LISTEN TO YOUR HEART


FLAVIO

Un approccio con il chiaro obiettivo di trascinarmi nel suo letto. Così definirei l'atteggiamento sensuale e fin troppo esplicito di Alissa.

Ammicca, struscia la sua gamba nuda sul mio jeans facendolo passare come un gesto assolutamente casuale e non voluto. Gli occhi le brillano di una luce fin troppo maliziosa per passare inosservata.

«Non sei di qui...» chiede con un atteggiamento da seduttrice senza scrupoli.

Io le sorrido, cercando di mantenere una parvenza di interessamento. «No. Nemmeno tu, mi sembra.»

Le offro un drink.

«Sei tutto solo?»

«Non proprio» rispondo vago. Di certo non posso dirle che lei rappresenta soltanto un mezzo attraverso il quale far consumare di gelosia la mia ex fidanzata.

Giuditta, dall'altra parte, mi guarda insistentemente. E io mi compiaccio di quegli sguardi curiosi come fossero la conquista più bella della serata. Poi, nel bel mezzo di una conversazione con Alissa, circa le nostre occupazioni professionali, Giuditta si alza e abbandona la sala.

«Cosa fa un medico genetista?» chiede la mora, strusciando continuamente le mani sopra le sue gambe nude e avvicinandole con nonchalance alle mie.

«Ricerca, consulenze su malattie genetiche e sulla possibilità che si manifestino in soggetti predisposti...» rispondo noncurante, senza distogliere lo sguardo intorno a me.

«Visiti anche i tuoi pazienti?»

Torno con l'attenzione su Alissa. E non per la domanda in sé, ma per la sua allusività chiaramente erotica. Come se una mia risposta affermativa possa avere un non so che di afrodisiaco per lei.

Spalanco gli occhi in maniera teatrale. «Può capitare.» E mando giù un lungo sorso di prosecco.

Alle mie spalle riconosco nitidamente il suono acuto della voce di Giuditta. Decisamente troppo acuto. Segno che è davvero arrabbiata.

«Un Manhattan, grazie» dice.

Faccio ruotare lo sgabello e mi ritrovo il suo faccino imbronciato a un palmo di naso.

«Pensi di farmi ingelosire, o i tuoi gusti in fatto di donne sono cambiati?» bofonchia con l'espressione accigliata.

«Se pensi che io possa farti ingelosire, forse è perché già lo sei... I miei gusti in fatto di donne potrebbero essere cambiati tanto quanto i tuoi in termini di uomini.» La guardo dritta negli occhi, sfidandola. «Non bere troppo, tesoro. Qualcuno potrebbe approfittarne.»

Ovvio che se il biondino dovesse allungare troppo le mani sulla mia Giù, potrebbe rischiare di non tornare a casa con le sue gambe.

«Sei uno stronzo!» Il tono arrabbiato di Giuditta è musica per le mie orecchie.

Mi volto di nuovo verso Alissa che mi osserva perplessa.

«Chi era quella?»

«Una vecchia amica.»

Trascorro svariati minuti ad ascoltare gli stupidi discorsi della mora circa la schiera di ex che ha avuto. Ex calciatori. Ex imprenditori. Ex manager. C'è anche un ex medico nella sua cerchia di amanti. Un chirurgo plastico. E in merito a questo dettaglio mi sfugge un risolino del quale Alissa non coglie la sfumatura di derisione. Se è stato quel chirurgo a pompargli le labbra a dismisura, ho seri dubbi che quel medico sia in grado di applicare un codice deontologico di tutto rispetto alla propria attività di "restauratore".

Stanco di dover ascoltare discorsi tanto sciocchi, invito Alissa a ballare. Sto chiaramente oltrepassando i limiti del buongusto per due motivi: io odio ballare e sto autorizzando questa mora tutte curve e sensualità ad approcciarsi con me oltre ogni ragionevole concessione.

Giuditta si accorgerà delle mie intenzioni e si infurierà. E io amo farla infuriare quasi quanto stringerla a me per consolarla.

Raggiungiamo la pista da ballo al piano inferiore. Le casse pompano musica anni Ottanta e la sala sembra esplodere di energia. Ci buttiamo nella mischia di gente, lasciando che la pressione della calca ci avvicini. La pelle di Alissa emana una scia invitante di profumo. Una fragranza dolce, molto simile a quella che userebbe Giuditta. Questo è l'unico dettaglio che rende simili due donne tanto diverse. Alissa mi guarda, i suoi occhi trasudano fantasie imbevute di lussuria. Sposta i capelli da una parte all'altra, allunga le mani dietro il mio collo, avvicinandomisi al viso. Per un attimo provo l'insano desiderio di forare con un ago quelle labbra. Magari si sgonfierebbero come un gommone bucato.

Luci e ombre. Odore di pelli accaldate e sudate. Il Dj pronuncia frasi che rimandano all'amore. La calca si scalda, scalpita e preme. Giuditta compare nel bel mezzo della pista, dopo poco il biondino le si avvinghia addosso. La folla in tumulto li schiaccia facendo in modo che i loro corpi premano l'uno contro l'altro. Affondo le dita tra i capelli di Alissa pur di distogliere i pensieri. Percepisco un mugolio di piacere uscire dalla sua bocca. Il mio petto aderisce a quelle curve morbide e voluttuose.

Giuditta mi guarda. Sembra soffrire e sembra infuriata. Si aggrappa più forte al suo amico. Il biondino la tocca, la stringe e io mi sento avvampare di gelosia. La musica cessa di botto. Le luci pulsanti schiariscono per un attimo intorno a noi. Il Dj parla ancora e io non riesco a smettere di fissarla e desiderarla.

