Fragili equilibri


Allyson

Dopo aver lasciato Warton, Allyson raggiunse l'ambulatorio e posò la borsa con un gesto pesante. Chiuse la richiesta di intervento, consapevole che nulla sfuggiva al rigido controllo interno. Il suo lavoro richiedeva precisione, soprattutto quando si trattava di un alto dirigente, capo della sicurezza. Sorrise, ricordando il momento in cui aveva visto Gresham imbarazzato e l'abituale autocontrollo saltato. Spesso distoglieva lo sguardo dalla ferita, un indizio evidente della sua avversione per i dottori. Tuttavia, il Genio sembrava sopportare bene il dolore fisico, anche se si era fatto insicuro mentre lo avvicinava.

Come lei notò le sue difficoltà, con molta probabilità, lui si era accorto del segno che le sfregiava il collo. Lo aveva scoperto a scrutarla attento e aveva cercato di distrarlo per non ricevere domande imbarazzanti.

Allontanò le sue riflessioni per fantasticare sui piani alti della governance e si immaginò circondata da agenti e funzionari eleganti e impeccabili. Quell'ambiente misterioso, e il dirigente ferito che aveva incontrato, la incuriosivano. Sospirò pensando che non avrebbe più rivisto il Genio, né Whitehall.

Abbandonò quei pensieri bizzarri e si sbrigò a passare le visite quotidiane fino a mezzogiorno, passando da un paziente all'altro, ascoltando con attenzione e annotando tutti i dettagli medici.

Si concesse una pausa, dirigendosi verso la mensa. Il profumo del cibo caldo si spandeva nell'ambiente familiare, offrendo un senso di conforto. Scelse una semplice insalata con del pollo, preferendo un pasto leggero per mantenere la concentrazione nel pomeriggio. Seduta al tavolo, osservava distratta i colleghi, immersi nelle loro conversazioni, mentre la sua mente continuava a vagare tra le questioni irrisolte e i pensieri personali legati alla situazione del suo ex.

Le ore passarono in fretta e lavorò fino alle sei di sera. Dopo aver terminato il turno, nonostante la stanchezza, provò una profonda soddisfazione per aver svolto bene il suo lavoro. Il primario, Sir Geoffrey Barrow, l'aveva più volte lodata.

Tornò a casa con la sua utilitaria. Da quanto sapeva, Phillip doveva essere già rientrato. Le arrivò un messaggio dove le diceva di tornare: come al solito, le medicine lo calmavano solo per poche ore. Sbuffò pensando alla prospettiva di un'altra serata trascorsa per cercare di calmarlo. Il disturbo da stress post-traumatico lo stava devastando. Dormiva poco e spesso si alzava già stanco. Quando era tornato dalla missione in Afghanistan, l'aveva implorata di prendersi cura di lui; in alternativa lo avrebbero accolto in un centro di recupero, ma lui si era opposto con tutte le sue forze.

Così accettò di ospitarlo nel suo appartamento, in nome dell'amore che li aveva uniti prima che partisse. Salendo le scale, Allyson avvertì un odore stantio di birra e sigarette. Aprendo la porta, trovò Phillip buttato sul divano con un'espressione irritata in volto. La cucina, un ammasso di pentole e piatti sporchi, emanava un puzzo sgradevole. Le prometteva sempre di sistemare, ma trovava delle scuse per non farlo mai...

«Hai bevuto?» lo rimproverò seccata, notando la bottiglia vuota sul pavimento.

«Solo un po',» rispose mezzo ubriaco. Il tono sembrava apatico, inconsapevole del caos che lo attorniava. Lei cominciò a raccogliere delle lattine vuote da terra, il cuore stretto in una morsa di ansia e disperazione. Il comportamento di Phillip la rendeva sempre più irrequieta e il lavoro al Crown ne risentiva.

«Non devi bere, prendi dei farmaci pesanti,» lo ammonì lei trovando un briciolo di calma. L'uomo sbuffò e si alzò barcollante. «Non iniziare a fare la crocerossina,» la voce carica di frustrazione. Perse l'equilibrio e rischiò di cadere.

Lo afferrò per aiutarlo, ma lui reagì con una spinta piena di rabbia. Finì dritta contro il tavolo, sbattendo il polso con una forza che le strappò un lamento. Le lacrime le riempirono gli occhi quando una fitta acuta le attraversò il braccio.

«Mi dispiace! Oh Allyson!» si allarmò lui che tentò di abbracciarla piagnucolando. La voce era quasi infantile nella sua disperazione.

«Non serve a niente scusarsi dopo,» ribadì seccata, massaggiandosi la mano dolorante. «Te li ricordi i segni che mi hai lasciato sul collo durante un incubo notturno, mentre ti aggrappavi a me con troppa foga?» Sentiva la rabbia e la tristezza mescolarsi dentro, in un vortice da fargli girare la testa. Phillip la osservò per un breve momento, torcendosi le mani, tormentato dai sensi di colpa.

«Dio, sono un pazzo! So di averti fatto male.»

«Sei egoista, questo sì,» rispose lei allontanandosi per prendere del ghiaccio.

«Devi andare in casa di cura, mi metti in difficoltà ogni giorno di più.» Le parole le uscirono soffocate per dover nascondere quel nuovo livido al lavoro. Con lui era spesso così, perdeva la testa, e finiva per ferirla, per pentirsi subito dopo.

«Va a dormire nella stanzetta,» gli disse posando una busta di piselli surgelati sul polso, «ci penso io a preparare la cena.» Concluse arrabbiata.

«Vorrei aiutarti...»

«Non importa sta tranquillo.» Lo spinse a buttarsi sul letto, preferiva non averlo intorno.

Anche se stanca per la giornata pesante riordinò il soggiorno e si preparò ad affrontare l'ennesima serata accanto all'uomo che non riconosceva più.

***********

La mattina seguente, la luce del sole filtrava attraverso le tende, avvolgendo l'ambiente in un'atmosfera malinconica. Per tutta la notte, il suo ex era stato tormentato dagli incubi e lei aveva dovuto raggiungerlo nella stanza degli ospiti per assisterlo. Era riuscita a dargli dei calmanti e nonostante le ore turbolente si sentiva serena per aver dormito almeno quattro ore.

Preparò la colazione sbadigliando e lesse il Times on line dove trovò scritto dell'ennesimo attentato maturato ai danni del PM, Sir Nigel Garrel.

Probabilmente Gresham era presente ed era rimasto coinvolto nello scontro con un dimostrante.

Si domandò se l'avrebbe chiamata per farsi medicare, ma concluse che sarebbe stata troppo imbarazzata nel mostrare un altro livido.

Chissà che idea si era fatto di lei, era un uomo abituato a dare ordini e non a riceverne.

Si accinse a svegliare Phil per fargli mangiare qualcosa. Era pur sempre un medico e gli doveva assistenza.

Di certo, la preoccupazione si mescolava a un senso di impotenza, un nodo allo stomaco che la opprimeva. Si chiedeva se, con la guarigione del suo ex, le cose si sarebbero finalmente sistemate, ponendo fine a quella malaugurata decisione. Lui aveva bisogno non solo del suo sostegno emotivo, ma anche delle strutture apposite per militari in difficoltà, luoghi sicuri dove potesse ritrovare un po' di serenità. Era stata avventata a fare una scelta così rischiosa e ora ne pagava le conseguenze.

Sentendosi sopraffatta dai dubbi, mandò giù un po' di caffè amaro e notò il segno scuro comparso sul polso. Brontolò disperata: l'ennesimo ematoma da nascondere ai colleghi.

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