Capitolo 2.

Il cielo era di un celeste intenso e il sole splendeva: i suoi raggi colpivano i tetti e mettevano in mostra il loro essere impeccabilmente sporchi, ammuffiti dall'umidità mattutina e in parte crollati, come se un terremoto avesse fatto piazza pulita della città.
Questa era vuota, tanto da far invidia al deserto del Sahara: silenziosa, scura nei punti in cui il sole non batteva. Dopotutto, non si scorgeva una singola luce, come se gli addetti all’elettricità avessero tutt’un tratto scioperato.
No, non vi era elettricità perché gli addetti non erano più interessati alla valuta, con la quale vivere e soddisfare i disparati desideri, bensì alla carne calda e succosa degli altri terrestri.
Stessa storia il resto degli operai, una volta persone per bene. Codesti, vagando a caso tra le vie, negli edifici, tra la flora e dovunque i loro piedi permettessero di arrivare, erano in migliaia, in milioni, forse miliardi, contando le altre città che componevano la California.

Era una vera e propria catastrofe. Una condanna. La fine del mondo.
No di nuovo. Si trattava di un’epidemia propagatasi da persona a persona mediante il morso contaminato dell’individuo zero, avendo tratto sicuramente un virus dannoso. Esatto, un virus. Ma come e quando era accaduto?

Il soffio del vento, che divampava l’ardore di alcune fiamme ancora inestinte, pareva essere l’unica cosa in movimento in quell’ambiente triste.

Nemmeno i cimiteri erano così tetri, a parere di Taylor.
Lei e la familiare da cinque posti a sedere, che aveva rubato, rompevano quel silenzio preoccupante: sgommava a Sud, ancora pochi chilometri e sarebbe uscita da Fresno.

Un liquido viscoso le scivolò dalla tempia destra, fermando il suo corso appena sotto il sopracciglio.
Non gli diede importanza: aveva cose più serie a cui pensare, come superare il semaforo senza controllare chi passava. Niente corrente, niente regole.

Taylor, stringendo il volante con particolare cura, sapeva che in ogni caso non ci sarebbe stato nessun poliziotto a farle la multa. Però, ora che ci pensava, una di quelle mattine le era capitato di incontrarne uno. Peccato che poi avesse dovuto schiacciarlo, anche se con risentito dispiacere, contro un palo, o ci avrebbe rimesso la sua stessa pelle.

Intraprese una strada dove, immobili sull’asfalto, alcune macchine si alternavano fra le corsie della carreggiata.
Zigzagò tra di esse con estrema facilità.
Da quando era diventata così spericolata?

Ancora non era in grado di capacitarsene.

Era sempre stata una ventenne dall’aria ordinaria, gentile e disponibile per il prossimo. Un’ottima cameriera e pasticcera del Laint’s Café, la miglior caffetteria della zona in cui amava lavorare. Era, in particolare, una figlia obbediente, educata e studiosa.
Non di certo un’acrobata, una ladra e né tanto meno una pirata della strada.
Guardandosi nello specchietto retrovisore notò le iridi marroni e la pupilla ristretta per la luminosità. Guardò poi il quadrante indicante la velocità e notando i novanta chilometri orari decise di rallentare, così da avere anche un maggiore controllo del veicolo.

Le venne in mente come due mesi prima stesse avvitando lo scomparto inferiore, riempito d’acqua, della caffettiera. L’aveva lasciata sul fornello acceso della sua piccola cucina, agghindata da tovaglie, posate e padelle azzurre.
Era presente perfino un servizio da tè – nonostante non lo bevesse –, anch’esso dello stesso colore. Non aveva badato a esso, mentre si era asciugata le mani sul grembiulino verde a pois che le cingeva morbido la vita.

