Tutte le ombre in una notte
Allyson
Mentre Mark la riportava a Brixton, Allyson si perse nei pensieri su Gresham. Non soltanto la sua arroganza la disorientava, ma anche quel modo di farla sentire vulnerabile. Al ballo si era lasciata andare, dimenticando, solo per un istante, quanto lui fosse irraggiungibile.
Il lavoro con Eugene le piaceva, ma che significato aveva lavorare così vicini? E cosa desiderava da quell'uomo tanto complesso?
Persino l'idea di tornare da Phillip le dava un senso di inquietudine; Gresham, con la sua brutale onestà, dimostrava di non avere tutti i torti: il suo ex era una mina vagante.
Un sorriso ironico le sfuggì mentre immaginava Elisabeth danzare con il Genio con la stessa rigidità di un tronco di legno. Come poteva competere con lei? Abbassò la testa, sperando che Mark non si accorgesse del tumulto interiore che l'agitava.
Quando arrivarono davanti all'edificio, l'auto si arrestò. L'agente, al posto di guida, fece per scendere, pronto ad aprirle la porta e a porgerle la borsa medica, ma lei lo fermò con un cenno deciso.
«Allora buonanotte, dottoressa. Ci vediamo domani in ufficio,» disse l'uomo, con tono cordiale, rimanendo al volante.
«Buonanotte, Mark. Grazie per il passaggio,» rispose lei, afferrando la valigetta prima di uscire dall'auto.
Stringere la maniglia della borsa le dava un senso di sicurezza, un appiglio concreto contro l'inquietudine che le attanagliava lo stomaco. Con passi misurati, iniziò a salire le scale, il pensiero fisso su Phillip.
Si domandava come avrebbe reagito al suo ritorno.
Appena entrata in casa, sentì subito l'odore acre di alcool e tabacco. Phil aveva di nuovo bevuto, le bottiglie vuote disseminate sul pavimento, ancora sveglio, girava in pigiama per il soggiorno, con la televisione accesa.
«Guardati! Ti sei divertita, e l'ho fatto anche io,» biascicò con la voce impastata indicando i contenitori da asporto sparsi sul tavolo.
Allyson sospirò, cercando di mantenere la calma.
«Te l'ho spiegato: il ricevimento di stasera faceva parte del mio lavoro. E poi, abbiamo un patto tra di noi. Ti sto solo aiutando, Phil, non sono più la tua ragazza. Cerca di ricordarlo.» lo sgridò appoggiando le sue cose su di una sedia.
Senza aspettarsi una risposta, si diresse verso la camera. Aveva bisogno di togliersi l'abito da sera prima che si rovinasse: era un prestito prezioso che le avevano concesso di tenere.
Lui la seguì, fermandosi sull'uscio con uno sguardo avvilito. Si appoggiò al telaio della porta e indicò il vestito con un gesto stanco. «Io non posso darti tutto quel lusso che indossi.»
«Non sono i soldi che mi interessano, altrimenti non sarei qui! Questo nuovo look non significa niente per me. Ma tu devi smetterla di trovare delle scuse per evitare i tuoi problemi.»
Allyson inspirò con forza, troppo stanca per affrontare un'altra discussione. Prese il pigiama dal cassetto e si diresse verso il bagno, preferendo che non la vedesse quando si cambiava.
«Esci elegante con quel tipo... Che razza di lavoro è?» lo sentì brontolare mentre si premeva le dita sulle tempie.
«Te l'ho detto, è il mio nuovo impiego» lo superò e raggiunse i servizi chiudendosi dentro.
«Ti vergogni di me?» domandò l'uomo con la voce roca, proveniente dall'altra stanza.
«Eravamo una coppia, una volta. Ora non lo siamo più.» rispose lei, dietro la porta chiusa.
«Ti faccio schifo, vero?» esplose Phil con il tono inacidito.
«No, ora esco sta tranquillo.» cercò di svestirsi e di sciacquarsi in fretta per infilarsi il pigiama.
«Ho il cervello che va a mille,» replicò urlando per farsi sentire.
Quando lei uscì, lo trovò in piedi nel soggiorno: la fronte premuta sulla parete, gli occhi chiusi.
Il cuore le mancò un battito. Capì cosa stava per fare. Si precipitò verso di lui, afferrandogli il polso con forza per bloccarlo.
«Mi spacco questa testa se mi lasci anche tu!» urlò con la voce rotta.
