Capitolo 5.


Le strade dissestate rendevano difficile guidare a velocità elevate, le ruote salivano e scendevano nelle buche, facendo di conseguenza balzare quelli all’interno della vettura.
Taylor, la cintura ben allacciata, rimaneva sulle settanta all’ora.
Mancavano relativamente alcuni metri per San Bernardino, non era poi così lontano da Palm Springs.
Magari Jeff aveva scelto di proposito quella località per averli nelle vicinanze, così da intervenire se gli fosse successo qualcosa di grave. Non c’era mai da fidarsi, con un ragazzo impulsivo come Andrea.

I due avversari, prima di partire, avevano discusso rudemente su chi avesse dovuto guidare. Alla fine, Taylor aveva stimato che conveniva andare ciascuno con la propria auto.
Dovette però sopportarlo per tutto il tempo, mentre la superava, accelerava e zigzagava degno di un personaggio della saga di Fast and Furious.

« Mangia la mia polvere! » esclamò una voce vicino al suo polpaccio.

« Sei un cretino » rispose Taylor afferrando il walkie-talkie, mentre davanti a sé, dalle ruote posteriori della fiat, si alzava un nuvolone di terra.

Il nuvolone le coprì il parabrezza, ma lei cercò comunque di seguire le strisce bianche della strada, tra uno spostamento d’aria e l’altro.

« Ti avevo detto che con me devi scattare » continuò Andrea in tono perfido.

“Ma falla finita” pensò lei, spegnendo l’apparecchio e cambiando marcia.

Arrivarono al centro città e videro già alcuni zombie ciondolare sui marciapiedi, dentro gli edifici crollati e, ancor di più, sulla via.
La castana, tenendosi forte, restò agghiacciata quando vide Andrea investirne uno, che si spiaccicò sull’asfalto: lei girò prontamente il volante per evitare di passargli sopra.
La stessa cosa fece per quello successivo.

“Si sta divertendo?” pensò con disapprovazione, tenendo in seria considerazione l’idea di prenderlo a sprangate, appena sarebbe scesa. Erano stati pur sempre degli esseri umani.

Si fermarono in una stradina libera e tranquilla, perfetta per iniziare la sfida, anche perché le case circostanti apparivano in ottime condizioni.

« Menomale che avremmo trovato pochi zombie, qui » fece Taylor sarcastica, ricordando le parole del soldato, tirandosi sulla schiena lo zaino e chiudendo lo sportello della macchina.

« Si spostano, non lo sapevi? Che hai paura dei mostri, Miss Horse? » disse Andrea mordace, tirando a sua volta i cordoncini della sacca di palestra rossa sulle spalle muscolose e serrando le dita attorno all’ascia che aveva nel bagagliaio.
Prima di rivelarsi per la persona che era, a Taylor aveva detto che nel tempo libero aveva quasi sempre aiutato il padre, capo di un’azienda di falegnameria, con la legna. Aveva anche saputo che la madre era una cuoca eccellente di un famoso ristorante di Santa Maria. In conclusione, da dei genitori benestanti poteva comportare solo un figlio unico viziato, che sin dai sette anni d’età aveva svolto sport corpo a corpo come football, pugilato e MMA.

« Lasciamo stare » mormorò lei, roteando gli occhi al cielo limpido.

Lui, sbattendo lo sportello del bagagliaio, girò attorno all’auto e si fermò a un passo dal suo viso:« Tra un’ora esatta fatti trovare qui »

« D’accordo » disse Taylor togliendosi uno spallaccio dello zaino per aprire la zip della tasca inferiore, dalla quale estrasse un banale orologio da polso che indossò. Iniziò a calcolare la posizione esatta che avrebbe assunto la lancetta dei minuti nell’ora appena stabilita dal contendente. Infine richiuse la zip dello zaino.
« Ma sappi che sarà la prima e ultima volta che partecipo » informò poi, osservando le sue rosee labbra sottili stirarsi in un ghigno appagato.

« Ti stai già ritirando? Non ti facevo così codarda » disse Andrea.

