IL SENSO GRAVITAZIONALE CHE NON C'È (parte prima)
È un capitolo piuttosto lungo, spero non diventi pesante...
Buona lettura.
Ieri era il mio compleanno.
Ieri ho incassato il colpo più basso nella relazione tra me e Flavio.
Ieri ho creduto di impazzire all'ipotesi che lui abbia perso interesse nei miei confronti.
Ieri ho toccato il fondo, ho avuto la sensazione di sfiorare con i polpastrelli una distesa di fango umido e viscido e ho temuto, per un secondo, di non riuscire a farcela.
Gaia era impegnata nel trasloco, Arianna aveva Leonardo con l'influenza e io mi sono sentita abbandonata per l'ennesima volta. Che fine fanno le amiche quando si desidera un po' di sano conforto? Perché ogni persona importante della mia vita è presa in maniera tanto esclusiva dalla propria esistenza da non considerarmi più?
Forse tutti credono che io sia forte, che io non abbia bisogno dell'aiuto degli altri, probabilmente è a causa mia se ho dato modo a ognuno di loro di pensare questo. Mi è sempre piaciuto passare per una tosta, essere considerata come una donna in grado di risolverseli da sola i propri problemi. Ma ci sono problemi e problemi. Alcuni richiedono l'impegno unico di chi deve risolverli, altri necessitano di un aiuto esterno.
Chiudo il getto di acqua della doccia ed esco fuori dalla nuvola di vapore caldo. Dalla stanza da letto proviene il suono pimpante del cellulare; avvolgo rapidamente il mio corpo nella spugna dell'accappatoio e con i piedi ancora bagnati corro nell'altra camera, mi butto sul materasso e afferro il telefono posato sul lato opposto del letto.
Rispondo senza prestare attenzione al numero comparso sul display.
«Giù, buongiorno.»
La voce di Gabriel suona quasi come un conforto, forse banale, ma comunque un conforto.
«Buongiorno», rispondo con l'aria sconsolata che mi caratterizza da circa ventiquattro ore.
«Non speravo mi rispondessi.»
«In realtà ho risposto senza guardare chi fosse a chiamarmi.»
Altrimenti non avrei risposto è il concetto logico conseguente alle mie parole.
«Ah, quindi sono stato colto da una chiara botta di fortuna?»
«Direi di sì. Grazie delle rose, erano molto belle.»
«Erano? Le hai già buttate?»
La mia gola emette una risata leggera e contenuta.
«No. Le ho messe in un vaso.»
Lo sento sorridere dall'altro capo del telefono. «Senti, hai impegni per la giornata?»
Torno in bagno e tiro fuori dal cassetto un asciugamano per tamponarmi i capelli. «Che vuoi, Gabriel?»
«Ho organizzato una gita fuori Milano, niente di impegnativo. Insomma, se non hai nulla da fare, potresti venire con me.»
Passo la mano sul vetro appannato, il mio riflesso si materializza sullo specchio imperlato di tante minuscole goccioline d'acqua.
«Dove vai?» chiedo disinteressata.
«In Liguria. Vorrei passare una giornata al mare.»
«Perché non torni a Roma? È sabato.» So che non sono affari miei, ma questa domanda è davvero una tentazione che non riesco a trattenere.
«Perché Nicole trascorrerà il weekend in un centro termale, con le sue amiche.»
«Che strano modo di rapportavi avete, ognuno per gli affari propri. Siete davvero una coppia ben assortita» lo canzono.
«Be', tu puoi capirmi, no?»
«In che senso, scusa?»
«Mi sembra che tu non sia molto più impegnata di me in attività tipicamente coniugali...»
«E cosa te lo fa pensare?»
«Il fatto che tu abbia messo i miei fiori in un vaso. O devo dedurre che tra te e il tuo futuro marito la relazione sia, come dire, aperta...»
«Stronzo!»
«Se dire la verità mi rende stronzo, allora sono stronzo!»
«Ciao, Gabriel...»
«Ehi, ehi, calma. Non riattaccare.»
