DEBOLEZZE (parte prima)
Ho un aspetto orribile. Per la precisione ho lo sguardo cerchiato in maniera inquietante, Arianna direbbe che ho una coppia di shopper bag appese sotto agli occhi. Questa è proprio la tipica battuta che usa quando deve giustificare lo stato cadaverico del suo viso, a causa di una notte trascorsa in bianco per i ripetuti risvegli del piccolo Leonardo.
Peccato che io non abbia un figlio, e la ragione del mio aspetto da panda sia imputabile all'animata discussione avuta ieri sera con Flavio. Per inteso, ieri era giovedì e domani sarà sabato, ergo due settimane dalla partenza del mio fidanzato. Ho pianto, devo ammetterlo. Ho pianto per una ragione che si avvicina molto al concetto di delusione oltre che di irragionevole gelosia. Anche se l'irragionevolezza di tanta gelosia la vedono tutti fuorché io, ovviamente.
Ho la sensazione che a Flavio la priorità della nostra relazione gli stia letteralmente sfuggendo di mano, e non aver trovato ulteriori chiamate sul mio cellulare è un segno evidente del fatto che anche lui, come me, è letteralmente incazzato.
Flavio è uno tosto e anche estremamente suscettibile alle critiche. Diciamo che la sua risolutezza è direttamente proporzionale alla permalosità, il che trasforma quel carattere in un cocktail micidiale quando si affrontano delle discussioni. E io sono stufa e arcistufa di fare il primo passo verso la strada della riconciliazione. Non può vincere solo lui. Non può vincere sempre lui!
Prendo il telefono e lo porto in bagno con me, sia mai che dovesse chiamarmi a seguito di un accurato esame di coscienza. Inizio una lenta e scrupolosa attività di restauro. Non ho solo gli occhi provati dalla nottataccia passata, anche la pelle sembra essere cambiata negli ultimi mesi e questo non fa che sommarsi ai difetti che ultimamente vedo spuntare sul mio corpo. Arianna ha ragione, superati i trent'anni inizia un lento e inesorabile decadimento, ed è proprio in questo istante che sullo specchio davanti a me vedo comparire i freschi e adorabili visini delle ricercatrici-cheerleaders, e mi torna alla memoria anche l'ultimo nome della lista che ieri la mia mente, colta da un improvviso attacco di amnesia, aveva rimosso: Chloe.
Ora ci sono proprio tutte e tre all'appello: Lauren, Emily e Chloe.
«Smettila di pensare a queste sciocchezze» mi ripeto ad alta voce mentre spalmo uno spesso strato di correttore sotto gli occhi. Esagero con il rimmel per aprire lo sguardo e insisto con il blush sugli zigomi per ripristinare il colorito rosato di chi è in salute. E io sono in salute, in salute fisica, ma non posso dire lo stesso per la mia salute mentale che, di questo passo, finirà per fare davvero una brutta fine.
Quando raggiungo il laboratorio è impossibile evitare di notare gli sguardi di curiosità delle mie colleghe.
«Giù, tutto ok?» chiede una di loro, Sabrina.
Annuisco.
Infilo il camice e dopo innumerevoli tentativi di "contenimento emotivo", esplodo. Letteralmente. Il viso viene inondato di lacrime e quando passo la mano sotto gli occhi per tentare di arginare lo straripamento, mi ritrovo le dita completamente sporche del rimmel che con tanta accuratezza avevo steso. Ora il mio aspetto è davvero irrecuperabile. Intorno a me si è accalcato l'intero laboratorio e io mi sento una perfetta cretina. Una stupida, debole e miserabile donnetta senza carattere.
Sabrina mi avvolge il braccio intorno alle spalle. «Vieni con me. Andiamo fuori.» Lentamente si fa spazio tra le colleghe assetate di notizie sul mio stato d'animo e sulla ragione di tanto avvilimento. Ma sono certa che lo immaginino, perché tutti sanno che il mio straordinario fidanzato ha accettato un dottorato di ricerca a Londra a ridosso della mia specialistica e, soprattutto, a ridosso del nostro matrimonio. Devo apparire proprio patetica.
