Capitolo 16.


Le foglie delle querce si piegavano da un lato, assieme ai rami a cui erano appigliate, ogni qualvolta tirasse un soffio di vento. Gli aghi dei pini si limitavano a oscillare imperterriti, rigidi come chiodi.
Le folte chiome si sfregavano le une con le altre, creando un delicato fruscio gradevole all'udito.

Era l'unico suono che rendeva meno lugubre il bosco privato di Palm Springs: degli uccellini, infatti, non vi era alcuna traccia. Forse erano migrati verso le zone più calde del pianeta o, come Taylor non faceva che ripetersi, avevano semplicemente perso la voglia di cantare.

La ventenne si stava aggirando tra gli alberi, abitudine che aveva iniziato a prendere da qualche pomeriggio. Da quel pomeriggio.

Toccava la corteccia di ogni fusto che superava, come a volerne percepire la linfa vitale che permetteva loro di crescere forti e rigogliosi.
Ciascuno protendeva le robuste braccia al sole, i quali raggi, infuocati del tramonto, andavano a riflettersi sull'erba secca e sembravano quasi ripararla dal mondo esterno, proteggendola da tutto e tutti.
Le foglie che, invece, avevano abbandonato i loro confortevoli rami, in vista dell'autunno acquattato dietro l'angolo - nonostante mancassero alcuni giorni alla fine del mese di Agosto -, scricchiolavano sotto le suole dei suoi scarponcini marroni.

Taylor inalava lentamente quell'aria incontaminata, pulita, riempiendo i polmoni fino a scoppiare.

Il bosco era per lei l'unico luogo dell'intera California che, finora, le aveva dato moto di conforto.
Tuttavia, questa volta, non riusciva a ricavarne nulla: la sua mente era offuscata dai ricordi.

Ricordi che portavano un solo nome. Ricordi che, se ripescati, laceravano l'anima da parte a parte, privandola dei rari pensieri felici che cercavano inutilmente di emergere per alleviare il dolore.

Taylor era certa che non vi fosse un solo pensiero che avrebbe potuto rallegrarla.
Era come se si fosse spenta, come se nel suo cuore regnasse l'oblio più oscuro: non sentiva più niente.

L'eco dello sparo di un fucile a pompa la destò.
Voltandosi, si mise ad ascoltare il successivo boato, che non tardò a manifestarsi tra le fronde mosse dal vento.

Il silenzio che ne seguì le fece intuire che Jeff stesse ricaricando. Riprendendo a camminare senza una meta precisa, Taylor sospirò: il cuore del soldato, vivo per il sorriso che Elan gli donava, si era disintegrato, svanito così come la consapevolezza che non avrebbero mai più sentito la sua voce acuta.

“Non riesce a darsi pace” rifletté, scavalcando un tronco caduto.

Subito dopo, si chiese come potesse darsi pace quando nemmeno lei ne era in grado. Elan le aveva detto che non dovevano sentirsi in colpa, essendosi divisa dal leader di sua spontanea volontà, che fosse tutto okay.

“Non ce ne va una giusta, ormai, senza di te” Taylor sollevò gli occhi lucidi al cielo, incontrando una grossa nuvola dipinta appena di arancione.

Lei e Jeff non erano gli unici ad avere il morale a terra: il bunker non era mai stato così silenzioso.

Quasi si vergognava ad ammetterlo, ma le mancavano ardentemente le battute provocatorie di Andrea e i suoi ghigni compiaciuti; le risate sguaiate di Charlie nate dalle smorfie che comparivano sul viso di quest'ultimo, nelle volte in cui restava soggetto di un suo scherzo, e soprattutto le innumerevoli chiacchiere che si scambiavano mentre consumavano i pasti.

« Dannati zombie » sussurrò amaramente calciando un piccolo cumulo di foglie, le quali si alzarono e volteggiarono piano in aria, per poi toccare di nuovo il prato.

Sospirando ancora una volta, Taylor riportò lo sguardo alla nuvola e notò con noncuranza che si era leggermente spostata.

« Non meritavi questa fine » pronunciò a denti stretti, pensando alla possibile relazione che avrebbe potuto avere con Jeff, se solo si fossero dichiarati prima.

Era più che sicura che anche il soldato fosse della stessa idea, malgrado avesse semplicemente annuito quando lei si era fatta coraggio per riferirgli le ultime parole di Elan.

