Capitolo 6.


Il pomeriggio del giorno dopo, Taylor stava saltando la corda a un ritmo normale, se considerata la sua costituzione fisica: i polmoni che si allargavano e stringevano a ogni respiro; l’ossigeno che fluiva al cervello, mentre l’anidride carbonica dalla bocca si dissipava nell’aria; il cuore che pompava il sangue affinché i muscoli potessero sostenere l’attività fisica in corso. Il tutto circondato dalla natura e dai caldi raggi solari che rischiaravano le alte fronde degli alberi.

Si trovava dietro il bunker, dove si allungava un campo d’allenamento formato da otto pneumatici di trattore disposti a coppie sul terreno, una rete di filo spinato lunga cinque metri, alcune funi legate ai rami robusti degli abeti, una scala orizzontale di ferro, sei fantocci sui quali testare mosse di combattimento con armi bianche, come quelle da taglio e da botta, e infine, sul cemento, due ripiani stipati di pesi, bilancieri e una cassetta di plastica con all’interno attrezzi vari.

Taylor strizzò gli occhi, provando a regolare il suo respiro per fare delle incrociate: era sempre stato il suo esercizio preferito.
Con un ampio movimento delle braccia, eseguì alla perfezione la prima incrociata, per poi farne un'altra e un'altra ancora.

« Lo sai che ti sta ballando tutto, Miss Horse? » disse un insolente voce maschile.

A quell’affermazione Taylor inciampò nella corda e il piede sinistro si incastrò nel tentativo di sbrogliarla.
Una volta liberatasi con tanta goffaggine, conscia che si stesse riferendo ai suoi seni e glutei, puntò uno sguardo truce su Andrea che stava pancia a terra sotto la rete di filo spinato.

« Scusa, chi ti ha detto che devi guardare?! » sbottò, stringendo i manici neri della corda.

« Come ignorare una donzella che salta con tanto impegno davanti i miei occhi? » chiese lui, sistemandosi sui gomiti senza toccare il filo e piegando le labbra in un sorriso provocatorio.

« Potresti gentilmente tirarglielo in fronte? » ribatté Taylor, sentendo le guance bruciare dall’imbarazzo, rivolta a Jeff, il quale era impegnato a sollevare un peso da tre chilogrammi.

« Negativo Vennins, l’impatto sarebbe devastante tale da causargli una fratturazione cerebrale. E noi non vogliamo che accada, no? » aggiunse ridendo un poco, continuando a contrarre e rilasciare il bicipite.

« Già! Se morissi dove troveresti un altro figo come me? » disse Andrea stupito, indicandosi a fatica con una mano.

« C’è ne sono di ragazzi carini » mormorò Taylor contrariata, attorcigliando la corda e facendo per riporla nella cassetta.

« Ma nessuno è come me! » esclamò Andrea in tono vanitoso.

Taylor scosse la testa e, non sapendo più cosa rispondere, guardò Jeff in cerca di sostegno.

« Avanti » proferì il soldato, poggiando il peso sullo sgabello dove era seduto. « Iniziate a fare venti flessioni in un set da tre » ordinò calmo a entrambi.

“Che bello, sono davvero rincuorata ora” pensò Taylor sarcastica, andandosi a piazzare in uno spazio di terra libero. In seguito, vide Andrea uscire dalla rete e posizionarsi al suo fianco.

« Scommettiamo a chi resiste di più? » le sussurrò divertito, accovacciandosi e portando i palmi delle mani all’altezza del petto, rivestito dalla solita canotta bianca.

Taylor sbuffò, facendo la stessa cosa e attendendo il fischio d’avvio del bruno, che stava osservando attentamente il cronometro che aveva nella tasca destra della tuta militare.
Vi fu un istante di silenzio più assoluto. Nel frattempo, lei percepiva la terra scaldarle i soffici polpastrelli, il vento leggero che le coccolava le ciocche castane accanto le orecchie e il profumo di Andrea che le inebriava le narici.

“Dio, ma quando si sbriga a soffiare?” pensò Taylor nervosa, osservando una formichina camminare svelta verso il suo indice.