Dalla finestrella quadrata danzavano le dolci note di un pianoforte, suonato con passione dalla vicina di stanza, come il pomeriggio era solita fare.
Taylor non aveva mai avuto modo di vederla personalmente per complimentarsi della sua bravura: era troppo timida per bussare alla sua porta. Non che non ci avesse provato, ma tutti i suoi molteplici tentativi erano sempre andati a vuoto.

Taylor si ricordò di aver pensato che il caffè ci avrebbe impiegato qualche minuto a emergere dal filtro e che per quel motivo era andata in salotto a cercare il telecomando per la televisione.
Infatti, essendo sola, non avrebbe dovuto lottare per scegliere quale programma vedere.
Una volta trovato, aveva premuto sul bottone rosso di avvio e il telegiornale era comparso sullo schermo.

Taylor aveva sbuffato infastidita: odiava sentire le notizie. Le trovava noiose e scoraggianti, visto che spesso si raccontava di persone decedute per qualche incidente o dramma familiare.
Quella volta, tuttavia, le parole della giornalista avevano catturato la sua attenzione, tanto che non le avrebbe mai potute scordare:

« Ultima ora: siamo collegati con l’ospedale di Chico dove il signor. Danerick sta per dare il via all’esperimento. L’affidabile scienziato in precedenza, tramite le sue eccellenti doti, ha conquistato il cuore del governo, tanto da avere il consenso da parte del presidente degli Stati Uniti. Come mostrano le immagini, si sta preparando a iniettare una sostanza, la quale formula è stata realizzata secondo le richieste precise del presidente stesso, nelle vene dei primi tre militari offertesi volontariamente.
Essi, a esperimento compiuto, verranno premiati per il grandissimo contributo che avranno recato alla società e a ciascuno di noi ».

Taylor, allora, si era avvicinata all’apparecchio televisivo, rapita da quella raffica d’informazioni.

« L’obbiettivo, ha dichiarato lo scienziato, è quello di aumentare la resistenza dei nostri soldati, così da rendere il loro fisico pronto a futuri attacchi nemici. Restate connessi, a breve le immagini in diretta » aveva poi terminato la donna, approfittando della pausa per parlare delle nuove scoperte tecnologiche.

« Vuole delle macchine da guerra, mi sembra ovvio » aveva reputato Taylor.

Si era chiesta cosa il loro presidente fosse disposto a fare, pur di guadagnare potere. “Tutto, probabilmente” aveva pensato, eppure lei non si era aspettata che questo potesse accadere lì, in California.
Passandosi una mano sulla bocca, come per spazzare via quei pensieri confusi, si era convinta a cambiare canale.

Così aveva fatto. Aveva sorseggiato il caffè, mescolato con quattro cucchiaini di zucchero, e aveva cominciato a guardare un film romantico che, sfortunatamente, era già iniziato. Adorava le storie d’amore.

Le venne quasi da ridere nel ricordare quanto si fosse arrabbiata quando, una tranquilla ora dopo, il notiziario era apparso nello stesso istante in cui il ragazzo stava per baciare la protagonista: per tutta la durata del film lei non aveva fatto altro che rifiutarlo per dar retta alle sua mille paranoie e Taylor l’aveva incitata a fare il contrario.

Si era alzata all’in piedi, pronta a maledire l’inventore del giornalismo, chiedendosi il perché non si fosse fatto gli affari suoi, quel giorno, quando la voce atona l’aveva fatta preoccupare più che mai.

« Interrompiamo il programma per… » aveva iniziato a dire l’annunciatrice, mentre vicino alla sua figura rigida scorrevano le immagini di un edificio bianco, stravolto da vetri infranti, ambulanze esplose e macchie di sangue sparse ovunque: erano sui muri, sulle facciate, sulle vetrate dei piani superiori e sulla strada. Taylor si era impietrita, non capendo cosa stesse succedendo.
«…avvertire il pubblico. Da come potete vedere nell’immagine qui sovrapposta potrete dedurre che le cose non siano andate nel verso giusto »

Taylor si era riseduta, incredula a quello che le si stava parando dinanzi.