Fu l'improvviso rumore di un ramoscello spezzato a farle distogliere l'attenzione dalla nuvola.
Con il cuore che cominciava ad accelerare il battito, Taylor tese d'istinto le orecchie, cercando con la mano sinistra il piede di porco.
Quando invece dello zaino incontrò il tessuto bianco della t-shirt che le copriva la schiena, si sentì mancare il respiro: lo aveva lasciato sul letto.

Guardandosi frettolosamente intorno, afferrò il primo sasso che le capitò a tiro per poi andare ad attutire i suoi passi, per quanto gli scarponcini le avrebbero permesso, così da avvicinarsi al punto in cui credeva di aver sentito il rumore senza farsi scoprire.

L'idea che altri morti viventi si fossero intrufolati nell'Area Protetta scavalcando la rete elettrificata, che doveva essere stata accidentalmente disattivata da uno dei tre ragazzi, la inorridì a tal punto da farla rabbrividire.
Eppure, qualcosa in lei le diceva che se ci fosse stato veramente uno zombie, nelle vicinanze, non si sarebbe perso ad ammirare la natura circostante. Anzi, l'avrebbe dilaniata con i suoi orridi dentacci in un battito di ciglia.

I suoi timori vennero messi a tacere l'attimo dopo, quando distinse una lunga striscia blu svolazzare dietro il tronco di una giovane quercia.
Volendo porre fine a quel mistero, girò attorno all'albero.
Poi trasse un sospiro di sollievo e abbassò il braccio, lasciando cadere il sasso che aveva stretto in pugno.

« E tu cosa ci fai qui? ».

Una riccia chioma castana si levò timidamente a lei, mostrando il piccolo viso dai lineamenti morbidi che incorniciava.
Due iridi castane parvero sfavillare alla luce arancione che si andò a infrangere in esse.
Per via della tonalità che presto assunsero, Taylor non poté far altro che ammirare i suoi occhi, scambiandoli per due adorabili biscotti al miele.

« Oh, ciao ».

Tornando in sé, Taylor si sedette al suo fianco: il broncio non si addiceva affatto al musetto sempre gioviale di Charlie.

« Dentro mi stavo annoiando » mormorò, inclinando la testa da un lato.

Taylor annuì per poi portare lo sguardo sull'oggetto che il quattordicenne si stava passando tra le mani. Lo riconobbe subito.

« Come va con la tua nuova invenzione? » gli chiese dolcemente, alzando gli occhi dal guantone da box che aveva regalato ad Andrea un risveglio indesiderato.

Un sorriso le spuntò istantaneo sotto il naso quasi aquilino, ricordando di averlo battuto nella sfida che lui stesso le aveva posto.

« Non c'è » borbottò Charlie, infilandosi il guantone con aria triste.

« Mi stai dicendo che il piccolo prodigio ha perso la voglia di testare le sue formidabili creazioni sul biondo arrogante, nonché sua vittima preferita? » gli chiese Taylor, divertita.

Charlie si strinse nelle spalle, avvolte dal giacchetto blu, e strusciò il ditone del guantone sul terreno, tracciando una linea storta.

Il sibilare del vento si fece più intenso: Taylor si ritrovò a lottare con la ciocca destra dei propri capelli mossi, che continuava ad appiccicarsi sulla sua bocca. Tuttavia, i suoi molteplici tentativi per sistemarla dietro l'orecchio non andarono altro che a vuoto.

Rassegnata, inspirò, tirando le gambe al petto e cingendole con le braccia.

« Mi aveva detto di fare il bravo » disse Charlie in un sussurro, tracciando un'altra linea accanto all'altra.

« Ma lei adorava i tuoi scherzi, così come li adoro io! » esclamò Taylor, voltandosi a guardarlo.

Charlie corrucciò la fronte, ma non replicò.

Ignorando l'ennesimo sparo di fucile che si sprigionò nell'aria, Taylor lo osservò in silenzio: non riusciva proprio a riconoscerlo, non lo aveva mai visto così taciturno e questo la faceva preoccupare seriamente.

« Jeff non è l'unico a fare gli incubi » spiattellò lui, cambiando argomento, come nella speranza di scampare dai suoi occhi indagatori. « Anche Andrea si agita tra le coperte »

« Se per questo, neanche i miei sogni sono tanto tranquilli » convenne lei.

« Cosa sogni? » le chiese Charlie, d'improvviso interessato.