Taylor, sbuffando, gli diede una spinta al braccio e si addentrò nella prima casa che le capitò a tiro, estraendo la sua arma dal laccio.
Da uno scalpicciare sbrigativo, intuì che lui le stesse dietro.

“E chi sarebbe il codardo?” pensò estenuata, guardandosi attorno per il misero soggiorno in cerca di qualcosa di utile.
C’era spazio sufficiente per un logoro tavolo per quattro, una stufa impolverata e un attaccapanni dai paletti attaccati sul fusto da quello che sembrava nastro adesivo. Una tonnellata di nastro adesivo. Non vedendosi un singolo oggetto, si recò alla stanza successiva.

Tuttavia, un ruggito roco la inchiodò sul pavimento sporco di sangue.

« Abbiamo compagnia » sussurrò ad Andrea, che le si affiancò teso come uno spaghetto.

« Che battuta scontata, Miss Horse » replicò lui, stringendo l’ascia con entrambe le mani. « Sta’ a vedere! »

Si spinse oltre la soglia e un grido più terrificante, seguito dal rumore di un taglio netto, si levò in aria.
Taylor fece per raggiungerlo, quando un uomo grigio dalle costole rotte e prive di carne la sorprese alle spalle, schiantandola a terra.

Con il cuore in gola, si rigirò verso il suo aggressore gemendo dal dolore. Ma non si sarebbe fatta mordere così facilmente.
Sfilò le braccia in alto, mentre quello, fissandola maniacalmente con le pupille nere dilatate al massimo, spalancò la mandibola.
In un impercettibile secondo, la ventenne piantò la punta del piede di porco nella testa pelata dell'altro, che mandò gli occhi dietro le orbite prima di accasciarsi di peso sul suo corpo.
Sollevata, sospirò, ritirò l’arma e si tolse il cadavere fetido da dosso.

Rialzandosi, Taylor avanzò senza pensarci due volte nella stanza, dove provenivano delle urla tormentate.
Vide Andrea venirle incontro e notò una macchia rossastra sulla lama dell’ascia d’acciaio, che sorreggeva vicino al fianco destro.
« Te l’eri data a gambe? » le chiese, inclinando la testa da un lato con fare impertinente.

« Sono stata assalita e mi sono difesa » si giustificò la ragazza, indicando con il piede di porco l’individuo con il cranio bucato, disteso a un metro dalla stufa.

« Ma da dove è venuto fuori? » chiese lui perso, passandosi l’indice sotto al naso diritto.

« Secondo me era in zona ed è stato attirato dai versi del suo simile, di cui tu ti stavi… » ipotizzò Taylor, interrompendo il discorso quando si rese conto che lo zombie, del quale stava parlando, dalle gambe e dal braccio sinistro orribilmente amputati, stava strisciando nella loro direzione. «… occupando » concluse poi, impressionata.

« Oh già, è ancora vivo » asserì il biondo sbadatamente, facendo dietro front e staccando con un deciso colpo l’altro braccio dello zombie, che ruggì con più cattiveria sputacchiando sangue nero ovunque.

« Ehi! Vacci piano! » affermò Taylor, sebbene ne avesse lei stessa ucciso uno qualche istante prima. La differenza era che la sua era stata legittima difesa, altrimenti avrebbe trovato un altro modo, sicuramente più pacifico, per scamparlo.

« Ricordi la regola numero uno? » domandò, levando l’ascia dal tendine flaccido per poi alzarla nuovamente in aria.

“Uccidili, o loro ti uccideranno” ripeté mentalmente lei. Era una delle numerose regole di sopravvivenza instaurate da Jeff, quali erano tenuti a rispettare, ma che lei aveva cambiato secondo la sua visione di sopravvivenza, nonché esperienza accumulata pressoché in fase di apprendimento: “Uccidili, ma solo se si è costretti”.

« Era come noi! » provò a dissuaderlo Taylor.

« Non più! » esclamò lui con una smorfia vaga, tranciando l’unica parte ancora in vita dell’essere.