« Qualcosa deve essere sfuggito di mano. Abbiamo recepito l’allarme da un’infermiera. I video delle telecamere di sorveglianza, un’ora dopo le prime iniezioni, ci hanno mostrato come sia successo » aveva detto la donna, e da come aveva sbattuto i fogli sul bancone dello studio Taylor aveva capito che l’altra fosse nervosa.

« Dopo aver iniettato le dosi, le cavie hanno iniziato a tremare e a contorcersi dal dolore. Le urla sono arrivate subito, ma nonostante ciò nessuno è intervenuto, come intimato dallo scienziato ».

Provando un moto di infelicità per quello che le cavie dovevano aver passato, Taylor si era accorta di avere gli occhi lucidi.

« È stato solo in seguito all’improvviso arresto cardiaco che le infermiere sono intervenute per rianimare i militari. Tuttavia… » e qui l’annunciatrice si era fermata a riprendere fiato. E forse anche per cercare le parole più appropriate.
Un “continua!” pieno di frustrazione era uscito dalla bocca di Taylor e l’altra, quasi come se avesse sentito l’esortazione, aveva continuato.
«… senza alcun intervento, i militari si sono svegliati da soli. » aveva aggiunto tentennante la donna.

« Che significa “da soli”? » aveva domandato Taylor più a sé stessa che ad altri. Non ci stava capendo niente.

« Quasi come impazziti, i militari hanno iniziato ad attaccare lo scienziato e il resto del personale. Le uniche ipotesi fatte fino a ora ci suggeriscono che il siero sia stato rigettato dal corpo o che ci sia stata un’alterazione a livello cognitivo »

Taylor non aveva mai dimenticato come in quel momento le sue palpebre si fossero dischiuse e come le fosse mancato l’ossigeno.
“Morti viventi” aveva pensato, “sono diventati dei sanguinari morti viventi”.

« Quello che adesso raccomandiamo è di prestare attenzione, finché il presidente non prenderà dei provvedimenti. L’esercito militare farà tutto il possibile per rintracciare ed eliminare quei pericolosi esseri in libertà » aveva terminato la donna, forzando un sorriso che a Taylor era sembrato una smorfia abbattuta.

« Prestare attenzione… » ripeté piano Taylor mentre ruotava il volante, ricordando quelle parole.

« Bisogna evacuare la zona! Portare al sicuro i civili! Ma devo dirvi tutto io? » aveva detto sbigottita davanti alla tv, per poi crucciare il volto nel vedere i titoli di coda, che avevano cominciato a scorrere lenti accompagnati da una canzone soave del film di prima, appena tornato al posto del telegiornale.

“E se, invece, fosse tutto uno scherzo?” aveva pensato, cercando il lume della ragione.

Chi avrebbe potuto dirlo? Un’epidemia di zombie in California… chi ci avrebbe creduto? Gli zombie non esistevano, non sono mai esistiti: erano solo delle sciocche leggende narrate dagli adulti con l’intenzione di incutere timore ai propri figli. No? Storie che in seguito sono state scritte in libri, trasformate in film. Era finzione, giusto?

Taylor, la testa che doleva da tutte quelle domande senza risposta, non si era accorta di star camminando avanti e indietro per la cucina.
Cosa avrebbe potuto fare, una comune ragazza come lei?

Di certo non sarebbe rimasta a guardare. Così era andata a comporre il numero del suo principale di lavoro, dallo smartphone che aveva lasciato accanto al lavabo in marmo, e traendo un profondo respiro con una scusa si era guadagnata qualche giorno di riposo, fino a quando non “sarebbe guarita dal virus intestinale”.
Si era sentita in colpa per aver mentito spudoratamente al suo capo, perfino ora che stava guidando una macchina rubata poteva percepire quella morsa allo stomaco. Lui l'aveva sempre considerata la più produttiva e rispettosa dei clienti del locale, ripagarlo in questo modo la faceva sentire infima.

