» pontificò Lesath.

Naos sapeva di dover fare attenzione a tutto ciò che diceva. Una volta, all'accademia, avevano decapitato un apprendista dopo che questi si era confessato. Il motivo non era chiaro, ma aveva a che fare con la statua della Dea e atti impuri.

Incrociate e aperte le braccia, Naos parlò. «Nel nome della Dea e della Fenice.

Io sono un soldato, messere. Mentre io e i miei compagni marciavamo, il comandante ci ha ordinato di saccheggiare una piccola città per gli approvvigionamenti. Io non ho partecipato, ma sono rimasto a guardare senza intervenire». Attese una risposta. Non poteva guardare il mago negli occhi infuocati durante la confessione, ma poteva controllare i movimenti dei piedi e, di sfuggita, delle mani.

«Ed è per questo che mi hai disturbato?» chiese Lesath con tono distante. 

«Messere, perdonatemi, ma i soldati dovrebbero proteggere il popolo, non depredarlo».

«Ragazzo, qual è il tuo nome?»

Naos s'irrigidì. Aveva capito che lo avrebbe tenuto sotto sorveglianza. «Naos, Figlio di Nessuno, recluta numero quattrocentootto dell'accademia Alioth numero venticinque».

«Giovane Naos, devi comprendere che le regole rigide ci rendono prevedibili. Tutto va a discrezione del comandante. L'importante è non trasgredire gli ordini».

«Comprendo, messere. Ma ho anche visto un uomo abusare di una donna e non l'ho fermato».

«Devo comprendere il contesto. Possono essere liti tra marito e moglie, faccende familiari. Abbiamo sì il diritto d'intrometterci, ma non il dovere. La condotta è stabilita da chi comanda. Dall'alto dell'esperienza, l'ufficiale stabilisce i comportamenti da seguire».

«E se lei dovesse chiedere aiuto?»

«Riportala dal marito. Sono i loro problemi, non i nostri».

Naos imprecò mentalmente. Aveva compreso che tipo di persona avesse di fronte.

«Devi farmi perdere altro tempo, giovane Naos?» La voce era pacata e annoiata.

Sarebbe stato inutile, se non dannoso, parlargli di Alrai. «No, messere. Ritengo di non avere altri colpe da esternare che meritino la vostra attenzione e provvederò a stare ancora più lontano dai vizi». Naos si rese conto che le sue mani erano rigide.

«Ne sono lieto. Io ti assolvo dai tuoi peccati. Nel nome della Dea e della Fenice».

Naos ripeté le parole e fece il saluto. Aveva saputo abbastanza e valutò se andarsene o meno. Aveva studiato il sacerdote, ma era probabile che questi avesse fatto altrettanto. «Se posso chiedervi, messere, mi piacerebbe sapere quali passi stavate leggendo».

«Sei curioso, per essere un sottufficiale».

«Perdonatemi. Ero solo desideroso di approfondire la conoscenza della vostra persona e speravo di ricevere qualche insegnamento religioso. All'accademia delle fiamme si studiano solo pochi passi dei Libri Sacri».

«Parole giuste, giovane Naos, parole giuste». Lesath scoprì i denti bianchi e puliti. «Tu credi nella Profezia del Prescelto?»

«Certamente!» si affrettò a rispondere la fiamma arancione. Dove voleva arrivare?

«Una profezia davvero affascinante. A cosa serve conoscerla, se non può essere modificata in alcun modo?»

Naos non capì il senso. «Ci è stata confidata per darci coraggio e non farci perdere la speranza».

«Proprio così. Tuttavia, se il Prescelto deve manifestarsi, allora tutto ciò che facciamo è inutile. Tu perché ti sei allenato?»

«Per servire la Dea e proteggere l'ordine, messere».

«Sappi che il tuo sforzo è vano. Qualsiasi vetta tu possa raggiungere sarà irrilevante per l'Impero. Come ti fa sentire quest'idea?»

«Non particolarmente turbato. Mio dovere è aiutare più gente possibile e preparare il campo per la venuta».

Lesath dondolò una gamba. «Metti da parte la venuta. Il Prescelto giungerà in ogni caso. Forse possiamo innovare le armi, ma tanto saranno le fenici a decretare la vittoria. Noti il paradosso? La nostra vita, le nostre azioni, tutto ciò che facciamo, per il grande schema, è insignificante».

«Certo, ma... ma non per il piccolo. Se salvo anche solo una vita, non sarò stato inutile. Non cambierò il mondo intero, ma quello di una persona sì».

Lesath si levò. Naos si sentì schiacciato da quello sguardo: i suoi occhi erano riempiti di rosso ma poveri di spirito. Erano dei portali sull'animo di chi aveva perso ogni ragione d'essere. Un uomo vuoto e privo di vita. Era lo stesso sguardo di Eltanin l'Impiccato. «Tutto ciò che facciamo non vale niente». Lesath gli poggiò una mano sulla spalla. «Ora vai, è stato piacevole parlare con qualcuno».

«Prima di... andarmene, messere, terrei a comunicarvi che ho discrete nozioni di alchimia. Ero il migliore al mio corso».

«Oh, un alchimista» si rallegrò Lesath, e per una volta non fu inquietante. «Farò recapitare un messaggio ad Alrai. Domani, dopo la celebrazione, dovrai superare una prova pratica. In base ai risultati che conseguirai stabilirò i tuoi compiti».