Sentendo lo stomaco irrigidirsi per come lo aveva appena trattato, Taylor osservò la testa mozzata rotolare verso il frigorifero dallo sportello ricoperto di lerciume e allora strillò:« Sei senza cuore, Horwan! »

A quelle parole, sembrava come se qualcosa si fosse smosso, dentro di lui. Seguì un silenzio soffocante, carico d’ansia.
« Forse quello che sto per dirti ti stupirà, ma anche io ho un cuore. È piccolo, certo, rispetto al tuo che è grande e puro, ma c’è. So che c’è. » disse a un tratto incrociando le iridi nocciola chiaro nelle sue. « E, anche se non lo do a vedere, sono sensibile su certi aspetti proprio come lo sei tu » aggiunse sereno.

Per un attimo, Taylor credette di aver visto le sue labbra piegarsi in un sorriso.

« Ma per queste creature, che hanno spazzato via la mia patria, compresa la tua Fresno, non provo altro che odio e rancore » proseguì, distogliendo sgarbatamente lo sguardo e iniziando a controllare nelle ante dei mobili che aveva di fianco.

Taylor calò lo sguardo sugli scarponcini, riflettendo.
Davvero era sensibile? Era tanto arrogante quanto vanitoso: aveva veramente un cuore?
Dal tono della voce che mai aveva udito in lui, comprese che non stava affatto mentendo.

« Olio di semi » fremé piano quest’ultimo, leggendo l’etichetta di una bottiglia di vetro. « Sono in vantaggio, Miss Horse, i minuti scorrono! »

Lei, deglutendo, si ricordò del motivo per cui erano finiti a San Bernardino.
Uscì di corsa dalla porta principale e attraversò la strada, ignorando l’odore che sprigionava un cassone dell’immondizia scaraventato sul bordo del marciapiede. Che cos’erano, dopotutto, due mesi di decomposizione?

« Sarà facile » mormorò Taylor fra sé, abbassando la maniglia della casina che aveva di fronte e incoraggiandosi a entrare quando sentì lo scrocco reversibile scattare all’interno.
Sporse il braccio con il piede di porco in avanti, così da anticipare un possibile attacco nemico.

La prima cosa che sistemò nello zaino fu un accendino zippo, uno di quelli antivento, per poi passare in rassegna tra i cassetti della sala. Questa era antiquata, dalla tappezzeria grigiastra a quadratini neri e dal parquet di un colore più acceso. Pareva essere la dimora di una gattara, Taylor lo dedusse dai graffiatoi e dai gomitoli di lana abbandonati in un angolo.
Ammucchiando sul fondo un mazzo di carte da poker, un pacco di tovaglioli e il telecomando della televisione – rimembrando l’epico scherzo di Charlie a cui aveva assistito quella mattina -, cominciò a perquisire anche la cucina, invasa sempre da un pessimo odore che le consigliò di escludere il frigorifero.

Fortunatamente non trovò alcun morto vivente a ostacolarle il cammino.
Spalancò le ante di una credenza, trovando, però, solo la ragnatela di un ragno solitario.

« Ecco, ora sì che ragioniamo » disse meravigliata aprendo quella vicino.

C’erano due scatole di riso, tre barattoli di marmellata all’albicocca - anche se avrebbe preferito l’amarena -, qualche pacchetto sfuso di fette biscottate e, ultimo ma non meno importante, il caffè.
Ovviamente non poteva lasciare quel bottino: cercò di incastrare tutto così da riservare dello spazio per altro.
La sua attenzione venne catturata da una porta socchiusa. Probabilmente era un piccolo magazzino, composto da mensole sovrapposte tra loro, il che avrebbe voluto dire altro cibo da recuperare.

Magari l’avesse saputo in anticipo: quello che vide le fece risalire del vomito in bocca, che trattenne, ingoiando a stento.
C’era un gatto, o meglio… quel che restava di un gatto siamese dal pelo corto.
Taylor desiderò dimenticare a tutti i costi l’immagine delle budella, di un bulbo oculare e del fegato strappati.
Si appoggiò al muro, levando la testa al soffitto allo scopo di riprendersi.

