CI SI PARLA. MA NON NEL LINGUAGGIO DELLE PAROLE. NEL SILENZIO

Marzo 2014


Era ancora inverno, un inverno particolarmente rigido. Quella domenica, però, a Bellagio splendeva un sole che non si vedeva da settimane.

«Flavio, mi porteresti a fare un giro?» chiese mio padre.

«Certo!» rispose il mio adorabile fidanzato.

«Non mi sembra il caso, fuori è freddo...» mi intromisi io.

Flavio mi prese per mano e mi trascinò in cucina. «Giuditta, davvero credi che un po' di freddo possa fargli male? È un suo desiderio, e merita tutta la nostra attenzione» sentenziò.

Aveva ragione, mio padre stava morendo e ogni giorno passato con noi era un giorno in più strappato alla morte.

Mio padre stava morendo, me lo ripetevo ogni singolo istante. Non potevo fare nulla, mi sentivo inerme, sconfitta, annientata. Eppure, la consapevolezza che ogni giorno avrebbe potuto essere l'ultimo, mi aveva regalato una complicità con lui che mai avrei immaginato. Lo abbracciavo, lo coccolavo, lo viziavo e parlavamo a lungo, tanto a lungo da riempire interi weekend, e quando Flavio me lo portava via per fare un giro in auto o una breve passeggiata in paese, io ne ero gelosa.

Alla fine, cedetti e uscimmo a piedi, Flavio spingeva la carrozzella mentre io continuavo a osservare il viso di mio papà, era tendente al giallo, ma a quel suo colorito ci avevo fatto l'abitudine.

«Portatemi alla Punta Spartivento» disse perentorio, e sapevo che quella più che una richiesta, rappresentava un obbligo.

Passammo per il centro e poi ci dirigemmo verso la punta di Bellagio; attraversammo un parco deliziandoci dei piccoli germogli che facevano capolino negli angoli del prato, la primavera non era poi molto lontana.

«Flavio, promettimi che ti prenderai cura della mia piccolina.» Quella frase mi parve una preghiera cantata al vento, un tintinnio di cristalli entrati in collisione, un ultimo, supplichevole richiamo d'amore.

«Te lo prometto. La sposerò, di questo puoi starne certo» rispose il mio dottorino dagli occhi cerulei.

Mi fermai per qualche istante, dietro di loro, per nascondere le lacrime che mi appannavano la vista, respirai a fondo, poi lanciai una battuta per stemperare l'ansia che la frase di mio padre aveva generato: «Flavio, davvero mi sposerai? No, perché lo hai appena detto e ora non puoi più rimangiarti la promessa!».

Le ruote della carrozzella si arrestarono, Flavio si voltò, i nostri sguardi si incrociarono, il mio era carico di emozioni, il suo voleva avvolgermi come un mantello per rassicurarmi.

«Io mantengo sempre le promesse. Non approfittartene ora che lo sai.»

Raggiungemmo la Punta Spartivento, mio padre faticosamente si aggrappò alla ringhiera del belvedere panoramico; mi precipitai accanto a lui per sorreggerlo ma non ne volle sapere.

«Ce la faccio, Giuditta» mormorò stanco.

Ci trovavamo al centro del lago, nel punto di apertura dei due rami, sullo sfondo le imponenti Alpi ancora coperte di neve. Tirava un vento pungente, le mie dita erano intorpidite, sulla superficie dell'acqua le increspature giocavano a rincorrersi, mio padre posò la sua mano sulla mia, si avvicinò piano al mio orecchio e sussurrò: «Non fartelo sfuggire. Siate complici, bisticciate quando serve, ma non smettete mai di amarvi».

Non ebbi il coraggio di girare il viso verso di lui, il freddo colpiva la mia pelle come incessanti frustate, poi la sua presa sulla mia mano si allentò, girai lentamente la testa e lo vidi accasciarsi a terra come un sacco vuoto.

Flavio cercò di sorreggerlo, io restai immobile, sotto shock. «Adriano, Adriano mi senti.»

Adriano era il nome di mio padre.

Tentò una rianimazione, premette sul suo petto più volte cercando di stimolare quel cuore ormai stanco di vivere.

Adriano era il nome di mio padre, continuai a ripetermi mentre osservavo la scena immobile.

Flavio posò il pollice sul polso, poi l'indice e il medio sul collo, alla fine alzò lo sguardo verso di me, stava piangendo anche lui.

«Giuditta, chiama l'ambulanza» disse calmo, chiudendo gli occhi.

«Adriano era il nome di mio padre» bisbigliai tra me e me.

Forse temevo di scordarlo, forse l'idea di non poterlo più chiamare per nome mi offuscò la ragione.

Allungai il cellulare a Flavio, subito dopo mi chinai sul corpo di Adriano. Mio padre. Restai lì fino a che gli infermieri mi obbligarono a staccarmi da lui.

Quello fu l'ultimo giorno con mio papà.

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