23: nastro n. 10, 19 Luglio 1997.

L' A R T E
D I
U C C I D E R E

Mi dispiace di averti dato buca, la scorsa settimana. Non mi sentivo in pace con me stesso. Non riuscivo a sopportare un altro dei nostri incontri, consapevole di portare sulle spalle un macigno di segreti che inizia a dolermi un po' troppo.

Sono un'impostore. Avevo promesso a me stesso di liberarmi di questi segreti che mi fanno male all'anima, ma non lo sto facendo davvero. Sto scegliendo cosa dire e cosa non dire e sto palesemente barando al gioco della verità. Ho nascosto un grosso segreto sotto lo zerbino ed ho sperato che nessuno lo notasse.
Non parlo di un altro paziente morto all'interno dell'ospedale per mano mia, quando dicevo che Julia sarebbe stata l'ultima paziente morta tra quelle quattro mura per cause non esattamente naturali, dicevo sul serio. Mantengo sempre le promesse. Almeno, quasi sempre, cerco sempre di fare del mio meglio per mantenere la parola data. Anzi, cercavo, ora... ora non ne ho più bisogno.

Non ero indisposto la scorsa settimana, non riuscivo a convivere con me stesso. Mi capita fin troppo spesso, qui dentro. Mi sembra quasi che le mura attorno a me si stringano, quasi vogliano soffocarmi. E mi manca il respiro, sento di star per soffocare, come due mani strette attorno la mia gola che fanno forza, sempre di più, sempre di più, sto per esalare il mio ultimo respiro ma... mi liberano. E sono ancora vivo, purtroppo.

Oh, Harry, certo. Purtroppo. Io stavo solo dando vita alla mia arte, dando sfogo al mio talento speciale per creare un'opera d'arte perfetta, sono anche consapevole che quell'arte ha portato via con sé delle vite umane, sebbene fossero penose. Merito di morire anch'io, come l'hanno meritato loro. Un giorno morirò e non mi piangerà nessuno, proprio come è successo alle vittime della mia vena artistica.

I sentimenti che stavano nascendo in me dopo la morte di Julia erano strani. Avevo già compreso di non essere cattivo, ma solo di star dando ascolto ad una mia passione incolta. Non mi sentivo più in colpa come mi ero sentivo con i primi due omicidi. Non so bene come spiegare questa nuova sensazione che si era impossessata di me. Perdonami per il paragone che sto per fare, so che non è molto adatto all'idea che ti sarai, ormai fatto di me, ma è paragonabile a quella sensazione in cui sai di essere quasi vicino al culmine del piacere, ma non troppo vicino d'esserci già arrivato, capisci? Non è il culmine del piacere, ma quasi. Ed è quel quasi che, nonostante tu sia stanco morto, ti dà la forza per andare avanti ed arrivare all'orgasmo.

L'omicidio di Julie aveva risvegliato in me quell'emozione - però, a pensarci ora che le parole già mi sono uscite di bocca, sembra che l'omicidio m'eccitasse sessualmente. Cancella, non è per niente così. Tornerò la settimana prossima con un paragone migliore. Quello era solo per.. rendere l'idea.

Quando compi un omicidio - specialmente i tuoi primi omicidi - vivi con l'ansia perenne che qualcuno colleghi gli innumerevoli puntini e si ritrovi davanti un disegno. Vivi nella paura che prima o poi ti arrestino e di perdere tutto: la tua casa, la tua bellissima famiglia, il tuo onore. Ma dopo Julie non avevo più paura. Avrei potuto aggiungere al disegno già completo altri mille puntini e trasformarlo in qualsiasi altra immagine e nessuno se ne sarebbe mai accorto.
Certo, non avevo ancora iniziato a progettare i miei omicidi futuri e non avevo ancora pensato a quale sarebbe stata la prossima scena del crimine, ma vivevo la mia vita in completa serenità, finalmente. Era così.. rilassante vivere senza la paura di perdere il lavoro da un momento all'altro.

Un giorno mia moglie mi comunicò che suo fratello e sua moglie si sarebbero fermati da noi per un paio di giorni poiché volevano far visita al piccolo Leonard. Non avevo niente in contrario a ciò, anzi, avevo pianificato una cena romantica con Rose, usando i nostri ospiti come babysitters - avevano organizzato quel lungo viaggio da Seattle solo per conoscere il nipote, non si sarebbero certo indignati se avessimo chiesto di tenerlo per una sera, no?

Oh beh, poco sapevo che i nostri ospiti non si sarebbero indignati - anzi, ci rassicurarono di essere felicissimi di poter passare del tempo con il nipote. Qualcuno, però, si indignò. Non conto di lasciarti con il fiato sospeso, cerco di arrivare al punto il più velocemente possibile. Prendi appunti, campione.

Jennie e Sean arrivarono puntuali venerdì all'aeroporto. Portavano con sé un enorme bagaglio, un po' troppo grande per rimanere in città solo un paio di giorni. Rose non se l'era sentita di venire con me, specialmente perché avrei dovuto tenere il seggiolino del bambino e quelle due palle al piede non avrebbero avuto abbastanza spazio per sedere comodi.

Durante il viaggio in macchina Jennie aveva parlato, e parlato e straparlato. Il povero Sean la stava ad ascoltare ed ogni tanto lo si sentiva esprimersi a monosillabi, giusto per farla contenta. E, una volta arrivati a cena, ringraziai Rose per averci fatto trovare la cena già pronta, così Jennie avrebbe smesso di parlare, almeno per un po'.

Finito il dessert, stavo per scusarmi con gli ospiti e andarmene un po' nel mio studio, perché avevo un progetto da portare avanti, quando udii una conversazione molto interessante.

«Ma nemmeno si vede la differenza, Jennie», mi stavo avvicinando un pochino di più alla cucina, avevo lasciato Sean seduto a tavola dicendogli che sarei andato a prendergli una birra così potevamo parlare, tra uomini. In realtà, volevo solo ascoltare le donne.
«Oh, sì, la dottoressa Forst ha fatto un lavoro incredibile», questa volta, Jennie, aveva parlato un po' troppo.

Forst? Non era un cognome nuovo. L'avevo già sentito, l'avevo già vissuto, in passato.

«Tu sei perfetta, Rose, ma se pensate di avere ancora figli, prima o poi dovrai rifartele anche tu, le tette», rise Jennie. «E ti metterò in contatto con la migliore di Seattle. Non scherzo quando dico che la Dottoressa Eryn Forst ha le mani magiche».

Eryn Forst. Non era possibile che la ragazza che mi aveva spezzato il cuore per la prima volta fosse diventata la migliore di Seattle. Proprio lei, poi, che era interessata solo a frivolezze e, quando glielo si chiedeva, non aveva nessuna ambizione per il futuro. Ma, a sentire Jennie, la cara Eryn Forst era diventata un chirurgo plastico ed era anche la migliore!

Non dimenticare questo nome, Harry, perché ci torneremo la prossima volta. Eryn Forst, l'unica sopravvissuta all'esecutore di New Orleans. Non dimenticartelo. L'unica

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