“Povero micio” pensò rattristata, stringendo la coda dei capelli com’era solita fare quando era nervosa.

Eppure doveva pur essersi abituata alla scomparsa degli animali domestici. Soprattutto quando Jeff le aveva spiegato che gli zombie non restavano a digiuno, che il loro istinto li scortava a nutrirsi di qualunque carne fresca rintracciassero.
Difatti, i soli che continuavano a respirare liberi per la California erano gli uccellini e i ratti, poiché gli zombie non erano in grado di azzannarli.

Inspirando, ritornò in sala e infine superò l’uscita.
Quanto mancava allo scadere della sfida?
Questo si stava chiedendo, quando si accorse di aver perso di vista Andrea.

Non si stava preoccupando, affatto, voleva solo andarsene da lì il prima possibile.
Quindi si incamminò per il marciapiede, scegliendo con cura la prossima abitazione da depredare.

Dieci minuti dopo gironzolò per un’autofficina dai vetri frontali crepati.
Ignorò i vari pezzi di un’automobile che, dall’inizio dell’epidemia, era in attesa di essere riparata e si avvicinò invece a un barile di petrolio, sopra il quale riconobbe due pacchi di fazzoletti integri.
Se li rigirò tra le mani, rimuginando se fosse saggio prenderli o meno.

Era così immersa nei pensieri, soppesati in parte dalla scena ancora nitida del gatto sventrato, che non si accorse di essere stata fiutata da uno zombie nascosto nell’ombra di una Renault.

Esso non emise alcun verso per segnare la sua presenza, piuttosto avanzò quatto quatto, piede storto dopo piede storto, alle sue spalle.
Taylor, convincendosi che prendendoli avrebbero contribuito alla vittoria, si mise poi a sfogliare le pagine di alcune riviste di moda.
Lei non ne sapeva nulla, a riguardo. Prese anche quelle, pensando che sarebbero piaciute a Elan.

All’improvviso il rumore sordo di ossa spaccate arrivò alle sue orecchie.
Si voltò subito, la paura che cominciava a possederla nell’animo.
Vide un busto grigio rivestito da una maglietta punk bucherellata barcollare in avanti: si scansò in fretta, guardando poi il barile di petrolio cedere sotto la massa inanime dello zombie.
Spostando lo sguardo sul cemento, vide uno scalpo liscio che ricopriva gli occhi neri dell’essere.
Spostando ancora lo sguardo, vide un’ascia e il rispettivo proprietario.

« Guardati alle spalle, Miss Horse. Loro non saranno sempre cortesi » precisò aspro Andrea, scagliandole un’occhiata altezzosa prima di tornare da dove era venuto.

Taylor, le parole bloccate in gola, lo guardò intrufolarsi nell’edificio di fronte.
Tuttavia, nonostante la perenne prepotenza, la ragazza doveva riconoscere che l’aveva salvata.

« Aggiungendo le due confezioni di fazzoletti e le tre riviste… fanno diciannove! » esclamò un ragazzino dalla chioma riccia castana.

Taylor e Andrea erano tornati all’Area Protetta, restando taciturni per l’intera durata del viaggio.
Ora erano riuniti tutti attorno al giovane superstite, che aveva separato le provviste raccolte l’uno dall’altro, sul tavolo.

« Ricapitolando: diciassette a diciannove » proseguì tutto concentrato.

Si drizzò e, stringendo la mano di Taylor, proclamò in tono teatrale: « Dunque, con mio grande piacere, dichiaro Taylor Vennins vincitrice della sfida! »

Un fischio partì dalle labbra di Elan, che saltellò allegramente sul posto.
Taylor sorrise, non riusciva ancora a credere di aver battuto Andrea: non aveva fatto altro che ripeterle di muoversi perché lui era in vantaggio.
D’altro canto, nemmeno lui sembrava molto contento di tale risultato.

