L'OCCASIONE RENDE L'UOMO LADRO

GIUDITTA

È proprio in questo frangente, mentre alzo lo sguardo verso Lorenzo e rispondo alla sua domanda con un sorridente «Grazie, ma sono a posto così», che una misteriosa forza mi costringe ad allargare il campo visivo. Lorenzo è sulla mia sinistra diretto verso l'entrata del locale, sulla mia destra, invece, a qualche metro da me, un uomo è seduto a un tavolo e mi osserva con insistenza.

Una vibrazione nel cuore, un improvviso senso di vertigine. La mano mi trema un po' mentre gli occhi indugiano in quella direzione. Ha il capello scompigliato e scuro, il viso regolare dalla spigolosità pronunciata, gli occhi azzurri e abbaglianti. Temo di essere preda di un'allucinazione o, ancor peggio, di una folle manipolazione del mio subconscio.

No, non può essere vero.

No, non può essere lui.


Dodici ore prima

«Giudittaaaa!»

La voce di Adele mi raggiunge squillante come sempre. Delle volte, quando la sento parlare mi sembra di rivedere Gaia. Sono molto diverse in realtà, eppure nell'entusiasmo sembrano affini.

«Ehi, ciao.»

Mi prende sottobraccio e complici come Thelma e Louise, entriamo nel policlinico confabulando sulle sorti di questo venerdì sera.

«Ce l'hai qualche news da raccontarmi? Qualche segreto inconfessabile che riguarda te e...» Lancia uno sguardo languido che ha tutta l'intenzione di tirar fuori dalla mia bocca interessanti risvolti tra la sottoscritta e Lorenzo. «...Lorenzo il Magnifico ha sganciato una delle sue cartucce migliori?» continua.

«Mi stai suggerendo che tuo cugino utilizza un ben definito schema tattico per adescare le sue prede?»

Adele apre la porta dell'ambulatorio. «Assolutamente no! Ma sono molto curiosa... quando chiedo a lui, non riesco mai a estorcere informazioni. Allora?»

«Parliamo tanto. Con lui si parla bene.»

«Giù, con gli uomini mica si può solo parlare!»

«Lo so, hai ragione e Lorenzo mi piace. Mi piace molto, ma è come se non fossi pronta.»

A essere sincera, a volte ho la sensazione che io debba aspettare ancora, che il nostro momento non sia ancora giunto.

Entra l'infermiera e ci consegna il foglio con la lista delle pazienti.

«Un attimo ancora e poi iniziamo» comunica Adele per poi tornare con lo sguardo su di me, in attesa di sapere altro.

«Dai, parliamo dopo. A pranzo.»

Tra una consulenza e l'altra, troviamo il tempo di spettegolare ancora, ma riprendiamo il discorso lasciato in sospeso solo dopo aver chiuso la porta dell'ambulatorio.

«Ma ti piace? Non ti sto chiedendo se ti piace caratterialmente, ma dal punto di vista... fisico.»

Usciamo nel cortile interno all'ospedale, apriamo il nostro pranzo al sacco e ci godiamo i caldi raggi del sole sedute su un muretto.

«Certo che mi piace! Mica faccio beneficenza a uscire con tuo cugino!»

Le racconto di quello che è successo il giorno dell'operazione "giardinaggio", Adele sembra in fibrillazione. «Gesù, io glielo dico sempre che lui deve passare dalla teoria ai fatti!»

«Guarda che a me piacciono i tipi così, che tirano la corda, che ti tengono sulle spine. È come se stessero lì, in attesa di esplodere da un momento all'altro.»

«Bah, valle a capire certe tue teorie sballate!» dice poi sospirando arresa.

«Sto meglio, sai? Non so se è merito di Lorenzo o del tempo che passa e cura le ferite, però è come se iniziassi a respirare ultimamente, dopo tanto fiato trattenuto.»

È la prima volta che lo confesso, e dirlo a voce alta mi fa uno strano effetto, qualcosa di somigliante alla paura. L'irragionevole timore che l'ammissione di uno stato embrionale di serenità possa trascinarsi dietro un infausto epilogo.

«Che c'è? Hai appena detto che stai meglio e fai questa faccia!?»

«Ho paura che sia solo un momento, che l'ansia e i ricordi possano riaffacciarsi e tornare a fare male.»

«E pensa positivo, Giù!» Mi dà una gomitata prima di continuare. «Ma sul serio non vi siete ancora scambiati i numeri di telefono?»

Poso la mano destra sul cuore. «Giuro! L'attesa incrementa il piacere» pronuncio emulando il tono di Lorenzo e dei suoi exploit filosofici.

«Uhm, contenti voi. Ah, a proposito, stasera come rimaniamo?»

Ci diamo appuntamento alle dieci in piazzetta, davanti al solito bar; verrà anche l'allegra combriccola di Adele, ovviamente.