Aveva iniziato quindi a fare ipotesi sul da farsi, chiudendosi in casa e facendo scorte di cibo. Tre mattine dopo aveva avuto le risposte alle domande che si era posta in preda all’ansia, e tutti i suoi dubbi erano stati sradicati, così come si faceva con le erbacce, rompendo la barriera di scetticismo e realismo che si era costruita per la propria salute mentale.

Si era barricata nella polverosa cantina dell’appartamento dove viveva, inutilizzata, come il proprietario le aveva confermato, da anni, con tutti i mobili che era riuscita a trascinare di sotto.
Aveva portato con sé anche una cassa termica colma di pasti precotti e non, con altrettante bottiglie d’acqua naturale. Poi un materassino con delle coperte e il cuscino per dormire; una torcia con delle pile di scorta; della carta igienica; qualche libro per passare il tempo e, ovviamente, il telefono. Quando la gente del condominio l’aveva vista, per le scale, fare tutti quegli spostamenti l’aveva presa per pazza.
I pazzi erano loro, a detta di Taylor, che ora strepitavano, correvano e gridavano tra l’ammasso di infetti, che non avevano tardato a sopraggiungere nel centro di Fresno.
La sua mossa era stata intelligente rispetto a tutti quelli che si erano burlati di simile avvertimento televisivo, al tempo stesso fatidica.

Si chiese quanto tempo avrebbe resistito in quella cantina.

L’unica cosa di cui era stata certa era che non sarebbe morta per mano loro, avendo inchiodato delle assi di legno sulle strette finestre rettangolari che stavano a un centimetro dal soffitto. Al massimo per mancanza di nutrimento, perché sapeva che prima o poi il cibo che aveva a disposizione si sarebbe esaurito.
Non le era stato semplice passare le notti e i giorni da sola, rannicchiata sul materasso e come unica compagnia le urla disperate dei bambini, che chiamavano i loro cari, e dei cari, che facevano tutto quello che potevano per proteggerli dagli zombie, anche a costo di farsi azzannare.
I lamenti di quelli che venivano morsi si erano poi attenuati piano, come il pigolio di un piccolo pettirosso caduto dal nido, sostituendosi subito a rauchi e grotteschi ruggiti che suggerivano alla ragazza fossero diventati come i loro aggressori.
Taylor aveva sentito, in quei giorni, le assordanti sirene della polizia locale, dei pompieri e delle ambulanze accorrere in loro aiuto, ma finiva sempre per udire il rumore delle ruote che frenavano di botto sulla strada, seguito da dei schianti metallici, che non promettevano nulla di confortante.
Gli strilli acuti e tormentati delle mamme che assistevano i propri figli a terra, cosparsi di sangue, la fecero sprofondare il volto nelle mani: era stato troppo per lei.

Il tutto si era sommato al pensiero della sua sopravvivenza.
Così Taylor, pochi giorni dopo, era scoppiata a piangere. Aveva abbandonato la vigilanza che l’aveva resa intraprendente e forte e aveva permesso alle sue emozioni di venire fuori, di rigare il suo viso sudato, quasi scarno per via delle limitate risorse che aveva cominciato a razionare.
Certe volte aveva soffocato con il cuscino i suoi stessi singhiozzi, sapendo che altrimenti le creature mostruose l’avrebbero scovata.

Taylor, anche se avrebbe preferito dimenticare quel particolare, si ricordò che la sua igiene, aggiungendo l’afa estiva, era peggiorata a lungo andare: i capelli castani, sparsi sulla sua schiena, erano stati crespi e grassi; l’alito era stato così devastante che avrebbe steso un ragazzo al primo “ciao”; l’odore che aveva emanato sotto le ascelle avrebbe fatto scappare a gambe elevate persino un cane.
Le uniche parti del corpo che, in qualche modo, furono pulite erano state state le mani. Infatti, nella cantina, vi era un misero e lurido bagno fornito di tazza e lavandino - i quali lei si era apprestata a ripulire nei momenti di “trasloco” -.

