L'arte del coraggio


"Cosa ti è saltato in mente? Torna subito a casa! Ho già chiamato la polizia; quando ti avranno trovata, ti riporteranno da me. Ti pentirai di ciò che stai facendo. Fra qualche ora ti renderai conto che non potrai mai farcela da sola! Ah, ma non credere di poterla passare liscia stavolta..."

Una voce stridula, attenuata soltanto dalla plastica nera del sacchetto, squillava nella pattumiera all'angolo della strada.

Marta aveva gettato lo smartphone appena due secondi dopo aver premuto il tasto verde. Prima che sua madre potesse accorgersi che, dall'altra parte della cornetta, non ci fosse nessuno ad ascoltare le sue rimostranze, Marta era già salita sul pullman che l'avrebbe finalmente portata via da casa.

Appallottolò il cappotto a mo' di cuscino, lo incastrò tra il sedile e il vetro, reso opaco dalla condensa, e vi poggiò la testa. Aveva bisogno di riposare.

Aveva trascorso intere notti a programmare la fuga; conosceva a memoria orari di pullman e treni, aveva venduto tutti gli oggetti di valore che possedeva, riuscendo a racimolare, così, più di duemila euro. Aveva acquistato un cellulare di vecchia generazione, sprovvisto di GPS e di connessione Internet. Non voleva essere trovata e avrebbe fatto di tutto per riuscirci.

Chiuse gli occhi. Asciugò una lacrima con la manica del maglione, di due taglie più grandi, e strinse forte le braccia intorno al petto; per un istante, vide il volto felice di sua nonna.

"Se solo fossi qui con me" pensò.

Scavando nella memoria, poteva ancora sentirne l'odore: un profumo di talco e di rose.

Si ricordò dei giorni della malattia, delle notti passate a pregare e della consapevolezza che la morte sarebbe giunta, di lì a poco, a chiedere il conto.

"Perché continui a farlo? Non capisci che pregare non servirà a niente? Nessuno potrà impedirlo, nemmeno il tuo Dio!" Le gridò un giorno, dopo l'ennesima crisi respiratoria.

"Non prego per la salvezza del mio corpo, ma per quella della mia anima" Le disse, quasi sussurrando.

Solo a distanza di anni, rannicchiata su un sedile scomodo, Marta riuscì a comprendere cosa significassero quelle parole. Come sua nonna, anche lei conosceva perfettamente il destino che l'aspettava al termine del suo viaggio. Non poteva cambiare il passato, né cancellare le decisioni che l'avevano portata a scappare, ma poteva pregare per ciò che il futuro le avrebbe riservato. Poteva sperare che i suoi sforzi non sarebbero stati vani. Poteva desiderare un'esistenza migliore, più che per sé stessa, per la creatura che portava in grembo.

Uno scossone la fece sobbalzare.

Riaprì gli occhi e si trovò di fronte una donna minuta, sulla sessantina, che le sorrideva amichevole.

"Cara, posso?" Le chiese, indicando il posto accanto al suo.

"Certo."

Marta liberò la seduta dall'unico bagaglio che aveva, un borsone nero da palestra, permettendo così alla donna di accomodarsi alla sua sinistra.

"Non volevo svegliarla, è solo che preferisco stare più avanti possibile e questo era l'unico posto disponibile."

"Non si preoccupi."

Marta cercò di riprendere una posizione confortevole, per quanto possibile.

"Sembri molto giovane, sei forse una studentessa fuorisede?"

Nonostante quella donna fosse lì da poco più di cinque minuti, Marta sentiva già il peso della sua invadenza.

"Sa, anche io, alla sua età, sognavo di viaggiare in giro per il mondo, studiare e magari laurearmi."

Marta cambiò espressione. Fu quasi come ricevere uno schiaffo in pieno viso.

"E poi, cosa le è successo?"

"La vita è imprevedibile, mia cara. Persi mio padre quando avevo vent'anni, all'improvviso. Se ne andò nella notte. Fu un dolore immenso sia per me che per mia madre, la quale non si riprese mai più dallo shock. Lasciai la scuola e mi dedicai completamente a lei."

"Mi dispiace." In quel momento, Marta si accorse di essere stata molto più indiscreta di quanto, poco prima, la donna non lo fosse stata con lei.