«Visto che quel cretino ancora non ti ha dato il suo numero, e dato che la cretina che ho davanti fa la stessa cosa, ci penso io ad avvisare Lorenzo. Non so perché, ma da quando ci sei tu fa meno uccel di bosco, lo stronzo!»


***


Mi incammino verso il centro del paese che le ventidue sono passate da quindici minuti. Passo per le viuzze interne, ascoltando distrattamente le voci che dalle televisioni accese si propagano fuori attraverso le finestre aperte. L'acqua di un rubinetto scorre nel lavello di una cucina, lo schiamazzo di un paio di bambini, una conversazione in dialetto che proviene da un'abitazione qui da qualche parte. Questi sono i suoni di un paese che si risveglia dal letargo invernale.

Qualcuno che conosco solo di vista mi saluta agitando la mano mentre le mie gambe non smettono di camminare spostando, a ogni falcata, la stoffa leggera della lunga gonna a fiori. La corrente fresca che circola nei vicoli mi solletica le braccia coperte dalle sottili spalline della canotta. Il giubbino di jeans è legato in vita.

Un respiro dopo l'altro, un saluto lanciato a mano alzata, il calpestio delle mie espadrillas sopra i ciottoli neri e poi, in lontananza, come una vecchia foto ingiallita dal tempo, le luci della piazzetta.

«Eccolo il mio ranuncolo languido e misterioso.» Mi saluta così Lorenzo, con questa frase sussurrata all'orecchio mentre mi dà un bacio sulla guancia e approfitta della vicinanza per un fugace contatto pelle a pelle. La sua mano sopra il mio braccio nudo. «Hai la pelle d'oca... senti freddo?» domanda prima di lasciarmi andare al saluto degli altri.

«Un po'.»

Mi siedo accanto a lui, frugando con gli occhi tra le sedie poste intorno a due tavolini affiancati e già pieni di ordinazioni.

«Adele?» chiedo accorgendomi che non è ancora arrivata. E lei è una abbastanza precisa, di sicuro più precisa di me.

«Arriverà» blatera qualcuno.

«Giù, che prendi?» Lorenzo ha allungato di nuovo la mano sul mio braccio.

Il persistente brusio di sottofondo mi disorienta.

«Qualcosa di forte.»

Lui mi guarda allentando un sorriso sghembo che ha tutta l'intenzione di manifestare una vaga forma di compiacimento.

«Posso fare io?»

«Ti concedo questa libertà, non approfittartene.» Il mio ammonimento. Ma il tono mi tradisce, non sembro poi così dura come voglio apparire.

Ritorna poco dopo, con una coppetta da cocktail tra le mani.

«Un Bellini si addice al vestito che indossi.»

«Grazie. Il Bellini è uno dei miei preferiti.»

Credo di aver ammiccato più del dovuto, perché Lorenzo non smette di fissarmi e avvicina il suo viso al mio.

«Posso chiederti il numero di telefono?» mormora.

Prendo un tovagliolo e, con una penna trovata frugando alla rinfusa nella borsa, appunto il mio numero.

Lui lo afferra e se lo mette in tasca.

Il tempo di giocherellare con i braccialetti che mi adornano il polso, scambiare qualche chiacchiera, inviare un messaggio minatorio a quella ritardataria di Adele, e del mio Bellini non resta altro che uno scolo aranciato sul fondo della coppetta.

Il bip del telefono mi avvisa che Adele ha appena risposto.

Ho dimenticato di accendere lo scaldabagno. Ho dovuto aspettare che si ricaricasse per farmi una doccia. Mi asciugo i capelli e arrivo.

«Non mi piace dirottare le persone all'alcolismo ma, come si dice, l'occasione rende l'uomo ladro... posso offrirti un altro Bellini?» La proposta dal tono seducente di Lorenzo.

Mi piace questo suo modo di stuzzicarmi, sa essere malizioso senza risultare inopportuno. Lui è il ladro. Io l'occasione.

È proprio in questo frangente, mentre alzo lo sguardo verso Lorenzo e rispondo alla sua domanda con un sorridente: «Grazie, ma sono a posto così», che una misteriosa forza mi costringe ad allargare il campo visivo. Lorenzo è sulla mia sinistra diretto verso l'entrata del locale, sulla mia destra, invece, a qualche metro da me, un uomo è seduto a un tavolo e mi osserva con insistenza.

Una vibrazione nel cuore, un improvviso senso di vertigine. La mano mi trema un po' mentre gli occhi indugiano in quella direzione. Ha il capello scompigliato e scuro, il viso regolare dalla spigolosità pronunciata, gli occhi sono azzurri e abbaglianti. Temo di essere preda di un'allucinazione, o ancor peggio, di una folle manipolazione del mio subconscio.

No, non può essere vero.

No, non può essere lui.

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