SENZA FILTRI
GIUDITTA
Rientro a casa in uno stato catatonico indicibile. Flavio è venuto da me, Flavio mi ha trovata e, in qualche modo, mi ha perdonata. Questa consapevolezza mi crea un nodo in gola che non riesco a mandare giù, e non perché io non lo voglia, ma perché mi sembra semplicemente incredibile. Eppure, lui era reale. Le sue mani le ho strette sul serio. La sua bocca mi ha parlato davvero, consolandomi con un bacio che non avrei mai voluto interrompere. La vista improvvisa di Flavio ha mandato in blocco l'unica parte di me che ho cercato di ricostruire dopo la fine del nostro rapporto, e la perdita del nostro bambino.
Il nostro bambino.
Non gliene ho parlato, anche se avrei tanto voluto vomitargli la notizia a spron battuto.
Adele prova a chiamarmi da un po', Lorenzo... lasciamo perdere. Temo di aver fatto la figura della pazza, stasera. Nella mente si stratificano uno sull'altro i doveri ai quali non potrò sottrarmi: richiamare la mia amica e dare qualche spiegazione a Lorenzo. Ma lo farò domani.
Spalanco la finestra e non mi cambio. Semplicemente mi stendo sul letto e tiro su il lenzuolo per ripararmi dalla frescura. Sento ancora ciò che resta del suo odore sulla mia pelle, per questo motivo mi ritrovo a sniffarne la fragranza nel tentativo di capacitarmi del fatto che Flavio non è stata un'allucinazione. C'era davvero. Abbiamo interagito davvero. Mi ha fatto incazzare davvero.
Ho sentito germinare dentro di me qualcosa di affine all'odio, perché solo adesso mi rendo conto di quanto mi abbia fatto male la sua assenza, il suo ignorare le mie ragioni. Resta il fatto, però, che l'amore persiste anche se la paura è di gran lunga l'emozione prevalente.
Quando ho chiuso il cancello dietro di me, non volevo farlo. Ma l'esperienza mi ha insegnato che le scelte affrettate sono spesso causa di errori e fraintendimenti. Quindi, ho forzato il mio istinto, persuadendomi del fatto che Flavio ha bisogno di tempo per metabolizzare il nostro incontro tanto quanto me.
***
Quanto sei disposto a perdonarmi, Flavio?
E io, Giuditta, quanto sono pronta a rischiare di farmi ancora male?
Esco di casa per la mia corsa mattutina più tardi del previsto. Raggiungo il molo e penso, penso fino a che le tempie iniziano a pulsarmi in maniera insopportabile.
Una volta a casa, mando giù un analgesico, faccio una doccia ed esco ancora, colta da una frenesia indicibile. Mi perdo tra le viuzze di Cefalù, fermandomi in più di qualche bottega per fare spesa, deliziandomi della gradevole corrente fresca che attraversa i vicoli e dei fiori sospesi dai balconcini delle case. Il profumo invitante del pane mi fa deviare in direzione di una panetteria, poi, mentre sono in cassa a pagare la mia fragrante Mafalda, il cellulare squilla nello zainetto.
La chiamata in entrata mi mette in difficoltà. È Lorenzo. Non posso ignorarlo, non se lo merita.
«Ehi, buongiorno.»
«Giù, come stai? Ieri sera mi hai fatto prendere un colpo.»
Ah, Lorenzo. Se solo sapessi.
«Lo so, scusami tanto.»
«Ma che hai avuto così all'improvviso?»
Un attacco di Flavite acuta.
«È un po' difficile da spiegare...»
«Possiamo vederci? Magari nel pomeriggio, io ora ho delle cose da sbrigare. Ti va, verso le cinque, sul lungomare?»
«D'accordo.»
Ci salutiamo mentre la testa è tutta impegnata a predisporre un discorso convincente.
***
Nonostante l'impegno non riesco a elaborare un'argomentazione che esuli dalla reale situazione che mi ha investito ieri sera. Così, dopo essermi accomodata sulla panchina, di fronte a un mare straordinariamente limpido, esordisco senza troppa creatività con: «Ieri sono scappata, ma non mi sentivo male».
Lorenzo, che intanto non ha smesso un secondo di scollarmi gli occhi di dosso, manifesta inequivocabili segni di incomprensione.
«Non ti seguo.»
E ha ragione. Se Freud potesse psicanalizzarmi in questo momento, scriverebbe un trattato.
Io, al contrario, dovrei solo preoccuparmi di formulare l'apologia di Giuditta.