Nel giro di quella settimana la paura e il panico erano cessati. Nell’aria regnava solo il crepitio del fuoco, che divorava lentamente qualunque cosa infiammabile capitasse tra i suoi lunghi tentacoli, e i bassi borbottii dei morti viventi.
Quando aveva staccato l’ultimo pezzo di polpa sul torsolo della mela rossa e ingoiato le ultime gocce d’acqua, Taylor si era trovata costretta a uscire per potersi sfamare.
Con la speranza di trovare un rifugio più comodo e meno tenebroso di quello, aveva tolto un po’ alla volta le sedie che aveva rivoltato contro la porta a mo’ di trincea.
Spostando, senza sprecare troppe energie, il comò Taylor l’aveva aperta.

La sua prima intenzione era stata quella di sgattaiolare al quarto piano, nella sua stanza contrassegnata dal numero 12, magari per togliersi la sporcizia di dosso. Tuttavia, salendo le scale e sbucando al piano terra, si era pentita di essere uscita dalla cantina quando aveva intravisto, ai piedi della rampa successiva, uno zombie fissare un punto impreciso della porta di frassino d’ingresso.

Taylor aveva trattenuto il fiato: non ne aveva mai visto uno dal vivo e non avrebbe augurato una simile occasione a nessuno.
La pelle era grigia, tanto che si poteva confondere con il cemento su cui erano stati spianati gli scalini di marmo bianco; aveva lo scalpo mezzo calvo e i contati ciuffi sembravano annodati tra loro con il sangue, il quale macchiava una sua guancia scavata, sottolineando le ossa dei denti; le dita delle mani erano secche e dannatamente nere, come se le avesse immerse nel catrame; la maglietta era tutta stracciata e la tuta non era da meno.
Taylor, però, non aveva fatto in tempo a studiare un piano che quello si era voltato in uno spaventoso secondo.

Vivere o morire?

Taylor non avrebbe buttato nel cestino della spazzatura la settimana di agonia che aveva trascorso a causa di uno zombie che le stava ostacolando il passaggio.
Socchiudendo gli occhi, come per attendere l’attimo giusto da cogliere al volo, aveva poggiato il palmo della mano sinistra sul liscio telaio montante.
Mentre il morto vivente si era girato completamente verso di lei, Taylor aveva portato il piede destro oltre l’uscio della porta, pronta a scattare nel corridoio che, però, non portava da nessuna parte se non in un vicolo cieco.

Ma lei questo lo sapeva.

Spingendo sul tallone dell’altro piede, la ventenne era corsa il più velocemente possibile e aveva sentito alle sue spalle i passi di quello fare lo stesso.
Taylor, ansimando, aveva allungato le braccia davanti a sé, con un’idea istintiva vivida nella mente.

L’essere aveva emesso un verso rabbioso, i ciuffetti annodati che rimbalzavano sulla testa asciutta, e aveva azzerato i pochi metri che lo separavano dalla sua preda.
Ma non era riuscito a morderla, finendo invece per sbattere contro il muro, spinto dall’estintore rosso che Taylor aveva staccato dall’apposito gancio.

Lei, risollevando con tutta la forza che le era rimasta nei muscoli la sua salvezza, aveva dato un duro rovescio al cranio dello zombie, che era andato a sfracellarsi sulla parete.

“Cosa ho appena fatto?” era stato il pensiero che le aveva intasato la mente nell’istante in cui, lasciato l’estintore, si era precipitata alla porta d’ingresso.