Era in quella maniera che i sopravvissuti dell’Area Protetta trascorrevano i pomeriggi: allenandosi - sebbene ognuno avesse pur sempre i rispettivi hobby da coltivare, come lei con la lettura -.
Tuttavia, il rumore che udì non fu affatto quello squillante del fischio, anzi sembrava un rombo.
Cogliendo la stessa impressione, Andrea la guardò perplesso. Jeff invece si guardò alle spalle, tendendo le orecchie.

Il rombo si faceva sempre più vicino e allora capirono: Charlie ed Elan erano tornati dal loro turno di rifornimento.
Rialzandosi in piedi con sollievo, Taylor superò Jeff e i fili del bucato, fermandosi davanti alla porta di ferro battuto del covo.

Dalla strada sterrata vide una macchina verde schizzare in avanti e udì il motore spegnersi quando questa la raggiunse completamente.
Mentre un ragazzino dal giacchetto blu spalancava lo sportello per scendere, Taylor ripensò alla regola sui turni che Jeff aveva stilato e che loro avevano imparato a memoria: lei il lunedì, Elan e Charlie – dato che lui era troppo piccolo per guidare – il mercoledì, Andrea il venerdì e Jeff la domenica.
Avevano carta bianca per quanto riguardava le città in cui si recavano. Il che era un bene: Taylor era rimasta affezionata alla sua Fresno, anche se ormai vi erano un sacco di morti viventi a regnarvi.

« Qualcuno mi darebbe una mano? » la voce acuta di Elan la risvegliò dai pensieri.

« Arrivo! » esclamarono all’unisono Jeff e Taylor.

“Ma non era di là?” pensò lei, mentre avanzava verso il bagagliaio che Elan aveva aperto.

« Delle piante grasse? » domandò dubbioso il trentenne, poggiando una mano sullo sportello.

Taylor annuì con approvazione vedendo delle graziose pianticelle dalle foglie tonde e cicciotte. Elan aveva davvero stile.

« Ho pensato che avrebbero potuto rendere il bunker meno triste di quello che è » spiegò quest’ultima, ammiccando a Taylor.

« E dove le metteresti? » chiese Jeff, sempre più incerto.

« In sala, no? Negli angoli saranno perfette! »

« D’accordo, ora però scansatevi » disse prendendo il primo vaso.

Era strabiliante come Elan riuscisse a convincere Jeff, il quale non si faceva assecondare facilmente: doveva avere un qualche potere su di lui.
Taylor tirò su il secondo vaso, cercando di non rovinare le foglie, e seguì il soldato.

« Fondamentalmente è stata una mia idea, Elan l’ha solo messa in pratica! » le informò Charlie, aiutandola per un’estremità.

« Grazie » disse Taylor, sorridendo. « Avete avuto una splendida iniziativa » aggiunse sincera.

« Ma tu guarda che bugiardo! » borbottò Elan in lontananza, cosa che fece ridere Charlie di gusto.

Collocate le piante con una serie di “No, più a destra”, “Non mi piace, rigirala verso il tavolo”, “Oh sì, così va bene” da parte di Elan, il gruppo si ritrovò nuovamente nel campo d’allenamento.
Questa volta Taylor si tenne a debita distanza dagli occhi di Andrea, il quale non aveva spiaccicato parola dall’arrivo dei due.

« Elan, ai pneumatici » comandò Jeff sbrigativo. « Phinar Quaggen, dieci giri intorno al bunker »

Lei imitò il saluto militare, portandosi la mano destra sulla tempia, e si precipitò alle gomme.
Charlie, invece, si imbronciò e, le braccia molli accanto al bacino, si incamminò molto lentamente, così piano che sembrava avesse mal di stomaco.

A vederlo in quel modo, Taylor provò pena e al tempo stesso dolcezza per lui. Fra tutti e cinque era il più pigro, non amava gli esercizi, tanto meno correre.

« Sì, Phinar Quaggen, corri intorno al bunker! » canzonò Andrea, copiando Jeff che era abituato a chiamarli per cognome. « Anzi, facciamo così » aggiunse afferrando una mazza da baseball dalla cassetta.
« Ogni volta che ti fermi ti colpisco il culo! » concluse agitandola con fare minaccioso.

