CAPITOLO 49:
~ Te l'ho detto, Selena.~ rispose Èspinoza. ~ Voglio vivere in eterno.~
~ Non te lo meriti.~ ringhiò la ragazza. ~ E non era questo che volevo sapere.~
~ Dimmi come posso illuminarti, allora.~
~ In che modo l'hai scoperto?~
~ Voi sirene non siete temprate come credete. Almeno non tutte.~
~ Chi hai torturato?~
~ Ah, avete anche dei nomi? Insomma, tu ce l'hai perché hai vissuto qui tra noi per molto tempo, come un parassita duro a morire. Ma che anche quegli esseri immondi abbiano dei nomi non lo sapevo proprio...~ ridacchiò sfregandosi la barba di un paio di giorni.
~ Sei un bastardo schifoso!~ esclamò lei con odio.
~ Non ho chiesto il tuo parere. Comunque no, non so che nome avesse.~ le rispose con indifferenza.
~ È per questo che vuoi le sirene? Le spremerai fino a raggiungere l'immortalità?~
~ Esattamente. Problemi?~
~ Già.~
La ragazza appoggiò la schiena alla parete e chinò la testa. Troppa stanchezza, troppa esasperazione. Senza contare il peso che le si era appena rovesciato sulle spalle.
~ Non ci riuscirai.~ gli disse dopo un po'. ~ Anche se te le consegnassi. Non puoi farcela.~
~ Mi permetto di dissentire.~ ribatté con un ghigno.
L'attimo dopo chiamò a gran voce Meìz e gli ordinò di levarle i ferri. Egli, palesemente contrariato, eseguì mentre Selena seguiva con attenzione i suoi movimenti, fino a scoprire dove conservava le chiavi: appese al cinturone che sosteneva la pesante spada. Doveva solo pensare a come prendergliele.
~ Vieni.~
Si avviò fuori dalla stanza, voltò a sinistra nel corridoio scuro e scese una scala, sempre seguendo il profilo atletico di Èspinoza, fino a fermarsi all'entrata di quella che doveva essere la stiva.
La ragazza riusciva a malapena a vedere il viso dell'uomo nell'oscurità dell'ombroso spazio, ma era certa che fosse molto contento di ciò che stava per mostrarle.
Sentiva un po' di dolore ovunque a causa del forzato "riposo" sul legno del pavimento. Soprattutto le dolevano le ginocchia, gli addominali ed il collo, infatti faticava a restare più tempo nella stessa posizione. Continuava ad agitarsi, senza riuscire a star ferma e questo la faceva sembrare insicura e spaventata, cosa molto irritante.
Dopo diversi schiocchi la serratura scattò ed Èspinoza aprì la pesante porta di legno e le fece cenno di entrare, accompagnando il gesto con -ne era certa- un sorrisetto divertito.
Titubante, Selena entrò nella stiva senza poter vedere nulla di ciò che vi era all'interno. Altrimenti avrebbe previsto quello che le accadde dopo.
Appena ispirò quel po' d'aria contenuta lì, la gola sembrò andarle in fiamme, bruciando ogni fibra in essa contenuta.
Tossendo dolorosamente si gettò in ginocchio a causa dell'improvvisa ondata di malessere tenendo le mani avvolte intono al collo la cui temperatura era immediatamente aumentata.
Lo strazio subito dalla ragazza si stava diffondendo anche ai polmoni, impedendole di respirare.
Iniziava a pensare che sarebbe svenuta di nuovo a forza di tossire quando Èspinoza, dopo essersi preso tutto il tempo che gli aggradava, l'afferrò dal colletto della camicia e la trascinò letteralmente di peso fuori dalla stiva con una portentosa risata sadica, facendola ricadere per terra.
Selena ispirò ed espirò voracemente aria pulita e fresca mentre lui richiudeva la porta nascondendo la pesante scorta di Fiordifiamma pronta per uccidere le sirene.
***
Daniel non era uscito da molto dalla Gilda, e per fortuna la casa dei genitori di Selena non distava tanto; si trovava al confine tra la zona borghese e quella commerciale, più lontana dal porto che dalla Fortezza d'Avorio.
Era la sua ultima possibilità di trovarla; se lì non c'era doveva per forza esser tornata in Inghilterra.
La prima volta che se n'era andata era stato fortunato, poiché lei era stata costretta a fargli sapere dove fosse nel momento in cui gli aveva inviato una lettera insieme a tutto il denaro necessario a saldare i debiti dovuti all'acquisto delle armi e dell'equipaggiamento, in modo da separarsi per sempre da quel mondo.
Peccato che quel "per sempre" avesse ceduto in fretta sotto al peso di una singola busta recante il nome di Daniel. La decisione di Selena era crollata più velocemente di quanto avesse mai osato immaginare ed era tornata da lui senza nemmeno sforzarsi tanto.
Adesso, Daniel sapeva che un'altra lettera non avrebbe risolto nulla, quella volta. Sarebbe andato a Swansea personalmente pur di riportarla a casa. Anche con le maniere forti, non gli importava del come.
Cavalcava veloce con il calore del sole pomeridiano a scaldargli il viso già accaldato dall'incessante febbre, e dopo pochi minuti giunse a destinazione.
L'edificio non era diverso dagli altri lì intorno, solo leggermente più grande. Era da anni che nessuno vi entrava, ma Daniel contava proprio per quello sul fatto che Selena l'avesse scelto come rifugio.
Una volta entrato fu irrimediabilmente sopraffatto dai ricordi; fin da bambino aveva frequentato quella casa, seppur non molto spesso, grazie all'amicizia tra suo padre e quello di Selena, dunque la ricordava abbastanza da orientarsi.
L'ingresso era ampio e semplice, così come il resto dell'abitazione.
Si guardò intorno, cercando segni della presenza della ragazza ma le uniche cose che gli si presentavano agli occhi erano polvere e mobili ricoperti da teli bianchi, come fantasmi in agguato nell'ombra.
Gironzolò un po' per le stanze, giungendo infine in quella di Selena. Uno snello letto singolo stava addossato alla parete, sotto ad una finestra coperta da due tende chiare. Opposta ad esso c'era una scrivania in legno chiaro dotata di molti cassetti dalle maniglie d'ottone, come d'ottone era la cornice dello specchio soprastante.
L'arredamento era completato da un semplice ed ampio armadio realizzato con lo stesso legno della scrivania.
Era palese che Selena lì non c'era, né c'era mai stata.
Massaggiandosi le tempie, Daniel si andò a sedere sul lenzuolo candido, la testa tra le mani e l'espressione corrucciata.
Non l'avrebbe mai più trovata. Se lo sentiva nelle ossa.
Desiderava di poter apparire di fronte a lei, in un battito di ciglia, solo per poterle chiedere di tornare a casa. Ciò non era possibile e lo sapeva. Doveva andare a Swansea, trovare il Duca e puntargli un coltello alla gola finché non gli avesse rivelato dove fosse la sua protetta. Lì sarebbe arrivato il difficile, ma per pensarci c'era tempo.
Non era troppo tardi per andare al porto e chiedere se ci fossero navi in partenza per l'Inghilterra, così, deciso come non mai, si alzò di nuovo per dirigersi al molo.
Non poteva certo dire di averne voglia, considerando la febbre che si ritrovava e la spalla che aveva cominciato a far davvero male, ma non tutte le cose necessarie sono piacevoli e trovare Selena era assolutamente necessario.
Percorrendo il corridoio, passò davanti alla stanza dei genitori della ragazza, e non poté fare a meno di fermarsi ad osservarla.
Lì era stata uccisa la madre di Selena, dodici anni prima.
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