Capitolo Quarantadue
Pov. Leila
Quando mi alzo sono un fascio di nervi.
Non ho chiuso occhio tutta la notte, nonostante le parole di Andrea mi abbiano decisamente calmata.
Sono felice che lei si sia offerta di venirmi a prendere, sono sicura che avrò bisogno di lei dopo questo pranzo infernale, ma ora non riesco a smettere di pensare che dovrò affrontare tutto questo.. da sola.
Omar era la sola forza che mi permetteva di sopportare quelle false cortesie da parte mio papà ed ora? Come posso fare senza di lui?
E soprattutto, cosa dovrei dire a mio padre per giustificare la mia rottura con Omar?
Non voglio che mio padre sappia nulla di me, o di ciò che accade nella mia vita.
Non si è mai preoccupato di informarsi, non vedo perché ora dovrei cominciare a raccontargli di me, come se fossimo due amici che si incontrano al bar dopo tanto tempo.
Non gli racconterò di Andrea, né tanto meno la verità sulla rottura con Omar.
Raggiungo la cucina, fatico a respirare
"Ciao Leila, buongiorno" Andrea sorride, accogliendomi in cucina.
È così bella mentre mi sorride dolcemente, in piedi davanti ai fornelli con una spatola in mano
"Ti ho preparato dei pancake" si volta verso la padella "Tranquilla, non sono proteici" ride e sento il mio stomaco stringersi.
Il suono dolce e genuino della sua risata allevia il peso che mi porto sul petto
"Grazie Andrea, non dovevi" le sorrido, avvicinandomi al tavolo
"Credo che una buona dose di Nutella sia la cosa migliore per affrontare questa giornata" mi posa davanti un piatto con due pancakes
"Sono buonissimi" sussurro, portandomi un'altra forchettata alla bocca "Grazie davvero" la guardo ancora
"Non devi ringraziarmi" mi sorride, sedendosi poi davanti a me "Allora? Come stai?" mi guarda intensamente, cercando di capire le mie emozioni
"Uhm? Non lo so" scuoto la testa "Agitata forse"
"È comprensibile" annuisce "Puoi chiamarmi o scrivermi in qualsiasi momento oggi pomeriggio, tanto sarò a casa. Sai, l'università e tutto il resto" ride nervosamente
"Non c'è bisogno che tu rimanga a casa per me Andrea" sorrido
"Tranquilla, sono un po' indietro con le lezioni. Ne approfitterò per recuperare qualcosa" mi sorride.
Ricambio il sorriso, poi sposto lo sguardo sull'ora. Mio padre passerà a prendermi tra poco meno di due ore.
La mia gamba inizia a tremare sotto il tavolo, come se questo movimento potesse bastare a scaricare la tensione che mi irrigidisce il corpo.
Magari fosse così semplice.
Milioni di pensieri mi agitano la mente, ma cerco di distrarmi osservando Andrea ed il suo sorriso dolce.
Termino in silenzio la colazione, lei sempre di fronte a me che mi dedica rapidi e sporadici sguardi.
Lascio la cucina poco dopo, il mio telefono suona
"Allora Leila, come stai?" Stefano mi osserva tramite la fotocamera del telefono
"Una merda" mi mangio nervosamente le unghie "Dio, l'ultima cosa che vorrei in questo momento è vedere mia padre, tanto più dovendogli raccontare di Omar" sospiro
"Potresti fare come ha fatto lui"
"Uhm?" chiedo confusa
"Digli che vi siete lasciati di comune accordo, che l'amore purtroppo dopo tanto tempo è finito e tutte quelle cazzate lì. Se è intelligente non continuerà il discorso"
"Ti ricordo che stiamo parlando di mio padre" sbuffo
"Sono sicuro che da sola te la caverai alla grande. So che Omar era una grande spalla, ma ora devi imparare a cavartela da sola" annuisce serio
"Già, ma non credo di esserne in grado" rido nervosamente
"Sono sicuro che ce la farai" mi sorride, ed il suo sorriso dolce mi aiuta a tranquillizzare il mio cuore agitato.