«Smettila con queste scenate!» gridò lei, impaurita. «Ti faresti solo del male, e non cambierebbe niente!»
Accecato dalla furia, sembrava immune a qualsiasi richiamo. Con un movimento violento, cercò di scagliarsi contro il muro con il capo chino. La giovane, intuendo il pericolo, si lanciò per fermarlo, ma lui la respinse con forza, urtandole la spalla nel tentativo di respingerla.
Un dolore lancinante le attraversò il corpo, ma non si arrese.
Con uno sforzo disperato, riuscì a frapporre l'altra mano tra la fronte di Phillip e l'intonaco. L'urto le scosse il dorso, una fitta acuta l'assalì, mentre la pelle si arrossava e le doleva.
"Ally!" esclamò stupito, rendendosi conto di ciò che aveva fatto.
Il silenzio che seguì fu spezzato solo dal ritmo frenetico dei loro respiri.
Allyson serrò i denti, lottando contro lo spasimo che le pulsava in tutto il braccio. L'ira le montò dentro, superando ogni altra emozione.
«Non ne posso più, Phil!» gli urlò, la voce rotta dalla rabbia. «Dovevi prendere le medicine! Lo capisci? Questo è quello che succede quando non lo fai.»
«Le prendo domani,» sibilò l'uomo, evitando il suo sguardo.
«No, le prendi adesso e vai a dormire,» ribatté con fermezza.
La dottoressa ignorò lo spasimo che la tormentava al braccio e lo spinse verso la stanza più grande.
Phillip, dapprima fece resistenza, poi fissando la sua mano ferita si lasciò accompagnare.
«Resta con me per un po',» mormorò lui, dopo aver ingoiato le medicine.
La giovane esitò, il suo corpo reclamava riposo, ma il peso di quella richiesta, come medico, le impediva di rifiutare.
Si sedette accanto a lui, cercando di mantenere il controllo nonostante il tormento che la attanagliava.
«Solo per un po', Phil. Devi riposare.»
Lui abbassò il capo, trattenendo un gemito soffocato.
«Mi dispiace,» singhiozzò prima di chiudere gli occhi.
In pochi istanti, il suo respiro divenne lento e regolare.
Lo guardò addormentarsi, il volto segnato da una lotta interiore che lo faceva diventare violento.
Nel silenzio ovattato che avvolgeva la stanza, osservò il dorso ferito. Della piacevole serata trascorsa con Gresham non rimaneva più nulla, se non un ricordo sbiadito, sepolto sotto il peso degli eventi successivi.
Aveva salvato una vita, sì, ma poi tutto era crollato. La frustrazione l'attanagliava, alimentata dal brusco cambio di atteggiamento del Genio e dall'incidente con Phillip. Oltre al dolore emotivo, si ritrovava a fronteggiare quello fisico: ogni fibra del corpo sembrava protestare.
Con un sospiro rassegnato, si alzò e si prese cura della ferita. Disinfettò con attenzione, lasciando che il bruciore le limitasse i pensieri, e avvolse la mano in una garza pulita.
Trattenne le lacrime, con difficoltà.
Come poteva giustificarsi in ufficio, soprattutto con Gresham, che aveva tutte le ragioni per essere contrariato? Sicuramente non avrebbe perso l'occasione di ricordarle di averla avvertita e, conoscendolo, si sarebbe persino sentito in colpa per essersi fatto vedere sotto casa.
Phil dormiva nella camera accanto, ignaro del suo stato d'animo.
In effetti, oscillava tra un passato che non voleva lasciarla andare, e un futuro troppo nebuloso per afferrarlo.
Sfinita, si distese sul letto della sua stanza, lasciando che il ronzio che le invadeva la testa si mescolasse al silenzio della notte.
Con i dubbi che la attanagliavano si addormentò priva del più piccolo residuo di energia.
......................
La mattina seguente, Allyson si svegliò presto con il corpo appesantito dalla stanchezza.
Preparò un caffè forte, con la speranza che l'aroma intenso potesse darle la carica necessaria, e si sedette al tavolo della cucina. Lo sguardo vagava verso la tazza mentre nella mente prendeva forma un piano: doveva parlare con Phil: in ufficio, essere professionale e serena era essenziale.
Sorseggiò la bevanda calda, cercando conforto in quel gesto familiare. Il bruciore alla mano, coperta dalla fasciatura, le ricordava la notte travagliata appena trascorsa. Il dolore alla spalla si faceva sentire, rendendo ogni movimento una tedia.
