SIAMO UNA SOLA ANIMA TU ED IO
Dicono che si debba ricominciare da qualcosa dopo un trauma o un evento devastante. Ieri ho ricominciato dai capelli, il che non è stata affatto una consolazione; ho tagliato via poco meno di dieci centimetri di lunghezza, optando per un caschetto lungo che sfiora le spalle e un biondo più estremo. Uno shatush fitto che ha coperto molta della mia naturale tonalità di castano. E in ultimo, la sentenza finale al mio parrucchiere: questo matrimonio non s'ha da fare.
A raccontarla così fa anche ridere, a starci dentro invece no. È stato l'ennesimo quadretto triste di una persona ancora più triste – ossia io – che cerca disperatamente di risorgere dalle proprie ceneri come la Fenice e, alla fine, si ritrova ogni volta sopraffatta dagli eventi e dalle emozioni. E poi quei mi dispiace dispensati come fossero delle condoglianze, sinceramente, mi fanno stare anche peggio.
Oggi, invece, è sabato e, checché se ne dica, ieri non sono andata dal parrucchiere per sfoggiare, oggi, un nuovo taglio davanti all'Irresistibile Canaglia – alias Gabriel Sala −, semplicemente è una coincidenza.
Con l'intenzione di ovviare a qualsiasi fraintendimento in merito, ho deciso di presentarmi in aeroporto senza fronzoli. Un jeans qualunque, una t-shirt ancora più anonima e un paio di scarpe di tela. E mentre me ne sto in auto ad ascoltare una processione di canzoni romantiche e deprimenti, che uno psicologo depennerebbe immediatamente dalla lista della musica indicata dopo un lutto affettivo, l'Uomo che ama (tutte)le donne spunta fuori dalle porte scorrevoli dell'aeroporto. La sua solita aria maledettamente affascinante, gli occhiali da sole scesi sul naso, il cellulare all'orecchio e un piccolo trolley stretto in mano.
Solo vederlo mi fa ribollire il sangue nelle vene per la rabbia, ma so anche che questa stessa rabbia è una semplice proiezione della collera verso me stessa. Lui non mi ha obbligata, sono io che ho scelto, liberamente, di seguirlo.
Un timido colpo di clacson. Lui si gira in un attimo, mi riconosce al volo e viene verso di me. Quando entra nell'abitacolo io non riesco neppure a guardarlo in faccia, è lui ad avvicinarsi per un bacio sulla guancia ma io mi scanso con freddezza, senza scollare lo sguardo dal parabrezza.
Gabriel torna al suo posto.
«Deduco che questa sia un'uscita forzata.» Le sue parole sono spilli dalla punta rovente.
«Non cominciare con i tuoi aforismi d'effetto.»
«Bello il taglio, e anche il colore.»
Ingrano la prima e parto.
«Non c'è di che, Giuditta...» mi canzona.
«Mi prendi in giro?»
«Non mi piace parlare con le persone che non mi guardano in faccia.»
«Sei stato tu a chiedermi fino alla nausea di vederci.»
«Mi pare che tu abbia accettato, però.»
Inchiodo.
«Cristo santo, Giuditta! Sei impazzita!»
«Non sono ancora uscita dall'aeroporto, quindi, scendi immediatamente dalla mia macchina e tornatene da dove sei venuto!» sbotto categorica.
Ora lo guardo, dritto nelle palle degli occhi.
«Finalmente! Ciao Giuditta, come stai?»
Niente, il mio cuore non può sopportare tanta gratuita faccia tosta. Qualche macchina si accoda dietro e comincia a suonare. Mio malgrado sono costretta a ripartire.
«Se non hai voglia di andare lontano, puoi fermarti anche qui, da qualche parte. Non è importante il posto, Giù. Mi premeva solo dirti un paio di cose e vorrei semplicemente che tu mi ascoltassi, senza darmi contro.»
Il suo tono, il suo dannato tono flautato smuove quella parte di me friabile come pasta frolla. Potrei sgretolarmi guidando questa macchina in mezzo al traffico, stritolata dalla miriade di emozioni distruttive che sento dentro.
Sosto in una piazzola interna al parcheggio dell'aeroporto, felice di sapere che non servirà andare lontano per scoprire ciò che Gabriel deve dirmi.
«Allora?» pronuncio spegnendo il motore.
«Ho intenzione di divorziare da Nicole.»
Il sole picchia forte e fa ribollire tutto, compreso il mio cervello che, dopo questa confessione, sembra sublimare.
«Quindi, io cosa c'entro?» mormoro terrorizzata dall'idea di sentire anche il resto.
«Tu sei una parte della ragione per cui lo faccio. Io... credo che sia scattato qualcosa, tra me e te.»
«Io credo semplicemente che tu sia un ragazzino viziato che non ha mai raggiunto l'età adulta. Credo che tu sia totalmente incapace di prendere decisioni ragionevoli e mature senza fare del male a te stesso e a chi ti sta intorno. Io credo che tu debba iniziare ad assumerti le responsabilità delle scelte che prendi, ma questo sarà possibile solo quando, da quelle stesse scelte, ne uscirai a pezzi. Allora, forse, raccattando i singoli frammenti della tua vita imparerai che spesse volte una scelta presuppone delle rinunce. Rinunce che non avevi calcolato nell'enorme equazione che avevi in testa, perché non è solo una questione di probabilità, ma di incognite. Quelle incognite sono gli errori, le valutazioni affrettate ed errate. Quelle incognite, una volta inserite nel tuo calcolo, lo faranno sballare per sempre. Per sempre, Gabriel.»
Lui accoglie le mie parole posando l'indice sulla guancia, deviando il solco scavato dalla calda lacrima e raccogliendola sul suo polpastrello. Allarga il palmo sul mio viso e ospitandolo al suo interno, mi regala un istante di ingannevole piacere.
«Te lo dico perché anche io ho fatto male il mio calcolo, tu non c'eri nella mia equazione, sei stato l'incognita che ha deviato il risultato finale. È tutto sballato, Gabriel, nella mia vita è tutto sballato! Ho detto a Flavio di averlo tradito. Se n'è andato, e io non posso farci nulla. Ti ho odiato ancora, ho odiato questo tuo modo frivolo di vivere l'amore o ciò che pensi sia amore. Ho odiato la tua disinvoltura nel manipolarmi come fossi fatta di argilla, pronta a cambiare forma in base al tuo desiderio. Ma il mio odio verso di te non era altro che odio verso quella parte di me che è sempre stata tua.»
«Vieni via con me. O, se preferisci, resta qui, verrò io. Rimetterò insieme i tuoi pezzi e tu mi aiuterai con i miei. Non perdiamoci ancora.» Sembra un'implorazione la sua. Ma c'è qualcosa dentro di me che non scatta più, un pulsante andato in cortocircuito che non recepisce il contatto elettrico. Queste sue parole le avrei aspettate in eterno diversi anni fa, ma ora, ora non riescono più a entrarmi dentro come dovrebbero.
L'uomo giusto al momento sbagliato, allora. Adesso, semplicemente, l'uomo sbagliato al momento giusto.
«Io e te siamo destinati a non stare insieme.»
«Credo di amarti, Giù.»
«Io no, Gabriel. Io non ti amo. Mi dispiace.»
Qualcosa si è frapposto tra noi, un muro fatto di speranze distrutte, di cicatrici cauterizzate male, di sogni rincorsi fino allo stremo.
Gabriel posa la mano sulla maniglia dello sportello. Un'ultima volta il suo palmo abbraccia il mio viso.
Poi apre e se ne va.
Questa volta per sempre, ne sono certa.
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