CHI È SENZA PECCATO SCAGLI LA PRIMA PIETRA (parte seconda)
La testa inizia a girare come fossi sulle montagne russe, la borsa che tengo in mano cade a terra seguita dal giubbino. Flavio è a pochi metri da me con il sorriso stampato sulle labbra e gli occhi che luccicano di gioia. Sento lo stomaco contorcersi, è una morsa che si allunga fino all'altezza della gola e mi impedisce di respirare normalmente. Sopra il tavolo, imbandito con un piccolo buffet, spiccano le rose rosse di Gabriel. Il nodo in gola diventa più grande, sento il ritmo del respiro affannarsi come se avessi corso per chilometri e il mio debito di ossigeno non riuscisse a essere compensato.
«Ehi, amore.» Flavio si avvicina, mi guarda come fa un qualsiasi uomo innamorato della propria donna. «Perdonami per essere stato tanto freddo in questi giorni, ma Gaia me lo ha imposto, altrimenti avresti capito tutto. Anche se con un giorno di ritardo, tanti auguri amore mio!» Mi abbraccia, mi stringe forte e il mio povero cuore rischia il collasso.
Resto immobile tra le sue braccia, temo che Flavio possa riconoscere l'odore di qualcun altro addosso ai miei panni, ai miei capelli, al mio viso. Alzo lo sguardo verso gli invitati, sembrano tutti apparentemente tranquilli tranne Gaia, lei non lo è affatto, sta mostrando un ferreo autocontrollo ma i suoi occhi mi trapassano da parte a parte. Arianna è impegnata con il piccolo Leonardo, mia sorella è sconvolta, glielo leggo in viso; l'unico che non mostra neppure un briciolo di ostilità nei miei confronti è Marco, mio cognato. Forse lui è il solo a non sapere nulla o a non immaginarsi che ha in famiglia una specie di sporca fedifraga. Inaspettatamente ho la sensazione che tutti sappiano, che tutti immaginino ciò che ho fatto.
Crollo in un pianto convulso e mi aggrappo al braccio di Flavio per non lasciarmi cadere a terra.
«Giù, no. Ehi, calmati, sono qui. Sono qui» mi ripete.
Io non riesco neppure a guardarlo in faccia e nascondo il viso nella stoffa della sua camicia.
«Scusami» sussurro.
China la testa sopra la mia, mi bacia tra i capelli e avvicina le labbra al mio orecchio bisbigliando: «Amore, scusa di che? Lo sai che mi sei mancata, vero?».
Queste parole peggiorano la situazione, e se non fosse per l'intervento di Gaia, probabilmente, non troverei il coraggio di staccarmi da lui.
«Giù, tesoro. Vieni con me.» Mi afferra il braccio, provando ad asciugarmi velocemente le lacrime, poi si rivolge agli altri e comunica: «Ragazzi, voi cominciate a mangiare, io la faccio calmare un secondo. Non se lo aspettava proprio... è incredibilmente emozionata!». Gaia è molto più brava di me a fingere. Mi trascina in bagno mentre Flavio ci segue.
«Flavio, tranquillo, ci penso io. Va' a festeggiare con gli altri, tra poco arriveremo anche noi» lo esorta lei.
La mia amica chiude a chiave il bagno e apre il rubinetto del lavandino mentre io mi siedo sul bordo del bidet.
«Giù, che cazzo hai combinato?» mi chiede a voce bassa, fa qualche passo verso di me, è furiosa.
«Io...»
«Io cosa?» La vedo infilare una mano nel taschino del jeans ed estrarre un bigliettino bianco, quel bigliettino bianco. Sono fregata, sono spacciata.
Mi si accovaccia davanti, alzandomi la testa e obbligandomi a guardarla. «Gabriel chi?» domanda sventolando il biglietto.
Non rispondo, non riesco a smettere di singhiozzare.
Mi molla una sberla. «Porca miseria, Giù, riprenditi!»
«Gabriel Sala» rispondo ancora sconvolta dalla reazione della mia amica.
Si alza, la vedo inspirare ed espirare profondamente. «Merda. Merda. Merda. Come cazzo ti è saltato in mente? Perché non mi hai detto nulla, eh?»
Mi stringo tra le braccia, il nodo in gola è diventato più morbido e inizio a respirare con maggiore facilità. «Perché non c'eri mai, Gaia.»
Sbarra gli occhi. Se potesse farlo mi prenderebbe a calci, ne sono certa.
«Stai dicendo che è colpa mia?»
«No. Sto dicendo che non posso raccontarti della mia vita se non ci sei mai.»
Chiude gli occhi, alza il viso verso il soffitto mentre continua a tamburellare con le dita sopra le cosce. «Ok. Ci sei andata al letto?»
Scuoto la testa. Le sue dita affusolate raggiungono il mio braccio e lo stringono. «Dimmi la verità, Giù.»
«Non ci sono andata al letto, te lo giuro. Che senso avrebbe mentirti ora?»
Sento bussare alla porta.
