•Capitolo 12•

«Non volete dirmi cos'avete ricordato», chiese lui dopo solo cinque minuti da quell'imbadazzante abbraccio.

«Solo il modo in cui ti chiamavo, nulla di più», il che era vero. Mi pentivo, mi pentivo amaramente di avergli permesso di abbracciarmi. Non capivo se quell'abbraccio lo desiderassi o meno.
Sapevo solo che non dovevo mostrarmi tanto vulnerabile.

«E il motivo del vostro pianto?»

«Non vi riguarda», nonostante fossi addolorata, la voglia di sapere ardeva densamente e l'unica persona a cui potevo fare domande, era proprio di fronte a me. «C'è una cosa che voglio chiederti», lui annuì in silenzio, «voglio sapere cos'è successo a quelli della mia specie.»

«Perché? Ormai sono passati sette anni, non si può cambiare nulla.»

«Voglio sapere cos'è successo e soprattutto chi è stato!», alzai il tono della voce.

«E poi cosa farete dopo averlo scoperto? Vi vendicherete? E dopo la vendetta starete meglio?»

«Perché tante domande? Ti ho solo chiesto di dirmi cos'è successo», mi alzai dalla sedia sulla quale mi ero seduta dopo lo sfogo. «Speravo potessi aiutarmi, ma mi sbagliavo, come spesso accade ultimamente.»

Anche lui si alzò, «se mi diceste il motivo di tanta insistenza, vi aiuterei, ma attualmente state seguendo l'istinto e non state ragionando.»

«Basta», gli diedi le spalle, «non ti chiederò mai più un favore.»

«Ma cosa... Lien!», urlò il mio nome quando mi vide uscire fuori dall'ufficio.

Camminai velocemente per il corridoio, fin quando non mi fermai per riprendere fiato. Per tutto il tempo avevo trattenuto il respiro, i pugni erano stretti lungo i fianchi ed i nervi erano tesi.
Voltai lo sguardo sulla vetrata alla mia destra ed osservai il mio riflesso: avevo il viso arrossato, le pupille leggermente dilatate e il corpo teso. Sembravo una pazza in quel momento. Cosa mi era successo? Di solito ero una ragazza tranquilla e lucida.

Ero arrabbiata, troppo. Tale rabbia derivava sicuramente da ciò che avevo visto la notte precedente e, pensandoci, il ragionamento di Benjamin non era del tutto sbagliato.
La mia curiosità da cosa era alimentata? Seppur avesse risposto alle mie domande, poi cosa sarebbe cambiato?

E fu allora che dentro di me nacque una consapevolezza nuova. Io volevo vendicarmi.
«Voglio vendetta verso colui che ha rovinato la mia vita», esclamai tra di me.
E quella vendetta l'avrei ottenuta.

Benjamin

Seduto nel mio ufficio, ripensavo a quello che era appena accaduto.
Sin da piccola aveva sempre avuto un bel caratterino, era molto determinata e testarda, ma in quel momento lei non era né l'una né l'altra. Era diversa ed io non sapevo come gestirla.
Qualcuno bussò alla mia porta e, dopo in mio consenso, entrò.

«Mi avete convocato?», chiese Drake, l'unica persona che era vicina a Lien.

«Sì», mi alzai, sospirando. «Ho appena avuto una discussione con Lien e lei è andata via.»

A quelle mie parole, lui sobbalzò sorpreso. «Cosa? Perché?»

Mi grattai la nuca in leggera difficoltà. «Voleva che le raccontassi quel giorno ed io ho fatto di tutto per svincolare il discorso. Ma la cosa che più mi ha sorpreso è stato il suo comportamento, non sembrava nemmeno lei. Ha dato quasi di matto e poi è andata via.
È successo qualcosa in questi giorni?»

«No... In effetti questa mattina sembrava strana, ha parlato poco ed era totalmente immersa nei suoi pensieri. Perché chiedervi di raccontarle proprio quel giorno? Ultimamente mi ha chiesto di dirle com'era un tempo, prima della perdita di memoria e dello sterminio.»

«Sta cercando di ricordare, il che non è negativo», eppure sentivo che c'era qualcosa che non andava. «No, non sta solo cercando di ricordare, ne sono certo. Prima che mi chiedesse ciò, ha pianto.»

«Lien che piange? No, impossibile», scosse il viso.