Charlie si allarmò quando vide il biondo rincorrerlo e allungò il passo.

« Ehi! Che fai?! Lasciami stare! » sentì Taylor a Nord della struttura, accorgendosi solo dopo che le sue labbra si erano stirate in un sorriso rallegrato.

« Corri, Il Magrissimo, corri! » esclamò Andrea, sbucando dall’altro lato del bunker dopo Charlie, che continuava a pregarlo di lasciarlo in pace.

Certe volte, nonostante tutto, la ragazza aveva la netta sensazione che Andrea si comportasse come un fratello maggiore nei suoi confronti, e questo le scaldava il cuore.

Le bollicine che dal fondo della pentola risalivano sulla superficie dell’acqua bollente, colorata dal dado; i minuscoli bucatini gialli che galleggiavano all’interno, cuocendosi; un mestolo di ferro che infranse la superficie per mescolare la pasta: « È pronta! » esclamò una ragazza dai scuri capelli mossi.

Taylor, che stava depositando sul tavolo della cucina i piatti da brodo, prese le presine e si avvicinò all’amica, che aveva spento il fornello.

Adagio, Taylor afferrò per i manici la pentola e si avviò verso la porta con Elan alle spalle, la quale portava una scodella di fagioli conditi da olio e mais.
Uscirono dalla porta d’ingresso e voltarono a sinistra, dove vennero accolte dal calore del fuocherello acceso in mezzo ai grossi tronchi.

« Si mangia! Era ora! » esclamò Charlie, vivace, accomodato tra Jeff e Andrea.

Taylor sorrise, stando attenta a non rovesciare la pentola, e girò attorno ai tronchi fino ad arrivare vicino a Jeff, che aveva montato un piccolo tavolo pieghevole.
Le ragazze vi depositarono le proprie cose e tornarono nel bunker per prendere i piatti, i bicchieri, le posate, le bottiglie d’acqua e i tovaglioli.

« A te » disse il soldato quando fu tutto preparato, porgendo un piatto riempito di minestrina a Elan, che si sedette sul tronco affianco al suo.

« Grazie » rispose lei prendendolo e soffiando delicatamente sul cucchiaio per non scottarsi. « Mmh… Niente male, socia! » affermò a Taylor dopo averla assaggiata.

Questa fece di sì con la testa, osservandola. Quella sera indossava un top bianco a maniche corte, sempre con la scollatura a barca, e un paio di shorts neri come la pece.
Lei invece non aveva cambiato abbigliamento, dopotutto aveva fatto bene a rubare numerose T-shirt bianche della sua stessa taglia, così da averne delle pulite in ogni evenienza; aveva piuttosto trovato difficoltà con i leggins: quelli verdi si stavano ancora asciugando e dello stesso colore non ne aveva.

Quando anche Taylor ebbe la sua porzione di minestra, il silenzio avvolse i ragazzi, interrotto a tratti dallo scoppiettare del fuoco, che illuminava i loro visi nel buio della notte, e dal tintinnio dei cucchiai.
La castana, mandando giù il terzo, levò gli occhi al cielo sgombro di nubi.
Era meraviglioso stare sotto le stelle, la quiete rilassava l’anima e la mente.
Loro cenavano sempre intorno al falò, quando naturalmente era possibile: c’erano stati giorni in cui il vento rendeva arduo appiccare il fuoco. Nel caso contrario la cucina era più che disponibile a ospitarli.

« Chi ne vuole ancora? » domandò qualche minuto dopo Jeff, alzandosi in piedi e avvicinandosi alla pentola.

« Io sono a posto, grazie » rispose Taylor, giocherellando con i rimasugli della pasta.

« Anche io! » si aggregò Charlie, portandosi subito la mano alla bocca per soffocare un rutto, segno che era sazio.

« Mangia di più, stuzzicadenti, altrimenti svieni » intimò Andrea, accennando alla sua pancia magra: se Taylor avesse aguzzato la vista avrebbe quasi potuto individuargli le ossa della gabbia toracica.