«Gaia, tutto ok?»
È Flavio.
«Sì, ecco, stiamo per uscire» lo tranquillizza lei. «Stammi bene a sentire. Rimandiamo le confessioni a lunedì, quando Flavio partirà. Ora sciacquati il viso e datti una mezza truccata, poi indossa la tua maschera migliore e cerca di sembrare normale. La tua reazione esagerata è stata causata dall'emozione di aver rivisto Flavio, alias il tuo futuro marito, ok?»
Mi alzo e sento girare la testa, Gaia se ne accorge e mi sorregge.
«Chi ami, Giù?»
La sua domanda mi destabilizza. E mi sembra assurdo perché mai, mai in queste ultime settimane io ho dubitato su chi amassi realmente.
«Flavio» rispondo sicura, distrutta ma sicura.
«La versione ufficiale vuole che tu abbia passato la giornata a Bellagio e ti sia intrattenuta tutto il pomeriggio per una riunione con delle vecchie amiche. Questo è quello che sa Flavio. Ah, riguardo al mazzo di rose, be', te lo abbiamo regalato io, Arianna e Sveva. Ringrazia Dio che io abbia recuperato questo maledetto biglietto prima di Flavio.»
«Grazie» le sussurro.
«Dovere, Giù. Ti voglio bene e non permetterei mai che ti rovini la vita per una scappatella con un coglione. Ti aspetto fuori.»
Lavo vigorosamente il viso, passo un batuffolo di cotone sulla pelle per eliminare i residui di trucco colato, poi mi sistemo daccapo: fondotinta, fard e rimmel.
Quando il mio volto sembra aver riacquistato un minimo di decenza, abbasso la maniglia della porta ed esco fuori. Percepisco gli occhi di tutti come se fossi nuda, vergognosamente nuda.È vero, loro non sanno niente, ma ho comunque la sensazione che una pioggia di ipotetici giudizi stiano cadendo su di me.
Flavio, non appena mi vede, si avvicina e mi avvolge le spalle con le braccia, offrendomi da bere. «Tutto bene, Giù?»
«Sì.»
Ingurgito un bicchiere di prosecco dopo l'altro sperando che possa in qualche maniera lenire la mia sofferenza e facilitare la messa in scena di questo miserabile teatrino. Gaia mi osserva con attenzione, Arianna si avvicina e mi sussurra all'orecchio: «Lunedì sono cazzi tuoi».
Le sorrido cercando di celare l'ansia. Le ore trascorrono lentamente e io non faccio che guardare l'orologio e fare il conto alla rovescia, perché se ora sono a disagio in mezzo a tutta questa gente, non oso immaginare come mi sentirò una volta che resterò sola con Flavio.
All'una di notte sono andati tutti via, improvvisamente questa casa diventa troppo silenziosa e ho il timore che i miei gesti possano smascherare tutte le bugie dette finora.
«Andiamo a letto?» Le dita di Flavio raggiungono i miei fianchi e si insinuano sotto la maglietta, i suoi polpastrelli sulla mia pelle sono una tortura insopportabile e non perché io non lo desideri, ma perché credo di non meritarlo. Mi obbliga a piegare la testa di lato e affonda le sue labbra sopra il mio collo, chiudo gli occhi in preda a una sottile sofferenza, cerca le mie labbra con le sue e quando le trova se ne impossessa. Mi prende in braccio trasportandomi fino in camera da letto.Mi spoglia completamente, io resto inerme senza riuscire a muovere un muscolo, osservando il suo petto ampio, le sue spalle larghe al punto giusto, la linea alba resa evidente dalla leggera peluria che gli attraversa il centro dell'addome e la piccola voglia di latte e caffè appena sopra l'elastico del boxer. Conosco ogni centimetro quadrato della sua pelle, ogni curva, ogni piccola, meravigliosa imperfezione. Adoro la sua schiena e gli avvallamenti che si evidenziano quando indossa una camicia, le sue scapole in risalto e la scanalatura lungo la colonna vertebrale che rende quella zona del corpo di Flavio una delizia per lo sguardo.
Quando mi sale sopra, ormai svestito, vengo colta dal panico, lui se ne accorge immediatamente. Si ferma, mi accarezza il viso e si stende accanto a me.
«Giù, sei strana, che succede?»
Mi giro di spalle e aspetto che lui mi avvolga col suo corpo.
«Niente, sono solo stanca.»
«Voglio fare l'amore con te.»
Anche io lo voglio, ma non posso lottare con il disgusto che provo verso me stessa, non ci riesco. Il senso di colpa è un cancro che mi sta consumando pezzo dopo pezzo, lentamente. Mi stringe a sé, la sua pelle sulla mia pelle, le sue gambe nelle mie gambe. Il suo respiro sopra la spalla mi culla, mi tranquillizza. Lotto contro il sonno per godere di questo attimo di pace, poi però le palpebre gonfie per le tante lacrime non resistono e si chiudono, lasciandomi scivolare in un sonno profondo.
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