«Smettila di provocarmi.»
«Ok, tregua. Allora, vieni o no?»
«No!»
«Non era un no convinto.»
«Perché mi assili?»
«Perché ti farebbe bene vedere il mare... dai, sarà bello.»
«Non dovresti neppure chiamarmi, rischi di mettermi nei guai!»
«Ma il tuo boyfriend non è a Londra?»
Oh, dai, Gabriel, infierisci pure.
«Sì, è a Londra, ma questo non cambia nulla.»
«Riformulo la domanda: Giù, ti va di venire con me? Non te lo chiederò un'altra volta.»
Ci penso su. Cristo, ci sto pensando su, il che è già sintomatico del fatto che sto prendendo in considerazione la sua proposta. Inizio a camminare per il piccolo corridoio di casa mentre insisto nel tamponarmi i capelli. Lo sguardo mi cade su una foto che ritrae Flavio e me, la prendo in mano e la osservo con un senso di demoralizzazione incredibile.
Dov'è finito il mio Flavio?
Poggio la schiena sulla porta del soggiorno e scivolo giù fino a sedermi sul pavimento.
«Ehi, Giù? Ci sei ancora?»
Un attimo di silenzio tra me e Gabriel, e quel silenzio pesa più di quanto si possa immaginare. La tentazione di concedermi una giornata lontana dalle angosce che ultimamente mi attanagliano è forte, ancora più forte perché a farmi una proposta del genere è stato proprio Gabriel. Devo ammetterlo, lui ha ancora un forte ascendente su di me, molto più forte di quanto il mio debole stato d'animo sia in grado di tollerare.
«Promettimi che starai al tuo posto» pronuncio ormai allo stremo di qualsiasi resistenza.
«Se tu starai al tuo, sì.»
«Io sto sempre al mio posto» controbatto.
«Passo da te tra mezz'ora, va bene?»
«Ok.»
«Ah, se mi mandi l'indirizzo di casa tua, magari non dovrò tirare a indovinare dove abiti.»
Sorrido in silenzio.
«Ti invio un messaggio.»
«A dopo.»
Riattacco e mi sento in colpa per un secondo, solo per un secondo.
Chiamo mia sorella per avvisarla del fatto che non andrò più a Bellagio, avanzando come scusa il desiderio di trascorrere del tempo con Gaia e aiutarla con il trasloco. Poco prima che arrivi Gabriel ricevo una telefonata della mia amica.
«Giù, stasera confermiamo?»
«Ah, già. Non lo so, se non rientro tardi da Bellagio ti chiamo, ok?»
Sono alla menzogna numero?
«Be' facciamo dopo le nove, così di certo sei tornata, che ne dici?»
Tutta questa ostinazione di Gaia mi sta innervosendo.
«D'accordo» mi arrendo stremata da tanta insistenza.
«Passo a prenderti io. A stasera.»
Un quarto d'ora dopo, mi siedo sul morbido sedile in pelle color avorio della Range Rover di Gabriel, subito tra noi cala un silenzio che non mi permette neppure di salutarlo. È lui ad avvicinarsi a me e a schioccarmi un bacio sulla guancia, la sua vicinanza mi stordisce immediatamente; allora mi stringo di più nelle braccia e sposto l'attenzione sullo schermo del navigatore che riporta come destinazione finale una località nei pressi di Sestri Levante.
«Ti porto in un posto che non potrai più dimenticare» dice.
Le parole di Gabriel mi irrigidiscono ulteriormente e inizio a temere di non riuscire a tollerare le due ore di viaggio che servono per raggiungere il luogo in questione.
L'aria condizionata è più alta del necessario, accavallo le gambe e provo a richiudere i due lembi dello spacco della gonna che ho indossato, è blu, lunga fino alla caviglia; l'ho abbinata a una t-shirt a righe, un giubbino di jeans e a un paio di sneakers di tela. L'aria esterna è molto più calda di quanto ci si aspetti in una giornata di inizio aprile. Cerco di non pensare a Flavio, obbligandomi a dirottare tutta la mia attenzione sulla strada che scorre veloce al lato del finestrino, poso la testa contro il vetro e lascio la mente libera di fluire lontano dai miei sensi di colpa. Ormai è troppo tardi per provarne.