« Ora non mi chiami più Il Magrissimo? Stuzzicadenti suona meglio, potrei anche abituarmici » cambiò lui discorso, scrollando le spalle con aria indifferente.

« E se usassi entrambi, d’ora in avanti? » suggerì Andrea, posando il piatto vicino ai ciottoli del falò.

Taylor sussultò quando lo vide fiondarsi verso l’ignaro quattordicenne, che per poco fece cascare dalla sorpresa il piatto che aveva tra le mani, e bloccargli la testa sotto il braccio.

« Mangia di più, ho detto! » esclamò Andrea a denti serrati, mentre con la mano chiusa a pugno scompigliava velocemente il nido castano di Charlie.

« Ma se non ho fame non ho fame! » farfugliò Charlie, tentando di allentare la presa.

« A proposito, Andrea vuoi un po’ di fagioli? » chiese Elan, che ne stava mettendo un po’ per sé.

Taylor lo vide mollare la stretta – Charlie colse l’occasione per liberarsi – e crucciare il volto in un’espressione disgustata: « Non vi siete stancati di ingurgitare sempre le stesse cose? Da quando non cuociamo la carne? Ci vorrebbero proprio delle salsicce, adesso »

« Come diceva mia nonna: quello che passa dalla tavola mangi! » incalzò Elan in tono solenne.

Andrea aprì bocca, sicuramente per contestare, ma Taylor lo precedette:« Si possono trovare ancora delle salsicce, nelle macellerie ».
« Peccato che saranno indubbiamente ricoperte di larve di mosca »  aggiunse fredda, fissandolo mentre si passava le dita tra il ciuffo biondo scuro.

Lui ricambiò lo sguardo in silenzio. Non era difficile per lei sostenere il contatto visivo, ma il contrasto di luce e ombre che le fiamme stavano creando sui suoi lineamenti marcati le fecero sentire lo stomaco in subbuglio. Taylor si chiese a cosa la sua testolina stesse pensando, quando la risposta venne fuori in un battibaleno:

« Oh! Hai un verme che ti sta strisciando sullo scarponcino, Miss Horse! »

Lo stomaco della ragazza si indurì all’istante.

« Cazzo! Dov’è?! » gridò terrorizzata, saltando all’in piedi e iniziando a tirare calci all’aria.

Charlie scoppiò a ridere, benché non avesse la minima idea di ciò che stava succedendo, seguito a ruota da Andrea.
Fermandosi, Taylor guardò in fretta gli scarponcini per poi rendersi conto che non c’era mai stato un verme: si era trattato di uno stupido scherzo.
Gettò un’occhiataccia al ventunenne e si risedette così bruscamente che rischiò di colpire un legno ardente con la punta dei piedi.

« Non sapevo che avessi paura dei vermi… » disse Elan incredula, e dal cenno smarrito di Jeff capì che nemmeno lui ne era a conoscenza.

« Come mi sento privilegiato, in questo momento! » esordì Andrea, contento di poter raccontare loro le cose come stavano. « Ho scoperto questa sua fobia - »

« Non è una fobia! » intervenne Taylor, volgendogli nuovamente lo sguardo.

« Lo è » fece sprezzante lui, sghignazzando. « Dicevo, ho scoperto il suo incubo peggiore in una tranquilla giornata dei primi di luglio » riprese a narrare.
« Io ero in cucina a bere qualche sorso di birra, mentre Miss Horse stava sciacquando le foglie d’insalata che qualcuno di voi, adesso non ricordo chi, aveva portato di ritorno dal turno di rifornimento. Ero stato preso alla sprovvista quando, all’improvviso, la vidi saltellare sul posto come una pazza. All’inizio avevo creduto si fosse tagliata con il coltello o fatta male in un altro modo… »

Taylor, sentendosi gli occhi di tutti puntati addosso, desiderava solo scavare una buca e seppellirsi viva, ricordando la scena come se fosse stato ieri.

«… e invece stava facendo tante storie per un miserabile bruco che aveva trovato in mezzo alle foglie! » ridacchiò Andrea, battendo una mano sulla coscia.

« Era enorme! » ruggì Taylor, a profondo disagio.

« Piaciuto lo scherzetto? » ribatté lui, maligno.