"Oh, che maleducata! Non mi sono neanche presentata. Sono Paola."

"Marta. Mi dia del tu; potrei essere sua figlia."

"In realtà, credo che tu abbia l'età di mia nipote - ridacchiò - e anche il suo stesso colore di occhi. Azzurri, come il cielo. Li ha ereditati da suo padre, cioè, da mio figlio."

Marta sospirò. Avrebbe voluto dirle che, anche lei, aveva rubato quel colore, tanto puro quanto delicato, dal suo papà, ma tacque. Quella donna, aveva un qualcosa di particolare; forse per il sorriso incastonato tra le guance paffute, o per l'odore di buono che aveva. Un sentore di casa e di cose belle.

Marta si riscosse dai propri pensieri e notò che Paola la stava fissando; distolse lo sguardo e arrossì.

Il sole stava spuntando dalle montagne. Dovevano essere le sei del mattino.

"Comunque... Riguardo alla domanda di prima... No, non sono una studentessa."

"Oh. Avrei detto di sì. Solitamente sono brava a inquadrare le persone."

"Beh, ecco... non lo sono più. Avrei dovuto laurearmi tra pochi mesi. Ma poi..."

Marta scostò il maglione e guardò in basso.

"Ma, cara, è una cosa meravigliosa!"

La ragazza si sforzò di sorridere, mascherando la sensazione di inquietudine che l'avvolgeva ogni qualvolta lo sguardo cadeva sulla pancia tonda e pronunciata.

Stava rinunciando a tutto per quella creatura e questo le faceva paura.

Il giorno che aveva scoperto di essere incinta, aveva pianto per ore; nella mente, emozioni contrastanti si susseguivano, una dopo l'altra: rabbia, gioia, vergogna, sorpresa, ansia, rimorso, delusione.

Infine, era arrivata la rassegnazione.

Impiegò una settimana a trovare il coraggio di confessarlo ai propri genitori.

Si era allenata per tutta la vita ad essere sbagliata, aveva subito tante volte i loro sguardi di disapprovazione. Quello a cui non avrebbe mai potuto essere preparata, però, era la reazione che i due ebbero alla notizia della gravidanza.

"Non c'è molto da fare. Domattina prenderemo un appuntamento col dottor Morelli e cercheremo di risolvere la faccenda. Ovviamente tu non dovrai farne parola con nessuno. Meno si saprà in giro e meglio riusciremo a contenere il danno. Sempre che tu sia capace di tenere la bocca chiusa."

Il "danno". Ecco cosa era per loro. Esattamente come lo era stata lei venticinque anni prima.

Non li biasimava; sapeva perfettamente che, se avessero potuto, avrebbero scelto un'esistenza diversa.

"Quindi, il tuo è un viaggio romantico? Stai raggiungendo il tuo compagno?"

"In realtà, non ho un compagno."

"Non volevo essere così sconveniente! Parlo sempre troppo..."

"Oh, no... non si preoccupi. Sono abituata a questa domanda. Sembra che le persone non accettino l'idea che le ragazze sappiano cavarsela anche da sole."

"Se posso permettermi, ritengo piuttosto che sia più facile credere nella bontà degli uomini. Purtroppo, siamo ancora troppo lontani dal pensiero che i figli non siano onere esclusivo delle madri."

Era strano come quella donna, comparsa dal nulla, riuscisse sempre a toccare i tasti giusti.

Cosa poteva saperne di come fosse stato facile, per Lorenzo, guardare Marta negli occhi e confessarle che, secondo lui, l'idea dell'aborto fosse la soluzione migliore; e che poi, con la stessa leggerezza, l'aveva messa alla porta.

Anche stavolta, pensò, era colpa sua. Si era lasciata influenzare dal suo bel sorriso, dalla sua falsa dolcezza, dai suoi modi affabili. Non era riuscita a opporsi. Avrebbe dovuto dirgli che si sbagliava, che lei quel bambino lo voleva, che, nonostante tutto, sarebbe potuta diventare una buona madre. Ma si rese conto che Lorenzo non rifiutava solo l'ipotesi di diventare padre, stava rifiutando lei.

"Non tutti gli uomini sono fatti per essere padri..." bisbigliò.