Phillip si alzò più tardi, si trascinò in cucina, ancora in pigiama, aveva un aspetto distrutto: il volto pallido, i capelli in disordine.
«Bentornato tra i vivi,» commentò lei, con una nota di ironia. «Dobbiamo parlare.»
L'uomo si strinse le dita sulle tempie. «Immaginavo...» mormorò a fatica.
«Sai di cosa, vero?» proseguì lei senza alzare la voce. «Quello che è successo ieri sera non deve ripetersi più. Non posso tentare di salvarti tutte le volte che sei in crisi.»
Lui abbassò lo sguardo, la colpa nei suoi occhi. «Hai ragione, Ally. Mi dispiace.»
«Non basta!» la risposta tradì lo sforzo di quella conversazione. «Devi fare qualcosa per te stesso, cercare aiuto. Non possiamo continuare così.»
Alzò la mano fasciata e l'agitò. «Come pensi che possa giustificare l'ennesimo incidente?»
La fissò, confuso e sulla difensiva. «Non volevo farti del male! Vuoi davvero andartene per questo?»
«La questione non è andare via, ma proteggermi.» Il tono era fermo, anche se nel profondo avvertiva una fitta di dispiacere. «Non desidero presentarmi in ufficio con delle ferite. Però non ti lascerò solo. Troverò un posto per te alla residenza che si occupa dei reduci.»
«Tieni più al tuo nuovo lavoro e a quel tuo capo che a me. Non negarlo!» replicò con astio, come se quella fosse l'unica spiegazione possibile.
Allyson serrò la mascella, ma non riuscì a trattenersi. «Sì, tengo al mio impiego. Ma me ne vado perché tu mi fai male.»
Lui rimase immobile al centro del soggiorno, il viso contratto in un'espressione di ostinazione. «Non metterò piede in una clinica,» dichiarò, rosso di rabbia.
«Non posso fare altro, Phil. Sei diventato ingestibile.» sottolineò alzandosi per riporre le tazzine nel lavandino.
«Allora vattene anche tu!» sbottò lui, rabbioso. «Ma sappi che questa è casa mia, e tu non sei più la benvenuta!»
Prima che potesse reagire, Phillip le si avvicinò di scatto, afferrandola per farla voltare. La presa finì per stringerle la spalla ferita.
Lei sussultò, trattenendo a stento un gemito.
Phil si bloccò, rendendosi conto del dolore che le stava infliggendo. «Gesù, Ally, perdonami!» mormorò con lo sguardo colmo di rimorso. «Ti giuro, non succederà mai più.»
«Lo dici sempre, ma questa volta è troppo tardi. Ho preso una decisione.» lo fissò, il tono deciso e privo di esitazioni.
«Tieniti pure l'appartamento, se vuoi restare qui,» continuò, incrociando le braccia per sottolineare la sua determinazione. «Passerò a prendere le mie cose. Nominerò un assistente sociale che ti segua durante il percorso di riabilitazione. E se non lo farai, andrai in clinica.»
L'uomo restò immobile con una espressione di incredulità. Sapeva che Allyson non avrebbe cambiato idea.
«Posso almeno sentirti ogni tanto?» disse con la voce ridotta a un sussurro.
«Ho detto che non ti avrei abbandonato, ma se fai di testa tua non ti aiuterò più.» replicò decisa.
Non aggiunse altro. Si voltò e si diresse verso la camera. Tremava mentre si vestiva in fretta, un riflesso del tumulto interiore che cercava di soffocare. La decisione le pesava, ma sapeva che non poteva più permettersi di rimanere. Non dopo quello che era successo, ed essere stata ferita ancora una volta.
Phil strascicò i piedi e si lasciò cadere sul divano, gli occhi fissi sul soffitto.
Lei si fermò sulla soglia della stanza, e lo fissò esasperata.
"Phillip, datti una scossa. Continuare così non ti aiuterà. Sai di poter riprendere in mano la tua vita, ma devi volerlo davvero.»
Allyson chiuse la porta alle sue spalle. Ogni fibra del corpo le implorava di fermarsi, ma non cedette.
La mente si proiettò al lavoro. Doveva trovare il modo di spiegare il ritardo a Gresham e affrontare la giornata con la forza e la dignità che le restavano.
Prese il telefono e contattò Arianne, avvisandola che sarebbe arrivata più tardi per un contrattempo.
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