Gabriel guida in silenzio senza tentare minimamente di disturbare la strana condizione di quiete che si è impossessata di me, alza il volume della musica e io resto raggomitolata in uno stato di falsa beatitudine finché non inizia a squillarmi il telefono. Sobbalzo. Giro di scatto la testa verso Gabriel e intercetto i suoi occhi scuri. Abbassa immediatamente il volume dello stereo per permettermi di rispondere al telefono. Guardo il display ed emetto un sospiro di sollievo. È solo Gaia.
«Non rispondi?»
«No.»
«È... lui?»
«No, è Gaia.»
Mi sento una schifosa bugiarda. Sto mentendo a tutti, ho costruito questo patetico altarino per concedermi una misera giornata di spensieratezza, sempre se di spensieratezza si può parlare.
Inizio a torturare con la mano la stoffa della gonna, arrotolandola più volte su sé stessa, Gabriel sposta la mano verso di me e arresta il nervosismo del mio arto.
«Giù, andrà tutto bene.»
Facile per lui uscirsene con una frase del genere. Forse Gabriel è abituato a mentire alla sua dolce mogliettina e magari, quella che sta per passare con me, non è la prima scappatella che si è concesso nell'arco del suo matrimonio.
«Quante volte hai fatto una cosa del genere?» gli domando senza spostare l'attenzione dal panorama al di fuori del finestrino.
«Cosa?»
«Mentire a Nicole e trascorrere una giornata in compagnia di un'altra donna, intendo.» La mia tonalità di voce non tradisce emozione, in fondo non mi aspetto di essere la prima e, di certo, sapere che Gabriel è avvezzo a questo genere di relazioni extraconiugali non mi stupisce poi molto.
«Mai.»
Non gli rispondo, continuo a tenere gli occhi incollati sulle verdeggianti distese dei prati che si allargano oltre il guardrail, mi assopisco coccolata dal piacevole tepore del sole primaverile e quando mi risveglio Gabriel sta parcheggiando l'automobile nei pressi del porto.
Sgranchisco le gambe e attendo che l'automobile si fermi, poi scendo e vengo investita da un leggero venticello che profuma del caratteristico odore salmastro. Vedo Gabriel sbirciare l'orologio, chiudere la macchina e raggiungermi.
«Che ne dici di pranzare?»
Al suono di quella proposta il mio stomaco emette un brontolio deciso.
Il viso di Gabriel si illumina con uno dei suoi sorrisi alla "non ne sbaglio mai una" e io mi ritrovo nella condizione di non riuscire a trattenere una smorfia divertita. Dovrei smetterla di apparire come una martire all'alba della condanna a morte. Ho scelto liberamente di venire in questo luogo con Gabriel, ora non posso continuare a fare la parte della tenera, piccola e indifesa fidanzata pentita, perché, pentimento a parte, sono davvero incazzata con Flavio, e questa giornata di svago io me la merito fino all'ultima goccia.
Ci incamminiamo in direzione di un ristorante situato sull'estrema punta del molo, non è molto grande e ha l'aria di essere uno di quei locali in piedi da generazioni. La sala interna è tempestata di tavolini posizionati accanto a finestre che si susseguono l'un l'altra e che affacciano sul porticciolo. Leggerissime tende di lino bianche frusciano a ritmo della brezza marina, i muri sono candidi e in alcuni punti le pareti sono adornate con reti di spesso spago beige dalle quali pendono piccole conchiglie, coralli sbiaditi e stelle marine.
«È possibile un tavolo fuori, per due?» domanda il mio accompagnatore a un cameriere di passaggio in quel momento.
Il tipo si blocca all'istante e butta un occhio verso il piccolo terrazzino esterno. «Devo controllare» dice con il tipico intercalare ligure, torna verso la cucina ed esce alcuni istanti dopo. Ci fa cenno di seguirlo fuori, indicandoci il tavolo dove accomodarci. «Siete stati fortunati, è l'unico non ancora prenotato.»