"Nessuno nasce genitore, credimi. Lo si diventa. Ci vuole tempo, fatica e pazienza. Quando ho avuto il mio primo figlio, non sapevo nemmeno come si cambiasse un pannolino; mio marito, poi... Aveva paura anche solo a tenerlo in braccio; lo maneggiava come fosse di porcellana. Le prime notti le abbiamo passate osservandolo; temevamo che da un momento all'altro potesse succedergli qualcosa, che potesse smettere di respirare. Sono stati giorni difficili, ma ce l'abbiamo fatta."

La donna si voltò verso Marta e notò che ella stava piangendo. Le prese il viso fra le mani e la guardò negli occhi.

"Ce la farai anche tu."

Marta si lasciò scivolare sul suo petto e rimase lì per alcuni minuti. Percepì quel calore umano che le era stato sempre negato. Lì, nel tepore di un abbraccio, si assopì.

I raggi del sole, che filtravano dai finestrini, la svegliarono e realizzò che la donna accanto a lei non c'era più. Guardò fuori e vide che il pullman era ormai giunto a destinazione. Chiese all'autista se avesse visto la donna scendere, doveva trovarla e ringraziarla per la dolcezza con cui si era presa cura di lei. L'uomo, perplesso, le disse che era impossibile.

"Signorina, lei ha dormito per tutto il viaggio. Sembrava così stanca che non me la sono sentita di svegliarla durante le soste. Spero non le sia dispiaciuto" le disse.

Raccolse in fretta le sue cose e si precipitò fuori. Non poteva essere solo un sogno. Aveva sentito il suo profumo, l'aveva toccata. Si guardò intorno ma ciò che vide fu solo un gruppo di estranei che avevano in comune la stessa destinazione. Di Paola, nemmeno l'ombra.

"Forse sto impazzendo." Pensò.

Una voce la riscosse dai suoi pensieri. Si voltò e vide una ragazza, sulla trentina, seduta sul cofano di una Fiat Punto grigia.

"Sei arrivata, finalmente."

Marta la raggiunse e salì in auto. La ragazza avviò il motore e partì.

"Allora..." le disse "Com'è andato il viaggio? C'è stato qualche imprevisto?"

"No. Tutto come programmato. Solo..."

"Cosa?"

"Nulla di importante." Sorrise.

"Sai che per me ogni cosa può essere importante; devo sapere tutto per poterti aiutare."

"Sì certo. Il fatto è che mi è successa una cosa strana e... probabilmente avevo bisogno di riposare più di quanto pensassi."

Il veicolo si fermò lungo una strada poco trafficata. Un cancello di ferro battuto si aprì, scivolando lungo il binario. L'auto entrò e parcheggiò all'interno di un ampio cortile.

"Siamo arrivate."

La casa-famiglia che avrebbe accolto Marta, era sita in un casolare che si estendeva su tre livelli, circondato da vigneti e dal verde delle campagne umbre.

"Qui starai bene. Ci prenderemo cura di te e non dovrai preoccuparti di nulla. Ovviamente potrai restare tutto il tempo che vorrai."

"Da quanto sei qua?" chiese, quasi come se non stesse ascoltando.

"Tra una settimana saranno dodici anni; ne avevo sedici quando sono arrivata. Non avevo niente. Loro mi hanno curata, mi hanno dato un tetto e buon cibo. Ma, soprattutto, mi hanno dato l'affetto che non avevo mai avuto. Adesso tocca a me ripagarli."

"Quindi, è per questo che hai accettato di aiutarmi?"


"Esatto. Ma ora, vieni. Ti presento la tua nuova famiglia."

***


Di fronte alle giostrine del parco, sedute su una panchina di legno, due donne stanno osservando i bambini che giocano. Una delle due tiene in mano un cappottino giallo; l'altra osserva i bambini che giocano e parla:

"È una bambina tranquilla, riesce già ad allacciarsi le scarpe da sola. Le maestre dicono che sia precoce per la sua età. Qualche mese fa, abbiamo scoperto che è allergica alle fragole, ma, a parte questo, gode di ottima salute."

Marta stringe tra le mani quel pezzo di stoffa. Ascolta, in silenzio, la donna a cui ha affidato l'unica cosa bella che è riuscita a fare e cerca di non lasciarsi sopraffare dalle emozioni.

