SE IO POTRÒ IMPEDIRE A UN CUORE DI SPEZZARSI

Il caro, vecchio Corvo diceva "Non può piovere per sempre", e anche Cesare Cremonini in "Cara Maggie", una lontana canzone della mia adolescenza. Diciamo che oggi, diciassette maggio, ho dovuto ricredermi, considerando la possibilità che non solo può piovere per un periodo indeterminato della vita di una persona, ma a quel temporale può sopraggiungere persino una bufera. E io, di questo giorno, temo che non dimenticherò mai nulla, neppure un singolo, insignificante particolare.


Venti ore prima

Aspetto la pausa pranzo per sganciare la notizia bomba. Stamattina, appena giunta al Dipartimento di Genetica, ho fatto un grosso respiro e ho annunciato la necessità di comunicare qualcosa di estremamente importante a tutti coloro che avrebbero preso parte al mio matrimonio.

Bene, il momento è arrivato, a uno a uno stanno entrando tutti nella stanza che ho occupato ficcanasando qui e lì per l'Istituto. La frase d'esordio è pronta, ronza nella mia testa da stamattina: questo matrimonio non s'ha da fare!

Forse lo troveranno divertente all'inizio, pensando a uno scherzo. Qualcuno storcerà la bocca, non appena scoprirà che poi di uno scherzo non si tratta, e credo che molti non approveranno affatto la mia scelta di profanare una celebre frase de I promessi sposi. Purtroppo, però, io devo trovarlo un escamotage che mi distolga dal dramma.

La platea è pronta. Spostando gli occhi da qualsiasi parte che non sia già piena di altri famelici sguardi, pronuncio: «Ehm, volevo dirvi che... Questo matrimonio non s'ha da fare.» Peccato che l'intonazione della mia voce sia andata in decadenza sillaba dopo sillaba e poi, rovinosamente, abbia iniziato a vacillare.

Non piangere, Giù.

La platea si confronta smarrita.

Non piangere, Giù.

Uno dei partecipanti, una donna, una collega per essere precisi, rompe il silenzio.

«Divertente come scherzo, ma l'addio al nubilato non te lo risparmiamo comunque...»

Non piangere, Giù.

Quando li guardo, mi rendo conto che solo Michele Lodovici osserva la strana smorfia che ho appesa in viso.

«Non è uno scherzo. Il matrimonio è ufficialmente annullato. Mi dispiace» sentenzio lapidaria.

A testa bassa abbandono la stanza.

Io, l'acme dell'instabilità, l'apogeo dell'insensibilità, sono sprofondata terribilmente in basso. Vorrei andare a nascondermi da qualche parte, invece mi limito a rintanarmi nel laboratorio sperando che a nessuno venga voglia di venirmi a chiedere altre informazioni.

«Giuditta.»

Come da programma, qualcuno rivendica precisazioni in merito.

Non posso neppure disperarmi senza rompiscatole al seguito in questo schifo di mondo.

È Michele.

«Volevo solo dirti che... se hai voglia di parlare, sono qui.» Poi, con la stessa discrezione con la quale si è affacciato alla porta, se ne va.

Passo il resto della pausa a gingillarmi su una sedia del laboratorio. Messaggio con Gaia, provo a trovare il coraggio di scrivere a mia sorella, ma l'audacia mi muore sulla punta delle dita.

Alle quattordici, Michele è il primo a rientrare, in silenzio. Io ho riacquistato un po' di dignità e sto spostando delle provette sul tavolo da lavoro quando sento un crick nel ventre. Non è un suono, è più una sensazione, come qualcosa che si rompe. Poso le provette sulla superficie del tavolo e il crick è diventato una contrazione. Istintivamente porto le mani sulla pancia.

«Oddio, Giuditta.» Le parole di Michele un attimo prima che io abbassi gli occhi e mi accorga del sangue sulle gambe.

Ho messo una gonna stamattina.

La contrazione è simile a una mano che entra e tira via.

Le scarpe di tela che ho ai piedi sono sporche ora. Un rosso vermiglio che è sinonimo di brutte notizie.

Il dolore diventa insopportabile.

Queste non sono mestruazioni, faccio appena in tempo a pensare prima di piegarmi in due sul pavimento.


***


«Giuditta, si ricorda la data del suo ultimo ciclo?»

Il medico sposta la sonda dell'ecografo, si ferma un istante e mi guarda.

«Il venti marzo.»

«Non è possibile.»

Il cuore martella, tu-tum tu-tum, come un tamburo percosso. Io lo so cosa mi è successo. Lo sto capendo ora, in questo preciso, maledettissimo istante.

«Io ho avuto il ciclo il venti marzo e poi più nessun rapporto.»

Sapete come funziona? Che quando sei un medico e certe cose le hai imparate, alla fine ti rifiuti di accettarle su di te. Non posso essere io quella stesa su un lettino che ha appena perso molto più che del semplice sangue.

«Era di dodici settimane, più o meno. Quelle che ha avuto a marzo erano verosimilmente perdite da impianto. Ha appena avuto un aborto spontaneo. Mi dispiace.»

La sonda si stacca, il freddo gel resta incollato sulla pelle.

Domani effettueranno il raschiamento, mi dicono dopo un po'.

Domani.

Ma lui, o lei, non c'è già più.

Io, di questo giorno, temo che non dimenticherò mai nulla, neppure un singolo, insignificante particolare.

Dalla finestra della stanza si vede uno scorcio di cielo plumbeo, davanti a me c'è una donna che ha una pancia enorme, le faranno un cesareo domani, il bimbo è podalico. Nel bagno goccia acqua dal miscelatore in continuazione e, nonostante i rumori, a me sembra di riuscire a sentirlo comunque. È fastidioso come quando le unghie graffiano una lavagna. Sto diventando paranoica.

Ah, dimenticavo, la stanza è da quattro, un letto è vuoto, un altro è occupato da una ragazza giovanissima che ha partorito stanotte. Mentre lei si dimenava tra le lenzuola per le contrazioni, io soffocavo le lacrime sul cuscino.

All'ospedale hai tanto di quel tempo per pensare che sembra di impazzire. Ho pensato a Flavio. Quel bambino era suo oltre che mio. Era nostro. Nostro. Ora non c'è più nulla di nostro. Né momenti, né oggetti, né amore. Ma poteva esserci un bambino che sarebbe stato amore, comunque. Una magia.

«Tesoro...» La mano di mia sorella mi accarezza i capelli. Istintivamente mi sporgo in avanti per abbracciarla.

«Scusami. Scusaci» mormora soffocando la commozione.

Mia madre, dietro di lei, è una maschera di dolore. Mio cognato mi stringe la mano e riesco a mollarglielo un mezzo sorriso; quando arriva Gaia, però, capisco che il momento è giunto.

Ha la cuffia verde in testa, non l'ho mai vista in tenuta da chirurgo, nonostante non sia Ginecologia la sua specialità medica, ha chiesto di esserci in sala operatoria, con me.

Voglio la narcosi breve. Non posso restare sveglia.

La mano di Gaia stringe, la luce sopra di me è accecante, il sonno sopraggiunge.


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