Ce la farò davvero? Dio, non lo so.
Solo l'idea di entrare in quella casa mi toglie il respiro.
Quante volte Omar ha stretto forte la mia mano mentre varcavamo la soglia di quella casa, come a ricordarmi che lui fosse lì per me, che qualsiasi cosa fosse successo lui sarebbe stato lì a proteggermi.
Ed ora che a stringere la mia mano non ci sarà nessuno, sarò davvero abbastanza forte da superare questo pranzo?
Hai superato di peggio, mi ricorda il mio subconscio.
Sì è vero, ho superato di peggio, eppure non riesco a togliermi di dosso l'estremo disagio che provo anche solo all'idea di vedere mio papà.
La rabbia, nonostante siano passati anni, continua a travolgermi ogni volta che incontro il suo sguardo triste, perché un tale dolore non può essere dimenticato.
Non posso dimenticare le notti passate in camera mia, sotto strati e strati di lenzuola, soffocata dall'immenso dolore di aver perso prima la mamma e poi lui.
Non posso dimenticare quella solitudine asfissiante, quel velo nero che mi copriva fino a distorcere la mia visione del mondo e delle persone intorno a me.
Perché lui ha portato anche questo.
Ho smesso di fidarmi di chiunque mi fosse vicino, perché se non potevo fidarmi nemmeno di mio papà, perché avrei dovuto fidarmi di qualcun altro?
Ho rischiato di perdere quelle poche persone che ancora mi tolleravano in quel periodo orrendo della mia vita e tutto per colpa sua.
No, non si può dimenticare tutto questo, ed ora lui se ne arriva con il suo finto pentimento ed il suo finto buonismo, cercando di ingraziarmi con qualche pranzo nella sua nuova casa con la sua nuova famiglia.
No, non funziona così.
Non funziona fottutamente così.
Lui ha distrutto l'unica cosa che ancora rimaneva della nostra splendida famiglia, per il suo puro egoismo.
Non riesco nemmeno più a guardarlo con gli stessi occhi, a credere che una volta chiamavo papà quello sconosciuto che a breve passerà a prendermi.
Sospiro abbandonandomi sulla sedia accanto alla scrivania, il cuore batte veloce, accorciandomi il fiato.
"Ciao Leila, allora? Come stai?" mio padre mi dedica un rapido saluto.
Per un attimo mi è sembrato che volesse abbracciarmi ma forse, visto il mio distacco, ha interrotto il suo gesto inusuale
"Bene papà e tu come stai?" guardo fuori dal finestrino, osservando casa mia allontanarsi sempre di più dietro di noi.
Mano a mano che mi allontano dal mio posto sicuro, sento l'ansia ingigantirsi dentro me
"Bene ora che siamo tornati ad una sorta di normalità. Anche se lavoro praticamente tre giorni su cinque in smart working, ma almeno ora possiamo uscire" ride nervosamente
"Già, è decisamente un'altra vita ora" annuisco.
Mi tornano in mente quei giorni che ormai sembrano lontani, quando tutto era così diverso da com'è ora.
Io ed Andrea eravamo ancora felici, non insieme, ma comunque felici grazie a quella strana ed assurda situazione tra di noi.
Il lockdown è stato un assurdo connubio di emozioni che ora vorrei disperatamente indietro.
Il viaggio in auto procede stranamente tranquillo, tra un timida ed impacciata chiacchiera di mio padre ed i miei silenzi.
Quando arriviamo a casa di Anna, il profumo di lasagna appena sfornata mi invade le narici
"Ciao Leila, come sei magra!" esclama Anna, venendomi incontro "Ho fatto la lasagna, so che ti piace tanto, così ne puoi portare un po' a casa" mi guarda preoccupata
"Ciao Anna, grazie, non dovevi" rispondo in imbarazzo.