"Quando mi hanno telefonato per dirmi che qualcuno aveva deciso di affidare proprio a noi il suo bambino, sono quasi svenuta. Non ci ho creduto davvero fino a che, quel giorno, non l'ho presa fra le braccia. Ho sentito il peso della responsabilità; qualcuno mi aveva regalato una parte di sé e io non potevo fallire. Ho voluto conoscerti perché sentivo il bisogno di ringraziarti; dovevo dirti quanto tu abbia cambiato la mia vita e quella di mio marito."

Marta adesso piange. Ripensa ai mesi passati nella casa-famiglia e ai giorni trascorsi a tormentarsi. A quando, una sera, aveva ricevuto la visita di suo padre, il quale le si era seduto accanto, prendendole le mani.

"Volevamo soltanto il tuo bene" le disse, desolato.

Il quel momento, Marta capì che sarebbe potuta andare anche in capo al mondo, ma quell'uomo - e la donna che non aveva avuto il coraggio di andare a cercare la propria figlia - l'avrebbero seguita per sempre, come un'ombra. Erano dentro di lei, nel modo compulsivo con cui bramava l'approvazione degli altri, nell'insicurezza patologica che l'avrebbe sempre contraddistinta.

"È stata la decisione più difficile che abbia mai preso." Marta singhiozza. "Ero terrorizzata da ciò che poteva succedere." Si strofina il viso con i palmi.

Inspira. L'ossigeno arriva di nuovo ai polmoni, li riempie. Con voce tremante riesce, finalmente, a liberarsi dal peso che le schiaccia l'anima da tempo:

"Ti sembrerà assurdo, ma c'è stato un momento in cui ho rivisto me stessa da bambina. Tu non puoi di certo saperlo, ma io non ero stata programmata. Sono il frutto di un errore di valutazione. Dopo un matrimonio riparatore, messo in piedi, in fretta e furia, dai miei nonni, i miei si sono dovuti improvvisare genitori. L'hanno fatto al meglio delle loro possibilità. Hanno scelto per me la vita che più li soddisfaceva, ma io non sono mai stata in grado di raggiungere le loro aspettative. Non sono mai stata la prima della classe; non ho talento in nessuno sport, sebbene ne abbia praticati tanti. Persino i ragazzi che frequentavo, per loro, non erano abbastanza intelligenti o facoltosi o realizzati. Hanno deciso che sarei dovuta diventare un medico e io li ho assecondati, senza dire nulla. "Lo fanno per il mio bene" mi dicevo. "Sono i miei genitori, sanno cosa è meglio per me". Così mi sono impegnata al massimo delle mie potenzialità. Ma non era bastato nemmeno questo. Quando ho capito che il problema non era cosa fossi in grado di fare, ma chi sarei stata in grado di diventare, era ormai troppo tardi. Non sono la figlia che volevano e non lo diventerò mai. Durante il periodo che ho passato in casa-famiglia, ho ripensato spesso alla mia infanzia e ho capito che non avrei mai permesso che la mia bambina potesse provare - neanche per una volta! - quella sensazione di inadeguatezza. Non potevo permettere che si sentisse sbagliata. Merita molto di più di quello che avrei mai potuto darle."

Marta trema. La donna accanto a lei le tiene una mano e la osserva con dolcezza.

"Se ti ho fatta venire qui, non è stato solo per conoscerti, ma anche perché, a seguito di alcune ricerche, abbiamo scoperto chi eri e ciò che hai dovuto affrontare per portare avanti la gravidanza..." Sospira "Ci è voluto un po', ma alla fine mio marito ed io siamo giunti alla stessa conclusione: se non fosse stato per il tuo coraggio, oggi lei non sarebbe qui; è per questo motivo che vogliamo che tu faccia parte della vita di Paola. Sarà una cosa graduale, ovviamente. Abbiamo già contattato uno specialista che potrà aiutarci a facilitare le cose... Marta, tu sei sua madre e questo nessuno potrà mai cancellarlo, nemmeno tu."

Entrambe guardano la loro creatura scivolare lungo la rampa di plastica rossa della giostra. La sentono ridere, spensierata; i capelli biondi si librano nell'aria, come grano maturo, e poi ricadono giù, accarezzando le gote paffute.

Marta ha smesso di piangere. Adesso sorride e i suoi occhi risplendono di una luce nuova; ha pagato il suo riscatto alla vita, non le resta che riprendersi la propria felicità.

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