«Sì, ve lo posso giurare: ha pianto. Non mi ha voluto dire il motivo, ma quando ho alzato lo sguardo su di lei, l'ho trovata con le spalle al muro a piangere.»

Lo vidi assorto nei suoi pensieri, probabilmente stava cercando di trovare una risposta. «Proverò a parlarle, ma sappiamo entrambi che non mi dirà nulla. Siete sempre stato voi il suo punto di riferimento.»

A quelle parole, un enorme peso mi pressò sul petto. Mi sentivo responsabile di qualcosa che a stento mi riguardava, ma sapevo che quando si parlava di lei, non potevo sorvolare sulla faccenda.
«Lo so, ma non è più la stessa Lien di un tempo.»

«Se pensavate di ritrovarla con la stessa mentalità di una bambina, mi dispiace per voi.»

Effettivamente aveva ragione, cosa pretendevo? Pensavo che sarebbe corsa da me come da bambina?

Pensavo che liberandola, tutto sarebbe tornato come un tempo ed invece mi sbagliavo. Non la conoscevo affatto e seppur mi ostinassi a sostenere il contrario, dovevo accettare il fatto che lei non era più lei. Lien non era più Lien.

Sospirando, puntai lo sguardo su un giovane uomo, un tempo mio amico, ed affermai: «ricordate qualcosa di quel giorno?»

«Qualcosa», restò sul vago, «desidesate che le parli?»

No, non lo volevo. Volevo essere io a consolarla, a tranquillizzarla e a raccontarle tutto. Il problema era che non mi ero mai interessato delle vicende del Castallo, nemmeno di quelle avanti ad oggetto il trattato di pace con i Semen  Mali. «No, preferirei farlo io, per scusarmi.»

Lui annuì, dopodiché fece per andarsene, ma si fermò. «Principe, non so cosa avete in mente, ma procedete con cautela, Lien sa essere davvero pericolosa nei confornti di coloro che reputa suoi nemici.»

Nemici? Ero un nemico per lei?
Annuii solo, non sapendo cos'altro aggiungere e lo vidi uscire fuori.
Non sapevo come aiutarla, dovevo fare delle ricerche, ma su cosa esattamente? Sui motivi dello sterminio? Dovevo consultare gli archivi?
Tutti quei pensieri mi portarono un terribile mal di testa, tanto da farmi poggiare il viso sulle braccia conserte sul tavolo e chiudere gli occhi.

***

«Non dovresti essere qui.»
Poco lontano udivo delle voci... Anzi, una voce, la sua voce.
D

avanti a me comparve una piccola Lien seduta su un vasto giardino, quello di casa sua. «Hai litigato di nuovo con tuo padre?»


Alle mie spalle comparve un piccolo me, imbronciato e con tutti i capelli biondi spettinati.
«È una bella giornata per fare una passeggiata.»

«Ben andiamo, cos'è successo?»

«Perché ti interessa tanto saperlo?», il me del passato si sedette accanto a lei ed iniziò a giocherellare con i fili d'erba.

«Ti costa cosi tanto darmi una risposta secca?», sbuffò lei. «Sai che con me puoi parlare di tutto!»

«Sì... Sì lo so.»

Venni svegliato da un colpo alla porta, dalla quale poi entrò il mio migliore amico. «Vi ho svegliato?»

«Più o meno», mi sollevai ancora mezzo stordito, stropicciando gli occhi. «Dimmi tutto.»

«In realtà ero venuto per ammazzare un po' il tempo», si sedette di fronte a me, incrociando le braccia al petto. «Sono giorni incredibilmente monotoni. Non abbiamo avuto molto tempo per parlare, mi tocca fare da balia al demonio.»

Abbozzai un sorriso per il nomignolo affibiato a Drake. «Non sono demoni...»

Lui alzò gli occhi al cielo, «Sì, certo. Avete qualcosa in programma questa sera?»

«No, perché?»

«Vorrei andare in paese per bere qualcosa, cambiare un po' aria mi farà bene.»

«È successo qualcosa Harold?», strano che mi proponesse di uscire.

Scosse il viso, «no, nulla in particolare.»

Sicuramente ne avremmo parlato in serata. «Va bene, allora, usciremo dopo cena e mi raccomando», portai l'indice sulle labbra, «acqua in bocca.»

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