« Vuoi davvero saperlo? ».

« Mmh, no » rispose lui sincero, probabilmente realizzando che fosse difficile raccontare una cosa spiacevole attraverso le parole, specialmente se le vicende del sogno ruotassero attorno alla figura di Elan circondata dagli zombie.

Charlie disegnò un'altra linea sulla terra, questa volta dritta, per poi aggiungere con tono distaccato:« Preferisco rimanere all'oscuro dalle immagini zozze che ti fai su Andrea »

Colpita nel profondo, Taylor inarcò le sopracciglia ed esclamò di tutta risposta:« Immagini zozze? Charlie, ti rendi conto di quello che hai appena detto? »

« Vi siete bacia-» cantilenò il quattordicenne, ma una mano gli tappò subito la bocca.

« Guarda che è stato lui a baciare me! » borbottò Taylor indignata, gettando poi un'occhiata nei dintorni, come intimorita dal fatto che Andrea li avesse sentiti.

« Ma a te è piaciuto » Charlie riuscì a scostare la mano della ragazza.

« Non è vero » farfugliò lei a disagio, iniziando allora a scompigliargli i ricci, sapendo che a lui desse fastidio.

« Stai mentendo! » rise Charlie, sfilandosi il guantone.

Contagiata dal suo essere birichino, Taylor scoppiò a ridere, lasciandolo stare. Rimasero lì, seduti vicini alle radici della giovane quercia, godendosi quel breve momento di assoluta spensieratezza che tanto avevano desiderato di poter riprovare.

Tuttavia, come il padre le diceva sempre “ogni cosa ha la sua fine, ed essa non tarda mai a raggiungerla”, la tristezza tornò a mutare le loro espressioni.

Taylor socchiuse gli occhi, sperando di potersi liberare dal ricordo di Elan che piangeva, dopo averla abbracciata.
Ma quello che disse Charlie glielo impedì.

« Mi manca »

Tirando su con il naso, Taylor passò il braccio sulle sue spalle, attirandolo a sé.

« Anche a me, Charlie » gli rispose, a bassa voce. « Anche a me ».

L'allegria non era l'unica emozione che aveva abbandonato definitivamente i loro esseri: la speranza di sopravvivere era morta con loro.
Ben presto, le scorte iniziarono a diminuire nelle credenze della cucina.

Nessuno dei quattro si era preso la briga di fare rifornimento, in quei giorni a venire, soffocati dal dolore della perdita.
Nessuno dei quattro sembrava avere l'intenzione di uscire dal bunker, come se avessero paura che potesse essere l'ultima cosa che avrebbero fatto.
Secondo Taylor, di quel passo non sarebbero andati avanti per molto.

Proprio per questo motivo, a distanza di una settimana, la ragazza mise in moto la Fiat e si allontanò dall'Area Protetta di nascosto.
Molto probabilmente Andrea l'avrebbe uccisa al suo ritorno, più per il fatto che avesse preso la sua macchina senza permesso che per altro.

“È la cosa giusta da fare” si ripeté per l'ennesima volta, mentre abbassava la maniglia della porta che aveva appena scassinato.

Si trovava in un appartamento di Fresno, in un quartiere poco frequentato dai morti viventi.
La sua strategia era quella di attirare il meno possibile l'attenzione, quindi aveva lasciato la pistola dentro il comodino. E il walkie-talkie.

Era stata una mossa azzardata, la sua, che avrebbe mandato Jeff su tutte le furie.
Ma era la cosa giusta da fare.

Sgusciò silenziosamente in quello che avrebbe dovuto rappresentare il soggiorno: un tavolino poggiapiedi di vimini era ribaltato su un lato, accanto a un divano in pelle cui il bianco era a malapena visibile tra le chiazze rossastre che imbrattavano i cuscini, risaltandone gli svariati squarci dai quali spuntavano ciuffi d'imbottitura. Schegge di vetro affilate accerchiavano una televisione da quarantacinque pollici, caduta dal ripiano di frassino su cui doveva essere stata stipata in passato.

Erano i libri che ingombravano tutto lo spazio, tolti sgarbatamente dalla grande libreria collocata contro la parete di fronte, tinta di beige.

Senza sprecare un secondo di più, Taylor si avviò per la stanza che aveva alla sua destra. Subito un odore acre le fece storcere il naso.
Abbassando lo sguardo oltre la piccola isola della cucina, vide una massa putrefatta. Non era grigia.