«C'era Flavio, il mio ex, seduto a qualche tavolo di distanza dal nostro. Quando l'ho visto ho avuto una specie di crisi di ansia e sono scappata via. In verità, ero convinta che fosse uno spiacevole scherzo della mia testa, una sorta di allucinazione. Invece era reale.»
Lorenzo non sembra sconvolto e neppure irritato, il che la dice lunga sul self control che ha in dotazione tra i tanti pregi.
«Uhm... e cosa vorrebbe da te?» domanda con tono oltremodo mansueto.
Mi esce un suono strano dalla bocca che sta per "vorrei tanto saperlo con certezza anche io".
«Qualcosa che ha a che fare con il pentimento e il perdono, suppongo.»
«Be', se non altro è dotato di un tempismo perfetto. Tu inizi a rimettere insieme i pezzi e lui torna a confonderti le idee...»
Segue un lungo, interminabile momento di silenzio.
«Tu lo ami ancora, giusto?»
Domanda scomoda la sua, domanda molto scomoda.
«Se ti dicessi di no mentirei. Ma non sono sicura di quanto io sia disposta a rischiare di perdere tutto un'altra volta.»
«Scusami, ma non capisco. Lui ti ama, tu lo ami e vissero tutti felici e contenti, no?»
Smetto di fissare la punta delle mie scarpe e di comportarmi come uno struzzo che vorrebbe tenere la testa sotto la sabbia pur di non affrontare tutto il resto.
Nel mio caso non funziona esattamente come negli epiloghi disneyani.
Lo sguardo di Lorenzo è sereno anche se la tensione della sua mascella è sinonimo di una certa inquietudine.
«Non basta il perdono per ristabilire l'amore tra due persone. Io non sono più la Giuditta di un anno fa, come lui non è lo stesso Flavio. I nostri percorsi ci hanno cambiati e prima di fare un passo importante, abbiamo bisogno di capire quanto siamo disposti a investire.»
«Capisco.»
«Ho paura di commettere un errore in una direzione o nell'altra.»
Lorenzo si mette in piedi, fa qualche passo in avanti e infila le mani nelle tasche del pantalone. Mi dà le spalle, prima di esprimere la sua opinione in merito ci impiega un po'.
«Finché non avrai capito cosa vuoi, io mi metterò da parte. Te l'ho detto, mi piaci molto ma non vorrei mai intromettermi nella tua ricerca della verità.»
Si volta, ora sono in piedi anche io.
«Però, se vorrai, per due chiacchiere o per qualsiasi altra cosa, io ci sono.»
L'orologio che ha sul polso segna dieci minuti alle diciotto.
«Devo andare. Ci si vede in giro, allora.» Molla un bacio languido sulla mia guancia e va verso l'automobile parcheggiata più in là. «Lo vuoi un passaggio?» chiede infine.
Io sono troppo debole moralmente e fisicamente per rifiutare.
Pochi minuti dopo, davanti al cancello di casa, lo saluto ancora con un altro bacio sulla guancia e un timoroso «grazie».
Cedo al richiamo del dolce far niente per i successivi trenta minuti e mi abbandono sulla sdraio finché l'ombra del tardo pomeriggio conquista ogni angolo del giardino. Allora rientro, faccio la seconda doccia della giornata e nel bel mezzo di una silenziosa conversazione con il frigorifero vuoto, sento suonare il campanello.
Poso sul tavolo il canovaccio della cucina e mi trascino svogliata fino all'entrata, certa che sia Adele che non è riuscita proprio ad aspettare domani mattina – e il nostro tour palermitano per partecipare all'ennesima convention – per gustare il mio racconto in merito alla serata di ieri.
Quando mi affaccio dalla portafinestra, scorgo un ciuffo di capelli neri che spunta dall'estremità a forma di lancia del cancello.
Il fiato mi muore in gola.
Quella zazzera scura ha un solo proprietario.
Mi avvicino e mi affaccio sulla strada.
Flavio è poggiato con la spalla al muro, sfoggia con charme un paio di bermuda in jeans e una polo bianca. Ha la pelle di uno che ha trascorso la mattinata stravaccato su qualche spiaggia a fare indigestione di raggi UV, senza protezione solare.
«Ciao», dice staccandosi dal muro e avanzando con una vaschetta di polistirolo tra le mani.
«Ciao», rispondo contenendo l'entusiasmo. Spalanco il cancello e con un cenno del capo lo invito a entrare, mentre il mio povero corpo viene attraversato da corrente, come fosse rivestito di filo elettrico ad alta tensione.
«Non avevo il tuo numero e volevo vederti» pronuncia mentre cammina in giardino. Butta l'occhio qui e lì e indugia qualche istante in più a osservare l'ampio vaso dal quale spuntano fiori di ibisco, il mio ultimissimo esperimento botanico.