Ci accomodiamo in cucina, dove Anna si muove veloce per finire di preparare il pranzo mentre mio papà sistema la tavola
"Ciao Leia!" il piccolo Gabriele mi corre incontro, saltellando
"Tesoro, te l'ho già detto, si chiama L-e-i-l-a" Anna rimprovera dolcemente Gabriele che sembra non ascoltarla nemmeno
"Leia! Leia!" saltella verso di me "Guarda, guarda!" dietro di lui compare un piccolo cagnolino scodinzolante
"Ciao Gabri" gli sorrido debolmente "Oh wow, un cane" rido nervosamente
"Sì, Gabriele ha patito molto questo lockdown così abbiamo deciso che la cosa migliore fosse prendere un cagnolino per.. fargli compagnia" mio padre non mi guarda nemmeno in faccia, perché sta pensando esattamente la stessa cosa che sto pensando io.
Per anni ho chiesto un fottuto cagnolino, per anni ho pianto guardando i cagnolini passarmi accanto per strada, ma mi è sempre stato negato.
Ed ora, il piccolo Gabriele si sente solo? Allora regaliamogli un bel cagnolino.
Fanculo
"Il suo nome è Jim!" urla ancora il piccolo bambino, mentre si fa rincorre dal cagnolino
"È davvero bello" gli sorrido "Assomiglia tanto al cagnolino che ho sempre desiderato da piccola" mi volto verso mio padre.
Lui distoglie lo sguardo da me, Anna gli dedica una rapida occhiata triste.
Il piccolo Gabriele invece, continua a farsi rincorrere da Jim, provocando un gran trambusto.
Tra noi adulti cala un gelido silenzio, interrotto solo dalle urla e dai guaiti emessi dai due
"Come procede il lavoro Leila? Avete ripreso?" mi chiede Anna, non appena ci sediamo al tavolo
"Sì sì, abbiamo ripreso da un paio di settimane in realtà" annuisco "C'è più gente di quanto mi aspettassi in giro" mi porto una forchettata di lasagne alla bocca
"Bene, sono contenta. Finalmente è terminata questa assurdità della cassa integrazione. Pensa che il figlio di una mia amica ancora deve prendere quella di aprile" scuote la testa
"Lo so, è un gran pasticcio" annuisco
"Allora.. con Omar è finita?" mio padre mi guarda, per poco non mi strozzo con il pranzo
"Tesoro, non mi sembra il caso.." Anna cerca di terminare il discorso
"No, va bene" la fermo "Sì, con Omar è finita, già da tre settimane a dire il vero" lo guardo negli occhi, quasi fosse una sfida per valutare quanto a lungo riesca a reggere il mio sguardo.
Come sospettavo, dopo pochi secondi lo distoglie
"Mi dispiace cara" Anna mi guarda, posso notare nel suo sguardo quanto sia davvero dispiaciuta per me "Dev'essere stata dura.."
"Sì lo è stato, ma l'ho affrontato da sola, come ho sempre fatto" sputo, tornando a mangiare.
Cala nuovamente il silenzio, interrotto solamente dalle parole sconnesse di Gabriele e dagli ansimi rumorosi di Jim
13.35 | Come sta andando? | Andrea mi scrive un rapido messaggio.
Sorrido nel leggere quelle semplici parole.
13.37 | Un orribile tortura, ma pensavo peggio. Il tuo studio invece? |
13.40 | Un orribile tortura, ma pensavo peggio |
Mi mordo il labbro, bloccando il cellulare
"Leila ho preparato il tiramisù, ne vuoi una fetta vero?" Anna mi guarda, i suoi occhi sono così dolci.
Sono grandi e scuri, e per un attimo rivedo la mamma.
Rivedo il suo sguardo dolce quando mi svegliava al mattino, quegli occhi così vividi anche quando la malattia la stava divorando.
Non perse mai il sorriso, nemmeno un giorno.