Scosse con forza la testa e, spingendo seccatamente Charlie di lato, che di conseguenza trascinò con sé Taylor, disse: « Levati dalle scatole, Il Magrissimo, non sai contare »

« Il voto più basso che ho avuto in matematica è stato 9! » brontolò Charlie, tenendosi per il braccio della ragazza quando rischiò di scivolare dalla spinta ricevuta.

« Uno… due… tre con i marshmallow » iniziò a contare Andrea ad alta voce, ignorandolo.

« Fa niente, sta tranquillo » sussurrò gentilmente Taylor a Charlie, che guardò esitante Andrea, poi lei, poi di nuovo Andrea e infine annuì.

«  cinque… sei » continuò lui, toccando ogni oggetto con attenzione.

Elan, incrociando le braccia al petto come segno di indignazione, mimò a Taylor qualcosa che suonava come “è solo invidioso”.

E perché mai doveva invidiarla? Non aveva nulla di speciale, per essere ammirata. Nulla. Semmai doveva avere mille difetti, altrimenti lui non avrebbe mai avuto un pretesto per prenderla in giro.
Squadrò torva il biondo come aspettando che una risposta si materializzasse all’improvviso sulla sua guancia.

“No, non accetta la mia vittoria. Niente di più e niente di meno” si convinse alla fine, sentendo qualcuno chiamarla.

« Avete avuto problemi? » le chiese Jeff, posandole una mano sulla spalla e inarcando le sopracciglia.

Taylor sentì un brivido scorrerle lungo la schiena a quel contatto, avrebbe tanto voluto dirgli “Ho avuto culo con uno zombie, ho visto un gatto morto e se non fosse stato per quel cervello viziato di Andrea ora non sarei più con voi” ma cercò di controllare il timbro della sua voce e rispose: « Sì, c’è la siamo cavata »

« Ero certo che tu c’è l’avresti fatta, Vennins. Stai imparando in fretta ciò che c’è da sapere, quando si è lì fuori » disse il bruno scuotendola lievemente dalla spalla con fare amichevole.

« Grazie, ma il merito è solo del nostro leader » arrossì Taylor.

« E com’è questo leader, se posso sapere? » chiese lui strofinandosi la corta barba del mento con l’altra mano in tono curioso, inclinando la testa da un lato.

« Bruttissimo, non si può proprio guardare! » scherzò Elan, prendendolo a braccetto.

« Ah ah sei davvero carina, Elan » definì Jeff, guardandola stancamente.

Taylor, sentendo la spalla di nuovo libera, sgattaiolò via da quei due, che sebbene non stessero insieme parevano tanto affezionati all’altro, e si sedette sul divano, vicino a un Charlie scettico.

« Non ha ancora capito? » gli chiese, riferendosi ad Andrea che ancora stava ostinatamente contando.

« No… comunque non scorderò mai il suo muso lungo! » commentò il quattordicenne, distendendo le ossute braccia sullo schienale in pelle.

« Vero? Direi che se lo è meritato » concordò la ragazza, avvertendo l’aria delusa di Andrea, il quale aveva finalmente terminato, sapendo che Charlie non aveva errato.


Angolo Autrice:

Abbiamo visto l’interno del bunker, sembra un luogo davvero accogliente e perfetto per sopravvivere, vero?

Ma, soprattutto, quanto è dispettoso Charlie Phinar Quaggen?
Però quando ci vuole ci vuole, Andrea non è poi così gentile nei loro confronti. Non credete anche voi?

Ad ogni modo, ha salvato Taylor! Ve lo aspettavate, dopo tutte le volte che l’ha derisa?
Quindi, sotto sotto, anche lui ha un lato premuroso… mooolto sotto ahaha.

Che ne pensate di Jeff e Elan, invece? Ricordate che tra loro c’è amicizia (voglio crederci anche io, shh), nulla di più!

Stessa cosa dei capitoli precedenti, ringrazio di cuore  Alyssa_Dream per aver letto e revisionato in anteprima anche questo, di capitolo.❤️

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