Siamo tra i primi clienti, fino a questo momento ho notato solo una coppia di anziani intenta a consultare il menù e una famiglia composta da madre, padre e due bambini.
Gabriel mi sposta la sedia da vero gentleman, lo guardo con la coda dell'occhio soffocando una risatina, so che questi suoi gesti rientrano nel suo personalissimo manuale da esperto manipolatore di donne e non posso fare a meno di constatare che lui ci è nato proprio manipolatore, è una sua distintiva dote e non la perderà mai.
«Cosa pensi di ordinare?» mi chiede con il menù aperto.
«Non saprei... pesce?» la mia chiara intonazione ironica gli fa allungare le labbra di lato, incurvandole all'insù.
È bello con il capello appena scomposto dall'alito di vento che viene su dal mare, con la sua felpa intonata al colore della mia gonna e il colletto bianco della polo che spunta alla base del collo regalandogli davvero un'aria da tenera canaglia.
Qualche istante dopo ordiniamo il pranzo e quando ci viene portato il vino a tavola, Gabriel riempie il mio calice solo per metà.
«Non sono a dieta, Gabriel.»
«Lo so, ma non voglio che tu possa inventare una scusa delle tue se ti comporterai in modo anomalo.»
«Credo di non aver capito...»
«Ti posso concedere un altro mezzo calice, poi con il vino hai chiuso. Da quello che ho notato l'altra volta, l'alcol altera completamente il tuo modo di interagire con me, e questa cosa non mi piace.»
Sbuffo ma resto al gioco. L'ultima cosa che voglio oggi è abbandonarmi priva di raziocinio alle voluttuose braccia di Gabriel.
Mangiamo degli ottimi spaghetti allo scoglio, godendo della vista delle barchette attraccate nel porticciolo. Ho appena bevuto l'ultimo sorso del primo mezzo bicchiere di vino, quando sorprendo Gabriel che mi fissa con uno sguardo dalla dubbia interpretazione.
«Che c'è?»
«Sei troppo taciturna, troppo pensierosa e poco rilassata. Sarei quasi tentato di accordarti anche un terzo mezzo calice.»
Gli faccio una smorfia, poi rido, rido di cuore, rido perché sono davvero stanca di pensare agli eventi delle ultime settimane.
«Ecco, così va già meglio.»
«Ti sei mai sentito in colpa verso Nicole?» gli chiedo tornando seria e allungando il calice nella sua direzione per farmelo riempire.
Lui versa un po' di vino senza superare il limite che ha stabilito, poi torna con l'attenzione su di me.
«Sì, quando credevo di essere io il problema che non le permetteva di restare incinta. Poi scoprimmo che non era così, e a quel punto stetti anche peggio. Io potevo accettare un'eventuale condizione di sterilità, ma credimi, non avrei mai voluto che Nicole si trovasse nella situazione di dover rinunciare a custodire un bambino dentro di sé.»
La sua confessione mi scuote qualcosa in profondità e Gabriel, in un istante, mi appare diverso dall'uomo che ho conosciuto cinque anni fa. Anche se mi sembra assurdo ammetterlo, una piccola parte di lui si è evoluta.
«Sono molto arrabbiata con Flavio. Credo che si stia allontanando da me o che non riesca più a percepire i miei bisogni di donna» ammetto tutto d'un fiato.
«Quali sono i tuoi bisogni di donna, Giù?»
«Attenzioni, senso di appartenenza a una coppia, senso del possesso. A volte ho l'impressione di appartenere solo a me stessa e non più a lui...» Volgo la testa verso il mare, perdendomi nei riflessi dorati che i raggi solari regalano all'acqua.
Sento la mano di Gabriel posarsi sulla mia, chiudo gli occhi e mi concentro sul borbottio che fanno le imbarcazioni quando un'onda più energica sbatte contro di esse e per un attimo mi alieno da tutto il resto.
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