Traendo quanta aria possibile nei polmoni, la ragazza decise di non dargli peso, concentrando il suo interesse su un bastoncino carbonizzato lì davanti.
Fu grata della comprensione degli altri, perché nessuno si azzardò a porle domande in merito.

Successivamente, i suoi occhi si persero a guardare i rametti che Jeff stava buttando sul fuoco per alimentarlo.
Osservarono come le fiamme bruciavano millimetro per millimetro; come i pezzi meno resistenti cadevano sulla cenere, diventando carboni.
Taylor strusciò indietro sul tronco tirando le gambe al petto, sulle quali posò le braccia e il mento.
Un pensiero le si era concretizzato nella mente: cercò di trovare i pregi e i difetti di questo, se era dunque una cosa da attuare o scartare.
Dopo vari secondi di riflessione, si affidò alla prima.

« Avete perso qualcuno? » chiese sapendo che, in passato, non aveva mai fatto loro una domanda del genere dato che, non conoscendoli, aveva temuto di ferirli.

Tutti la guardarono. Magari era questo che la incoraggiò a parlare per prima: « I miei genitori, Marcus e Linda Vennins, non sono a rischio di contagio. Vivono a Montana, dove io sono nata e cresciuta, e la California, nella quale mi sono trasferita finite le superiori, è praticamente emarginata dal resto del mondo… perciò sì, so che i miei sono illesi » disse, ricordandosi di averli chiamati con lo smartphone il secondo giorno che aveva trascorso nella cantina, proprio quando si era accorta della batteria morente.

Elan la stava ascoltando attentamente, masticando fagioli.

« Mi fa piacere che i tuoi siano salvi » disse Jeff, scrocchiandosi le dita delle mani. « Io ho vissuto con i miei fino a otto anni. Non c’entra nulla l’epidemia »

Taylor lo sentì inspirare a fondo, per poi proseguire: « Sono morti in un incidente automobilistico. Era il giorno del loro anniversario e mi avevano lasciato da zia, da parte di mio padre, com’era giusto che fosse.
Quando ho saputo la notizia, be’, non è stato facile, ma zia mi ha accudito e supportato fino ai miei venticinque anni. A quell’epoca mi ero diplomato e avevo intrapreso la via del servizio militare, dopo i tre anni di semplice agente immobiliare. Non mi era mai piaciuto come lavoro » aggiunse ridendo, i piccoli occhi neri che brillavano a quei ricordi.

« Non ti ci vedo affatto, dietro una scrivania! » esclamò Elan, commossa.

« Dimenticavo! Ho un fratello maggiore che non ho mai avuto l’onore di conoscere, all’estero » disse Jeff con una smorfia di noncuranza.

Taylor immaginò come ci si dovesse sentire ad avere un fratello estraneo dalla famiglia, e immaginò il dolore di Jeff nell’affrontare la vita senza la guida dei propri genitori.
Impedì alle lacrime di uscire, guardando a terra e asciugandosi con l’indice le gocce che stavano nascendo.

« Io non mi sono fatto troppi problemi, saputo l’avvertimento televisivo! » disse Andrea a gran voce. « Certo, non credevo quanto fosse veritiero, ma comunque ho abbandonato Santa Maria e ho dormito in un motel di Ventura »

« Ti sei allontanato molto! » mormorò Charlie, ironico.

« La mattina dopo » continuò il biondo, ignorando il commento dell’altro. « Ho provato a telefonare papà, ma ha risposto solo la segreteria. Ho fatto due più due sentendo, dalla finestra della camera, delle lontane urla supplicatorie e spaventate. Ho compreso che era tutto vero. Accettata  la morte dei miei, mi sono diretto a San Bernardino, dove sono entrato nella stazione di servizio più vicina per acquistare acqua e qualche snack » si soffermò.

Approfittando della pausa, Taylor ripensò a quando le aveva detto di essere sensibile sotto certi aspetti, che possedeva un cuore e, da come si era sfogato amputando gli arti di quel morto vivente, stabilì che lui aveva tenuto sul serio alla sua patria. Una vocina nella sua mente le disse che probabilmente Andrea ci era rimasto davvero male per le sorti toccate ai genitori, se non addirittura peggio.
Tuttavia, dal tono che aveva usato per esprimere il concetto, Taylor intuì che stesse nascondendo le sue vere emozioni indossando la solita maschera da presuntuoso.