Naos ringraziò, salutò e uscì, sforzandosi di mantenere un'andatura normale. L'aria maniacale di Lesath lo aveva turbato, ma era la sua unica occasione di ottenere dei vantaggi. Avrebbe fatto carriera, fermato la fiamma dorata, salvato la danzatrice e non solo lei. Naos si sentì stupido, non conosceva nemmeno i loro nomi. Aveva pensato più volte a quella ragazza, ai suoi movimenti sensuali e al suo bellissimo volto. Il cuore gli impazzì nel petto e sentì le mani formicolare all'idea di perdersi nel suo abbraccio e nella sua chioma dorata.

Avrebbe consegnato quell'infame alla giustizia e avrebbe portato quella ragazza via da lì.

Ain aveva un piano misterioso. Aveva messo in chiaro che avrebbero dovuto accumulare denaro e usarlo per fare un dono a quell'ufficiale, al fine di ottenerne la fiducia.

Il piano forse prevedeva di far ubriacare lo stupratore, magari con del vino al basilisco, e fargli confessare i crimini in presenza di Lesath. Ma il sacerdote era indifferente, e quanto ci avrebbero messo a racimolare la somma? Che Ain volesse addirittura ucciderlo? Era un uomo crudele, ma assassinare una fiamma dorata era un crimine indicibile. Eppure Naos non sentiva alcuna vergogna all'idea. Era solo un mostro che abusava della parola della Dea. Il viaggio verso la capitale e le parole di Lesath gli avevano mostrato che un uomo del genere al potere era solo fonte di sofferenza per gli innocenti. Tradendo il traditore onorava la sua promessa.

Un grido lo fermò. "Guarda e passa, guarda e passa" si ripeté.

Guardò, ma non riuscì a proseguire. Una fiamma arancione stava inveendo contro una donna. Lei chiese venia, ma la guardia le dette una sberla e la gettò a terra. Ridendo, le frugò nelle tasche, per poi mostrare soddisfatto del denaro. Alzatosi, s'infilò in bocca lo stelo di grano e lasciò la vittima a terra. Lei si coprì il viso e si chiuse in posizione fetale.

"Spica" pensò Naos. Alrai, Lesath e tutti gli altri se ne infischiavano. Doveva essere quello che svolgeva certi compiti con grande piacere. Ain aveva raccomandato di non intervenire per nessun motivo. Se dovevano sbarazzarsene, sarebbe stato solo in un incidente.

Naos sentì un insolito e sadico piacere. Aveva taciuto a lungo in accademia, ma ora basta. Erano numerosi i soldati che minacciavano la popolazione e che chiedevano dei soldi. Gli avevano raccontato che avevano dato alle fiamme la casa di un popolano e lo avevano accusato di star nascondendo un tesoro. Il giorno dopo un forziere era spuntato dal nulla.

Non erano soldati, ma briganti che agivano alla luce. Per sconfiggerli, gli eroi avrebbero avuto bisogno del favore delle tenebre.

Era paradossale che tanta corruzione vigesse in un luogo sacro. 

Naos s'interruppe quando vide Ain e Sadr fuori dalla caserma. Stavano parlando. «Mi devi un favore, e grande».

Sadr si staccò e trovò la forza di replicare. «Favore? Mi farò ammazzare».

«Non che me ne importerebbe tanto, ma lo sto facendo perché mi hai fatto pena». Ain gli dette un colpetto sull'elmo. «Non devi diventare forte, ma apparire. A quel punto cominceranno a rispettarti. Non ti hanno già sbranato perché hanno visto me e Naos andarti incontro, ma entro pochi giorni ti ammazzeranno di botte per il gusto di farlo. O vieni con me o concimi il prato. Non come agricoltore».

Sadr aveva il viso sudato. «V-vengo».

«Andiamo, Sadr, non sei più debole di Dabih e saprai pur far qualcosa».

«Mi hanno sempre detto che non sono un portafortuna!» Sadr guardò i suoi piedi per qualche secondo. «Però h-ho una bella scrittura. Dabih mi usava per scrivere le lettere ai parenti o per tenere registri».

Ain alzò gli occhi al cielo. «Va bene, va bene. Quando avrò ucciso un mostro importante tu potrai dedicarmi un poema».

Anche se a passo lento, il piano stava prendendo forma. Ironicamente, Naos sentì di dover ringraziare Dabih. Era grazie a lui se aveva ricevuto il piccolo compenso ed era stato promosso di grado. L'unica perplessità era il motivo per cui non li aveva ancora inviati all'avamposto di Polaris. Credeva che lo avrebbe fatto come prima cosa. "I nobili sono draghi di legno. Possono essere bruciati".

«Ragazzi» chiamò Naos. «Ho parlato con messer Lesath, mi darà una possibilità».

Ain ne fu felice, ma Sadr rimase immobile come una statua. Naos lo guardò dall'alto al basso. «Ho sentito quello che hai detto. Tutti quanti siamo bravi a fare qualcosa, ma per dimostrarlo devi farti notare, non importa come. Segui i consigli di Ain e prima o poi capiterai sotto lo sguardo di qualcuno di ricco e intelligente». Naos tese il braccio verso i compagni e chiuse la mano a pugno. «Abbiamo avuto dei disguidi, ma ora siamo tutti nella stessa roccaforte. Siete con me?»

«Fino alla fine» rispose Ain imitandolo.

Sadr sembrò ritrovare una traccia di fiducia e speranza. «F-fino alla fine».

Ain iniziò a recitare il giuramento delle fiamme. Man mano che andava avanti anche Sadr fu travolto dal suo impeto. Quando furono alla fine, tutti e tre gridarono: «Lode alla Dea!»

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