Avvicinandosi di soppiatto, Taylor trattenne un conato di vomito: era la carcassa di un bulldog.

Adagiò il borsone che aveva portato a tracolla sulla superficie di marmo liscia dell'isola. Poi aprì la cerniera inferiore dello zaino, prendendo un pacco di fazzoletti.

“Cavolo” pensò afflitta, soffiando il naso.

Non era una novità per lei vedere un animale massacrato, eppure non riusciva proprio a superare una cosa del genere.

Ogni volta si sentiva come se un proiettile le avesse trafitto il cuore, come se un pugno le stesse pestando continuamente lo stomaco.
O ancora, anche se in fondo era cosciente che fosse fuori contesto, come una parola offensiva che poneva in subbuglio la propria autostima.

Il suo subconscio era davvero irrefrenabile: le stava riportando un volto familiare dagli occhi nocciola chiari.

Arrossendo leggermente, Taylor stimò che lui lo avrebbe guardato a malincuore, da bravo amante dei cani.
O almeno era la reazione che si sarebbe aspettata da quello che Andrea le aveva vagamente accennato sul cane che aveva avuto a villa Horwan, prima dell'epidemia.

“Okay, diamoci da fare” si decise infine, accartocciando il fazzoletto e buttandolo nel secchio dell'immondizia, che era a fianco al frigorifero.

Frugò fra tutti i cassetti cui le sue mani arrivarono e si chinò a terra per ciascuna anta dei mobili che apriva.
Le ci vollero giusto cinque minuti per racimolare una discreta, ma sufficiente, dose di pasti confezionati idonei per le loro esigenze.

Nel piccolo gruzzolo non potevano di certo mancare i cibi in scatola. 

Spinse un pacco intero di biscotti al cioccolato su una bustina di polenta, issandosi la cinta della borsa sulla spalla.
Il pensiero di Charlie che se ne riempiva le guance le strappò un sorriso che le mantenne alto il morale fin quando raggiunse la porta da cui era entrata.

Per quanto riguardava l'acqua, aveva lasciato due casse sulla soglia della porta principale.
Era inutile fare troppi viaggi.

“Cazzo!” pensò, fermandosi all'improvviso.

Il cuore minacciò di schizzare fuori dalla gabbia toracica, mentre il suo respiro accelerava.

Un bambino la stava osservando in mezzo al corridoio. Poteva avere all'incirca una decina di anni. La sua faccia era scorticata dalle abrasioni, così come le sue esili braccia, ricoperte di grosse croste nere che sembravano dei disgustosi scarafaggi.

I suoi capelli rossi erano tutti arruffati, come se avesse fatto a zuffe con un suo coetaneo.
Taylor cercò di sfilare il piede di porco dal laccio il più lentamente possibile, tenendo lo sguardo fisso su di lui.

Doveva avere un tic alle mani perché, Taylor ebbe modo di notare, tremavano a intervalli regolari.
Strinse forte lo strumento di ferro, tenendolo alto sulla testa per parare l'eventuale attacco.

Tuttavia, quello non si mosse da lì.

Incuriosita dal suo comportamento inoffensivo, Taylor lo studiò con più attenzione.

Si accorse che le sue pupille non erano dilatate come quelle degli altri morti viventi, il che era strano. Riuscì a scorgere il colore delle sue iridi, di un verde acceso, e si rilassò.

“Perché non mi viene addosso?” pensò perplessa, abbassando il piede di porco lungo il fianco.

Tempo fa, Charlie le aveva parlato di zombie senzienti. Le aveva detto che una parte umana viveva ancora dentro di loro e che fosse cosciente di quello che aveva intorno, come se il corpo decomposto fosse solo un guscio dal quale erano intrappolati.

Ma lei non ci aveva mai creduto e, forse, aveva davanti la prova concreta per iniziare a farlo.

“Magari, se mi avvicino lentamente non mi reputerà una minaccia” si convinse la ragazza, muovendo un passo in avanti.

Le mani del piccolo scattarono e si bloccarono, controllate dal tic.
Taylor trattenne il respiro: ormai gli era a qualche centimetro di distanza e gli occhi verdi non si erano ancora scollati dai suoi.

Si chiese cosa stesse frullando nella sua mente, se era vero che fosse cosciente. Poi nascose il piede di porco dietro lo zaino, mentre andava a schiacciarsi contro il muro per aggirarlo senza sfiorarlo.

