LE RICERCATRICI-CHEERLEADER


Mi si sta prosciugando il cervello a forza di scrivere, quindi siate clementi e perdonate la presenza di qualche errore nel testo.

Buona lettura mie adorate.


«Pronto, Giuditta cara, come stai?»

La voce squillante di Lucrezia, la mia potenziale futura suocera, mi costringe a destarmi da quello che era un momento di puro relax sotto al sole delle tredici.

«Oh, buongiorno Lucrezia! Sto bene, anche se l'assenza di Flavio pesa più di quanto potessi immaginare.»

Il mio rapporto con quella madre troppo severa e algida è nettamente migliorato con il tempo, più precisamente ha smesso di mantenersi su un livello di cordialità, imposto dal legame che mi unisce a Flavio, quando Lucrezia ha scoperto che, dopotutto, non ero una cattiva ragazza, che potevo vantare una dignitosa educazione, un buon livello culturale e un'evidente attitudine ad amare incondizionatamente suo figlio.

«Sai che puoi venire a trovarci quando vuoi, vero?»

«Certo, Lucrezia. Lo farò senz'altro non appena avrò un po' di tempo libero.»

«TI mando un bacio. Ci sentiamo presto.»

Tutto sommato Lucrezia non è una donna complicata come avevo immaginato la prima volta che la conobbi, solo che, proprio come Flavio, è una persona molto restia a fidarsi a primo impatto degli altri. Senza dubbio, la spiacevole esperienza vissuta da Flavio con Viola ha amplificato quella sua innata caratteristica.

Prendo il panino in borsa e comincio a liberarlo dall'involucro di carta, quando arriva la primavera mangiare nel cortile antistante l'entrata del policlinico è un aspetto della pausa pranzo che adoro.

Trascorro il pomeriggio in ambulatorio con il dottor Michele Lodovici che spesso mi affianca nelle consulenze. Concluso il mio turno, decido di fermarmi in centro per fare acquisti. La mia intenzione è quella di comprare qualche capo sportivo e approfittare dell'assenza di Flavio per ricominciare a correre, attività che non svolgo più costantemente da qualche anno.

Senza dubbio lo shopping mi aiuterà a superare la malinconia e a rendere meno cupa la restante parte della serata. Una volta rincasata, preparo la cena e attendo con ansia l'arrivo della tanto agognata videochiamata di Flavio e proprio mentre sono impegnata a lavare i pochi piatti sporchi nel lavello, il tablet inizia a trillare, richiamando la mia attenzione.

«Amore ciao!» il mio saluto di incontenibile gioia.

«Ehi, tesoro, che stai facendo?»

Sposto il tablet mostrando a Flavio il lavello ancora sporco di sapone.

«Ti starai mica rimpinzando con quelle porcherie precotte?»

«Assolutamente no! Cioè, solo qualche volta, ma proprio quando sono molto stanca. Oggi ho fatto acquisti in centro per risollevarmi il morale, ho deciso che dalla settimana prossima troverò il tempo per ricominciare a correre.»

«Ottima idea!»

«Tu hai comprato il biglietto?»

Flavio spalanca le gemme blu che ha incastonate negli occhi.

«Giù, è giovedì. Non è neppure una settimana che sono partito. Non potrò tornare questo weekend.»

Il mio buonumore sprofonda ai minimi storici.

«Dai, non fare quella faccia! Cerca di capirmi, non è che non voglio tornare, è che sabato mattina c'è la mia presentazione ufficiale al comitato scientifico dell'ateneo.»

Sbuffo e metto il broncio.

«Ehi, Giù, ti prego non restarci male. Ti prometto che farò il possibile per scendere la settimana prossima, ok?»

«Quindi neppure sei certo di poterlo fare!» Sono visibilmente scocciata.

«Non posso prevedere con largo anticipo i miei impegni. Qui è molto diverso dal nostro modo di lavorare.»

«Ah, sì? Cioè? Non si usano provette, centrifughe, becher, pipette...» Mi interrompe senza lasciarmi il tempo di continuare a provocarlo.

«Giù, qui io sono il responsabile della mia squadra di ricerca e devo relazionarmi anche con gli altri ricercatori. E poi ci sono i convegni, le riunioni...»

Non è ancora passata una settimana e già mi sembra di parlare con uno scienziato prossimo al Nobel.

«Ho capito. Lascia stare, non fa nulla. Ti saluto, vado a dormire. Buonanotte.»

Chiudo la chiamata. Finisco di pulire la cucina e ignoro stoicamente le telefonate di Flavio che seguono a quella conversazione deliberatamente interrotta da me.

In tarda serata chiamo Gaia e mi sfogo quel poco che serve per non esplodere di rabbia o frustrazione.