Raggiungiamo il bagno, Sabrina chiude a chiave la porta mentre io resto a fissare l'orribile riflesso di me sullo specchio.
Sono davvero io?
Sì, sono proprio io.
«Che succede, Giù?» mi domanda con l'aria dolce tipica di lei.
«Flavio.» Singhiozzo. Singhiozzo talmente tanto che pronunciare per intero il suo nome diventa complicato.
Il petto sussulta ancora, come se un vulcano fosse improvvisamente eruttato dentro di me.
Sento la mano di Sabrina accarezzarmi la spalla in segno di conforto, non mi chiede niente, non le racconto nulla perché non ho proprio voglia di ragionare ancora sulle cause che mi hanno ridotta in questo stato. La debolezza è un tratto di me che non ho mai tollerato molto.
Mi sciacquo il viso peggiorando ulteriormente il mio aspetto, ora ho chiazze rosse dappertutto. Sabrina esce fuori dall'angusto bagno e rientra pochi istanti dopo con un necessaire in mano.
«Truccati un po', il mio fondotinta dovrebbe andare bene sulla tua pelle.» Mi porge un astuccio con una stampa a pois rosa su fondo verde.
«Grazie.»
«Figurati. Per così poco.» Strizza l'occhio e torna in laboratorio.
La mattinata scorre a rallentatore e per tutto il tempo non faccio che tirare fuori dalla tasca del camice il cellulare, per controllare la presenza di eventuali chiamate o messaggi. Ma se il cellulare non ha vibrato, visto che in laboratorio tolgo sempre la suoneria, è ovvio che nessuno ha chiamato. Quando arriva mezzogiorno vengo colta da uno stato di ansia generale e mi convinco che l'improvviso tremolio alle gambe sia solo la manifestazione di un repentino crollo degli zuccheri nel sangue e non di un altrettanto repentino crollo nervoso. Stasera chiederò a Gaia un supporto morale accompagnato a una terapia di alcol, sotto forma di Mojito, purissimo rum o taniche di vino rosso.
«Giuditta, noi andiamo a mangiare fuori, vieni anche tu?»
Guardo l'orologio sulla parete. Sono le tredici in punto e io non ho preparato nessun pranzo al sacco stamattina.
Declino l'invito e resto da sola in laboratorio un altro quarto d'ora a concludere compiti che potrei tranquillamente rimandare a dopo. Poi cedo alla tentazione di chiamare Flavio, infrangendo la promessa che avevo fatto a me stessa e cioè: pazientare e attendere le sue scuse. Niente di più sbagliato. Flavio ha una gran testa dura. Ascolto a uno a uno gli squilli che si susseguono a vuoto, poi cade la linea senza che io riceva risposta.
«Stronzo! Sei uno stronzo!» bofonchio fissando lo schermo del telefono e lo sfondo che ritrae proprio Flavio in una foto in bianco e nero scattata qualche mese fa.
«Al diavolo!» continuo a blaterare. Sbatto il cellulare sul tavolo, conscia che se si rompesse non me ne fregherebbe un bel niente. Sfilo freneticamente il camice e lo lancio sullo schienale di una sedia, senza curarmi di togliere il badge appeso al collo. Afferro la giacca ed esco fuori dal laboratorio dirigendomi come un soldato verso la mia automobile.
In serata aggiornerò la seconda parte. Mi sto trasformando in una nerd a forza di stare con gli occhi fissi sul pc. Spero che ne valga la pena e che il capitolo (e anche il prossimo) vi coinvolgano.
Esprimete i vostri pareri, odiatemi pure se necessario, ma non smettete di credere in Giuditta!
Buona lettura.
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