«Mi sono appassionata alla coltivazione di fiori per sopperire alla necessità di prendermi cura di qualcosa» dico tutto d'un fiato.
Lui si volta e mi esamina, poi allunga la mano sopra la mia avvolgendola come un guanto. Il contatto ha un effetto immediato sul flusso dei miei pensieri, confondendoli a uno a uno fino a non riuscire più a distinguerne nessuno. Pensieri che sono un distillato di timore, bisogni, passione e amore. Tanto amore. Forse troppo amore.
Entriamo in casa ancora con le mani intrecciate; fiochi raggi di sole filtrano dalle tende e disegnano sopra il viso di Flavio righe di luce e ombre.
«Vorrei parlare con te, Giù» sussurra. Per un attimo ho l'impressione che lui sia impaurito tanto quanto me.
«Dovrai accontentarti di una cena improvvisata...» blatero io sull'orlo del suicidio emotivo.
Mi porge la vaschetta di gelato.
«Possiamo mangiare anche solo questo. O parlare senza mangiare nulla...»
E in questa frase leggo una leggera sfumatura di malizia che mi fa scoppiettare il cuore.
Ripongo il gelato in congelatore. Flavio sposta una sedia e si accomoda seguendomi con lo sguardo in ogni movimento. Io non riesco a parlare, è come se la voce non uscisse fuori. In realtà mi sto riempendo di questo silenzio denso di emozioni.
Metto sul fuoco una pentola con l'acqua per la pasta.
«Spaghetti aglio, olio e peperoncino? Un po' di insalata, ti va? Potrei scongelare del petto di pollo al microonde e...»
Le mani di Flavio si posano di colpo sopra le mie spalle interrompendo la lista delle pietanze che potrei improvvisare. Avvicina la bocca al mio orecchio sussurrando: «Sono venuto per parlare, Giù. Per passare del tempo con te. Tutto il resto non ha importanza». La sua voce vibra attraverso me, dischiudendo come un ventaglio una miriade di emozioni. «Ho bisogno di sapere tutte le cose che non ci siamo mai detti.»
Il fiato caldo di Flavio solletica la mia guancia, abbasso lo sguardo nel tentativo di tenere a bada lo stordimento che genera in me la sua vicinanza.
Eppure, a ben pensarci, c'è stato un momento nella mia vita e nella sua in cui tutto sembrava scontato. C'è stato un momento nella nostra relazione in cui il batticuore e l'elettricità tra noi sembravano essersi persi.
Ora mi chiedo come sia stato possibile.
Tutto ciò che, a un certo punto della vita, appare ovvio e scontato finisce col farci perdere la percezione di quanto sia, al contrario, importante, fondamentale, unico.
Giro su me stessa. Flavio appoggia una mano sul bordo del top della cucina, la sua fisicità mi sovrasta e quando alzo lo sguardo e incrocio le sue iridi cristalline, resto immobile. Afferra il mio braccio penzoloni, cammina con la mano fino al polso stringendolo. Un tale contatto mi sembra di non averlo mai avuto con lui, e non parlo di contatto fisico, ma di impalpabile attrazione tra due anime.
Mi spinge a sé, poi mi trascina verso il divano. Ci sediamo uno accanto all'altra. Il bagliore nei suoi occhi sembra essersi spento e ho paura di ciò che sta per chiedermi.
«Mi hai fatto male ieri sera. Io mi sono sentito impotente.»
E non conosci ancora il resto, mi viene da pensare. Quando saprai del nostro bambino, come ti sentirai?
«Ho sperato per mesi di rivederti convinta che non saresti mai tornato.» La voce ha cominciato a tremare.
«Shhh, non parlare. Vieni qui.» Mi avvolge le braccia intorno alle spalle, io mi raggomitolo addosso al suo corpo caldo.
Sento il coperchio della pentola sbuffare, mi stacco dal suo abbraccio e mi avvicino ai fornelli.
«Senti, pensiamo dopo a cucinare, eh?»
Mi limito ad annuire e a girare la manopola sul piano cottura per spegnere la fiamma.
«Ho bisogno che mi prometti una cosa, Giù» dice ancora, subito dopo.
«Certo.»
«Stasera ci confesseremo. Senza tabù. Senza filtri. Senza mentire. Questo confronto ci serve e voglio che sia onesto, anche se dovesse farci male.»
Nonso perché ma vengo investita da un profondo senso di ansia, e immagino quelleche potrebbero essere le papabili domande alle quali dovrò rispondere, comedice lui, senza filtri.
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