Viene annunciata Listen To your Heart. Un altro boato tra la folla.

Le mie mani e il mio petto pulsano come le luci stroboscopiche del locale. Giuditta resta sola tra la moltitudine di persone. Il suo amico è tornato di sopra. Sposto lo sguardo su Alissa che si aspetta qualcosa, forse un bacio o una carezza bollente.

«Devo andare» le sussurro all'orecchio. Lei si irrigidisce.

«Come devi andare? Vengo con te.»

«No.» La mia risposta non le lascia margine di negoziazione.

Le mollo un bacio frettoloso sulla guancia. «Grazie» dico.

Giuditta sta andando via, barcollando tra la folla. L'afferro per il polso, trainandola contro di me. Sbatte la mia Giù. Urta il mio petto con le spalle. I capelli le ricadono sul viso, li sposto dietro l'orecchio. I tre Manhattan sono stati deleteri per lei, per quell'autocontrollo che si è imposta di avere con me. Posa la testa sulla mia spalla mentre si muove leggera sopra i tacchi che indossa. La reggo, la sollevo, la sposto.

«Cosa pensavi di fare senza di me?»

«Nulla» bisbiglia.

Solletico la pelle scoperta, insinuandomi oltre il bordo dell'abito. La naturale curvatura della sua schiena mi fa impazzire, e il pensiero che qualcun altro possa averla tastata in quel punto mi fa esplodere di rabbia.

Sussurro al suo orecchio «È tornato il tuo amico.»

Poi le mordo delicatamente il lobo. Giuditta sussulta. Il mio sguardo si posa sopra il biondino. Guarda sconvolto i nostri corpi avviluppati. Non resisto. Marcare il proprio territorio è fondamentale per me. Lo è sempre stato. L'unica volta in cui non l'ho fatto, Giuditta mi è sfuggita via.

Cerco le sue labbra con le mie, le trovo, le afferro con i denti, le apro.

Ti sto baciando, Giù. E per la prima volta non ti sento lottare.

Non ricordo neppure più l'ultima volta che l'ho baciata con un tale senso di stordimento. Le mani sulla schiena accaldata risalgo fino al collo. Le dita si incastrano tra i capelli, li avvolgono e li tirano appena indietro. Ho accesso alla gola di Giù, vibrante di vita. Le luci cobalto la illuminano, rendendola maledettamente bella.

La passione che mi si muove dentro fa male. Ma è un dolore piacevole, è un calore che cammina lentamente, addensandosi nell'addome. Giuditta cerca il contatto del mio corpo con le mani, insinua le dita nella cintura e mi avvicina di più. Il suo tocco mi manda in estasi.

Dio, quant'è bello il ricongiungimento? Sembra di aver scoperto una landa nascosta del mondo. L'oasi in un deserto che sembrava non finire più.

L'amore è il motore di tutto. E io non lo avrei mai creduto possibile.

L'amore scalpita. L'amore consuma. L'amore è in grado di demolire e ricostruire.

Tu sei il mio inizio e la mia fine, Giù.

«Vieni con me» dico, trascinandola lontano dalla calca. «Devi andare a prendere le tue cose?»

Scuote la testa, afferrando la sottile cinghia della tracolla appesa sulla spalla.

Credo di essere troppo ubriaco per guidare. Costeggiamo a piedi la strada fino a infilarci in un viottolo sterrato. Giuditta cammina ciondolante, affondando i piedi nella distesa di sabbia e ghiaia sotto di noi. Una breve discesa e, subito dopo, il soffice manto della spiaggia.

È buio. Un buio intenso, rassicurante. Al buio sentiremo soltanto i nostri respiri, affineremo il tatto e l'olfatto per riempirci di entrambi, incastrandoci. Corpo nel corpo, anima nell'anima.

Le sfilo via il vestito che siamo ancora in piedi, come se non riuscissi a dominare l'impulso di perlustrare la sua pelle calda. I respiri affannati si confondono mentre lei sbottona a uno a uno i bottoni della camicia. Le sue unghie mia graffiano la pelle, i capelli mi solleticano le spalle. Lascio cadere nella sabbia la stoffa leggera del suo vestito; il mio animo, a contatto con il corpo di Giù, si solleva da un'ansia che mi porto dietro da settimane.

«Giù, non lasciarmi. Non scappare» mugugno senza capire bene quale sia la parte di lei che voglio afferrare per prima. I suoi piccoli seni, il leggero avvallamento tra le costole e il ventre, la superficie intima e nascosta tra le cosce.

La sento gemere. E capisco di non poter più fare a meno di lei, del suono rauco della sua voce quando si lascia andare. Quando abbandona le paure e ogni insicurezza.

«Ripartiamo da qui, Giù. Ripartiamo da stasera.»

E la bacio, la stringo, inseguendo con le mani ogni curva di quel corpo che conosco tanto bene. Ci stendiamo a terra, la sabbia fredda scricchiola quasi sotto il peso dei nostri corpi. Le pagliuzze grattano la pelle, insinuandosi ovunque. Io che odio la sabbia appiccicata addosso, ora credo di amarla, improvvisamente.

La mia bocca scorre, scende e risale, nascondendosi in ogni pertugio. Giuditta mi stringe. Giuditta si concede. Questo istante di amore è impregnato di nostalgia, di sentimento e di pazienza. Ci amiamo con calma, ci amiamo assaporando tutte le sensazioni che il corpo può concedere all'anima. E sono tante. E sono immense. Ci amiamo perdendo tutto di noi, svuotandoci e riempendoci subito dopo, daccapo.

Il suo amore e il mio non sono mai stati tanto intensi.

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