« Mi ha incontrato fare lo stesso. L’ho convinto semplicemente a seguirmi e così l’ho condotto all’Area Protetta » completò in parole povere Jeff, usando uno zeppo per attizzare il fuoco.

« Esatto. Sappiate che comunque sarei riuscito a sopravvivere anche da solo, la destrezza non mi manca! » esclamò Andrea, mostrando un bicipite con fierezza.

“Certo, intanto però sei qui” pensò Taylor, sospirando e volgendo lo sguardo altrove.

« Io aspettavo un bambino! » strillò Charlie, alzando una mano in aria per attirare la loro attenzione.

Forse non si era aspettato una reazione simile, perché l’intero gruppo lo studiò perplesso, come se stessero cercando di capire se avesse tutte le rotelle a posto.

« C-cioè… non io. Mamma era incinta, io aspettavo un fratellino » si corresse subito lui, sorridendo vergognosamente. « Ma si sono “zombificati”. Ne sono certo perché li ho sentiti gridare, ruggire e fare altri versi strani che non so spiegare »

Taylor si portò entrambe le mani alla bocca, incredula che lui avesse passato una situazione così triste.

« Mi avevano detto di restare chiuso in casa, mentre loro controllavano. In casa ci sono rimasto davvero, ma loro non hanno fatto ritorno » continuò lentamente Charlie, il tono alterato dalla commozione. « Tre giorni a singhiozzare… e io sono uno di quelli che non piangono mai »

« Oh, Charlie » sussurrò piano Elan, guardandolo amabilmente.

« Poi ho sentito uno sparo, nel palazzo di fronte al mio » disse, sorridendo a Jeff che ricambiò con un cenno del capo. « Ho gridato aiuto affacciandomi alla finestra, agitando le braccia e sperando che avesse potuto salvarmi… »

« E così è stato » disse Taylor serena, mettendo una guancia sulle ginocchia e cingendo le braccia intorno alle cosce.

« Ora tocca a te! » informò Charlie allegramente, un istante più tardi, indicando Elan.

« Sì, com’è andata? » chiese Andrea, girandosi verso di lei.

Taylor, sentendo qualcosa colpirla alla caviglia sinistra, sbuffò ancora una volta vedendo la scarpa da ginnastica del ragazzo sopra il suo tronco.

“Giuro che se non la smette di darmi fastidio lo spedisco con tanto di fiocco in Alaska” pensò, rompendo la sua comoda posizione per spostarsi a destra.

« Scusatemi… voi siete stati tanto carini a condividere la vostra esperienza, ma… » cominciò timidamente Elan, abbassando i grandi occhi sull’erba.

« Che c’è che non va? » le chiese Charlie.

« Nulla, è che io... no. Non me la sento di parlarne. Scusatemi » sussurrò Elan, toccandosi il labbro superiore con aria tormentata.

La osservarono tutti preoccupati e sconcertati insieme, ma non insistettero per rispettare il suo volere.

Angolo Autrice:

Cosa c’è di meglio quando ci si allena in mezzo alla natura? Sicuramente non avere gli occhi di quel fetente di Andrea puntati addosso!

In ogni caso potete sempre minacciarlo in qualche modo, così da farlo stare zitto (o almeno provarci).

Quanto, invece, è fantastico cenare intorno al falò? Con le sole luci delle piccole stelle?

Qual è stata la parte in cui avete riso di più? (io ho amato la scena del presunto verme sullo scarponcino, povera la nostra Taylor XD)

Abbiamo scoperto molte cose sul loro conto (abbracciamo Charlie?), a eccezione di Elan… secondo voi cosa le sarà successo?

P.s. C’è qualcuno che sta già shippando la Jefan? Perché se così fosse vi ricordo che sono solo amici! (me compresa :’)

Ringrazio sempre  Alyssa_Dream  per aver revisionato in anteprima il capitolo ❤️.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top