Il fine settimana lo trascorro a Bellagio in compagnia di mia madre, Alice e mio cognato. Dopo la telefonata ostica del giovedì precedente, Flavio inizia a chiamarmi con costanza nei giorni successivi, raccontandomi nel dettaglio le sue nuove attività lavorative e tergiversando alla grande tutte le volte che sposto il discorso laboratorio sul discorso ricercatrici-cheerleader.

Alice ritiene che Flavio non abbia proprio la stoffa dell'uomo infedele, mia madre è una sostenitrice della teoria di mia sorella mentre mio cognato si astiene dal formulare ipotesi di alcun genere, il che la dice lunga sulle dinamiche testosteroniche tipiche degli uomini sottoposti a digiuno sessuale prolungato.

Eppure, il pensiero che Flavio lavori fianco a fianco con tre donne − e due uomini, ma questo dettaglio è marginale − mi tormenta e la fatica di stare lontana sembra ancora più difficile da sostenere.

Una settimana dopo dal famoso battibecco telefonico, mi ritrovo a incrociare le dita e sperare che il fugace ritorno di Flavio a Milano non resti un mio semplice e inarrivabile desiderio.

Solita chiamata Skype, solita chiacchierata della giornata e solita domanda del giovedì sera: «Flavio, hai prenotato il biglietto?».

Lo vedo irrigidirsi, il che è sinonimo di cattivi presagi.

«A questo proposito devo dirti una cosa.» Il suo tono non è assolutamente rassicurante e la mia mente inizia a supporre ipotesi dai risvolti verosimilmente tragici.

Sciopero dei voli nazionali e internazionali.

Clausola contrattuale di Flavio che lo obbliga per mesi a non allontanarsi dal territorio britannico.

Improvvisa scoperta scientifica guidata dall'equipe di ricercatori con a capo il nuovo premio Nobel per la medicina: il dottor Flavio Solina.

Ma l'ultima ipotesi è di gran lunga la peggiore: relazione in corso tra Flavio e una delle ricercatrici-cheerleader del team.

Per un attimo mi sento svenire.

Come si chiamavano le tipe? Lauren, con il faccino da gattina pronta a fare le fusa.

«Giuditta. Giuditta!» Flavio pronuncia il mio nome con una tale enfasi da farmi sobbalzare.

«Mi stai ascoltando?» continua a dire.

E poi c'era la mora, Emily.

«No. Scusa, mi ero un attimo distratta.»

E l'ultima? L'ultima mi sfugge proprio.

«Ti dicevo che per le prossime settimane sarà un problema per me tornare. Questo primo periodo è davvero complicato, ogni sabato mattina mi hanno inserito delle attività alle quali non posso sottrarmi.»

Lo lascio parlare senza interferire con quei discorsi che mi sembrano decisamente assurdi, e mi resta impossibile immaginare che quelle parole siano state pronunciate dal mio fidanzato. Dal mio straordinario fidanzato. Dal mio straordinario fidanzato che dice di amarmi. Dal mio straordinario fidanzato che dice di amarmi e che ha promesso di sposarmi.

Getto la spugna e mi chiudo in me stessa.

«Amore, ma riesci a sentirmi? C'è qualche problema con la linea?»

Non c'è un problema con la linea. C'è un problema di comunicazione con te. Solo con te.

«Sì. Ti sento bene.»

«Ehi, non fissarmi come un cane bastonato, Giù.»

Abbasso gli occhi e smetto definitivamente di guardarlo in faccia.

«Vuoi rispondermi?» Il tono di Flavio diventa esigente, allora torno con lo sguardo su di lui.

«Cosa vuoi che ti dica, non vuoi tornare? E allora resta a Londra!»

Ora sono davvero incazzata.

«Ehi, frena! Cos'è quel tono, Giù? Quale frase del discorso non ti è chiara?»

Cos'è quest'affermazione dal tono vagamente strafottente?

Ah, dimenticavo di parlare con Flavio che la tendenza a ostentare una certa presunzione l'ha sempre avuta.

«Non mi sono rincretinita, Flavio. Ho compreso perfettamente il senso delle tue parole, forse sei tu a non capire più le esigenze di una donna. Le mie esigenze. Improvvisamente ti sei trasformato in un uomo esclusivamente concentrato sulla carriera e temo che questa cosa, presto o tardi, finirà per allontanarci.» Il volume della mia voce resta insolitamente basso nonostante la piega che sta prendendo la discussione.

Non trovava del tempo da dedicarmi quando ancora lavorava qui a Milano, figuriamoci ora che è a migliaia di chilometri da casa.

Con una scusa banale chiudo la videochiamata. Passo il resto della serata raggomitolata sul divano nel disperato tentativo di trovare una risposta logica a questo suo comportamento così incomprensibile, almeno per me.

Forse questo dottorato gli ha montato la testa facendogli perdere di vista le cose importanti della vita. Forse sta iniziando ad amarmi di meno. Forse le sue attenzioni si stanno spostando verso qualche altra donna. Quest'ultima riflessione mi disintegra l'autostima e le poche certezze che mi restano.


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