Nemmeno in quei giorni, quando il dolore era così forte da toglierle la fame ed il sonno.
Scuoto la testa, per cercare di allontanare quei pensieri
"Sì certo" annuisco, sorridendole.
Pov. Andrea
Sto aspettando Leila seduta in auto, sotto casa di suo papà.
Questo stronzo del cazzo vive in una bella villetta non molto lontano da Torino.
Mi viene da ridere.
Nemmeno lo conosco, eppure non riesco a non provare rabbia ed odio per questa persona che aveva un solo compito: salvare sua figlia dal dolore.
Ed invece cos'ha fatto? Ha aumentato il suo dolore, ha contribuito con i suoi atteggiamenti del cazzo a farla stare peggio.
Scuoto la testa, cercando di cancellare quei pensieri
"Ehi" la saluto non appena sale in auto
"Ciao" sorride, chiudendosi la portiera dietro.
Tiene in mano un grosso sacchetto dall'odore invitante, mentre si abbandona sul sedile, chiudendo gli occhi.
Rimango in silenzio per lasciarle i suoi spazi.
Respira profondamente, il suo petto si alza ed abbassa velocemente.
Metto in moto l'auto, guidando verso casa. Ci fermeremo al primo Burger King che incontreremo per la strada.
Quando apre gli occhi, mi dedica un rapido sguardo, prima di tornare a guardare fuori dal finestrino.
Il suo petto ormai si è calmato, i suoi respiri sono lenti e controllati.
Rimane in silenzio per tutto il viaggio, mentre stringe tra le mani in sacchetto bianco
"Scusami, non volevo giocare al gioco del silenzio" si avvicina leggermente a me, mentre camminiamo verso il centro commerciale Dora
"Non devi scusarti" le sorrido "Dev'essere stata una giornata impegnativa"
"Avevo solo bisogno di un po' di silenzio, dopo tutte quelle.. chiacchiere forzate di oggi" sospira
"Ti va di raccontarmi?" le chiedo, mentre ci avviciniamo ai token per ordinare
"Sì, ma prima ordiniamo" mi sorride, muovendo le dita sottili sull'enorme touch screen.
Ordina il suo panino preferito, e dei nuggets, poi mi fa spazio per lasciarmi ordinare.
Dopo una decina di minuti siamo sedute in macchina, un odore di pollo fritto e patatine ha invaso l'abitacolo
"Mi è sembrato di essere in una fottuta candid camera" scuote la testa "Hanno preso un cane a Gabriele"
"Un cane?" sono confusa
"Sai per quanti anni ho disperatamente chiesto un cane ai miei genitori? Dai cinque anni fino a quando mamma.." si interrompe "Per anni ho chiesto un fottuto cane e lui? Sai, ha patito la pandemia, allora abbiamo deciso di prendergli un cane" scimmiotta la parole di qualcuno, mentre si porta le patatine alla bocca
"Ora capisco il tuo disappunto verso quel cane" rido divertita "Almeno era carino?"
"Fottutamente adorabile!" esclama, il tono disperato "E sai come l'ha chiamato? Jim! Ma che cazzo di nome è Jim?!" alza gli occhi al cielo.
Mi mordo il labbro mentre la guardo lamentarsi davanti a me.
Strane sensazioni agitano il mio stomaco, una strana felicità mi pervade.
Non mi sentivo così.. serena da tempo ormai, quella che vivevo era solo una calma apparente.
Una calma apparente che nascondeva un sacco di cose.
Sentimenti che non volevo affrontare, paure che invalidavano la mia vita, le mie relazioni.
Tutto era distorto da quella parte del mio subconscio, senza che me ne rendessi conto ed ora è tutto così chiaro.
Voglio tornare ad essere felice e so che solo grazie a lei posso farlo
"Andrea, mi stai ascoltando?" sbuffa lei
"Sì certo " annuisco sorridendole, il cuore batte veloce.
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