La ragazza, distogliendo gli occhi dalla strada per gettarli sulla spranga sorretta sullo zaino dal laccio elasticizzato, nel sedile a fianco, ricordò che, non volendosi farsi trovare di nuovo indifesa, la sua attenzione era stata catturata proprio da quel piede di porco accostato alla grata di ventilazione.
Forse apparteneva al tecnico dell’appartamento, ma Taylor, stirando le labbra in una smorfia quasi colpevole, lo aveva raccolto e lo aveva stretto forte al petto. Sarebbe stato il suo compagno d’avventura, se così poteva essere definita la situazione in cui si era involontariamente trovata.

Volgendo un ultimo sguardo alle scale, come per immortalare quel momento nella sua memoria, aveva sospirato e abbassato la maniglia della porta.
Quello che aveva visto subito dopo le aveva fatto per poco mollare lo strumento: il quartiere strabordava di atroci morti viventi.
La sua amata città non era più quella che conosceva.
Taylor era rimasta lì, come congelata, sotto al portico. Che accidenti avrebbe fatto, adesso?

Aveva guardato il cielo, in cerca di risposte.
Non poteva credere di essere l’unica a essere in vita. Non lo accettava.
A questo punto che senso avrebbe avuto sopravvivere? Perché non cedere direttamente al crudele destino, lasciandosi uccidere da quelli che un tempo erano degli ottimi concittadini? Almeno avrebbe messo fine a tutte le sue sofferenze…

Poi il rombo di un motore aveva squarciato i suoi pensieri, riportandola alla realtà.
Taylor aveva guardato la strada, nell’esatto punto dove aveva udito quel suono. Sussultando all'improvvisa vista dei morti viventi che, senza fare minimamente caso a lei, avevano iniziato a correre come furie dalla medesima parte, si era affrettata a nascondersi dietro la siepe in parte incenerita.
Proprio quando Taylor stava per perdere le speranze, in mezzo a due palazzi, una jeep gladiator si era aperta un varco tra gli zombie, i quali avevano razzolato sgraziatamente a terra dall’urto recato.

Più il veicolo avanzava, più l’anima della ragazza si era rallegrata. Non era sola. C’è ne erano degli altri come lei.
Quindi si era incamminata in fretta sul piccolo vialetto, sperando che quello alla guida avesse potuto vederla e aiutarla.
Con le lacrime agli occhi, Taylor aveva agitato un braccio mentre la jeep grigia si era accostata.

« Sali! » aveva detto sbrigativo l’uomo in mimetica al volante, spalancandole la portiera e tendendole una mano.
Taylor l’aveva afferrata come un bambino che abbracciava il proprio orsacchiotto, ubbidendo senza proferire alcuna parola.
Lui era partito non appena lei aveva chiuso lo sportello, seminando gli zombie che ruggivano dietro.

Taylor allontanò quel ricordo così come si allontanava dall’insegna “Benvenuto in Fresno”.
Erano passati due mesi, certo, ma lei non aveva mai dimenticato come si era sentita in quella cantina, né tanto meno la gioia che aveva provato quando aveva visto quella jeep.

Cambiando marcia e scagliando un’occhiata al sole, Taylor ripensò furente alla promessa che il telegiornale aveva assicurato al pubblico, ma che non aveva mantenuto.

“Alla fine il presidente ha bloccato i confini della California e i militari da lui scelti non sono stati in grado di contenere l’epidemia, data la rapidità in cui si sono evolute le cose” riprese le informazioni che aveva accantonato in un angolo del cervello.
“Altro che provvedimenti. Ha fatto sì che tutto andasse a rotoli”.

Poi, tenendo sempre d’occhio la strada, spostò la mano destra dal manubrio e la serrò intorno al walkie-talkie che aveva legato attorno al suo polpaccio tramite una fascetta nera.

« Sto arrivando » disse semplicemente, rilasciando il bottone che aveva premuto sul lato.

« Ricevuto » rispose dall’altro capo, qualche secondo dopo, una profonda voce maschile.

La ragazza riattaccò il walkie-talkie alla fascetta, concentrandosi in seguito sulla guida.
 

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top