Dalla bocca screpolata dello zombie sorse un rauco verso che le fece venire la pelle d'oca.

Taylor cercò di non farsi prendere dalla fretta: non doveva giocare con il fuoco.

Superato lo zombie, si avviò piano alle scale, camminando all'indietro per tenerlo d'occhio.
Quando fu abbastanza sicura che il piccolo non le avrebbe torto un solo capello, si voltò e scese i gradini, sospirando di sollievo.

Taylor si promise che da quell'istante avrebbe sempre dato ragione a Charlie, perché le aveva appena insegnato che bisognava osservare con accuratezza il nemico, prima di agire.

“Spero davvero che possano piacergli questo tipo di biscotti” si ritrovò a pensare, mentre depositava il borsone nel bagagliaio della macchina, sopra le casse dell'acqua.

Richiuse lo sportello con un tonfo, per poi dedicare un secondo all'ambiente circostante: non vi era anima viva tra le macerie degli edifici crollati, consumati dal fuoco e dall'umidità mattutina.

Il sole era alto nel cielo chiaro e avviluppava con i suoi lunghi raggi le cime dei grattacieli, facendoli quasi sparire alla sua vista. Dovevano essere le dodici circa.

Scuotendo debolmente la testa con aria rassegnata, si accomodò sul sedile del conducente.
Inserì la chiave nella serratura, ma non la girò. Taylor tastò invece una parte del sedile rosso e inspirò, serrando le palpebre: nella macchina vigeva ancora il profumo di Andrea.

Appoggiando il gomito sul bracciolo, cominciò a prepararsi una serie di scuse. Dopo aver riflettuto a dovere, scartò quelle banali e tenne le più convincenti, nella speranza che il ragazzo l'avrebbe potuta perdonare.

Quindi mise in moto e diede gas.

And be Hopeful, hopeful. And He'll make a way…”

Era incredibile cosa era in grado di provocare la musica nello stato d'animo di un individuo.

I know it's ain't easy but, that's okay…”

La voce di Melody, del duo britannico Bars and Melody, risuonava gaia nella Fiat.

« Just be Hopeful » la voce incrinata di Taylor si aggiunse a quella del giovane cantante.

Il suo indice scattò subito alla radio, spegnendola.
Quella canzone che tanto amava. Quella canzone l'aveva cantata con lei, con Elan. Quella canzone, ora, non la rincuorava in alcun modo.

Taylor portò lo sguardo sullo specchietto retrovisore e incontrò due occhi castani gonfi di lacrime amare.

Erano lacrime silenziose, le sue. Scendevano senza pietà, bagnandole le guance e il mento.
Dentro era sicura che il suo cuore avesse smesso di funzionare, rotto in mille pezzi com'era, e sullo stomaco un macigno non voleva proprio saperne di andarsene.

Era sommersa dai sensi di colpa, ma soprattutto dai numerosi “perché”.

Perché mai aveva proposto al leader di dividersi? Perché non si erano mossi in gruppo, come avevano sempre fatto?
Perché Elan non aveva detto nulla a Jeff, quando si era imbattuta senza volerlo in quella orda di zombie? Perché non aveva detto nulla a loro?

All'improvviso, una figura si mise in mezzo alla strada facendola tornare bruscamente alla realtà.

In preda al panico, Taylor sterzò, evitandola di un soffio.
Ansimando, guardò attraverso lo specchietto: un signore di mezza età la stava rincorrendo, le braccia levate al cielo.

Digrignando i denti per la frustrazione, Taylor pigiò con forza l'acceleratore. Poi imboccò una delle vie secondarie che conducevano ai trascurati quartieri del Sud di Palm Springs: ancora un chilometro e avrebbe raggiunto l'Area Protetta.

Doveva essere uno zombie particolarmente resistente, perché non cedette facilmente.
Taylor non aveva alcuna intenzione di ucciderlo, si era stancata di farlo. Si limitò a zigzagare tra le vetture ferme sulle corsie e a sterzare all'ultimo per percorrere le strade che conosceva.

Fu solo quando uscì da Palm Springs che Taylor si rese conto di averlo finalmente seminato.
Rilassò i muscoli delle mani, che avevano stretto con rabbia il volante tanto da far sbiancare le nocche, e abbassò di poco il finestrino: aveva bisogno di aria fresca.

La scarica di adrenalina che finora l'aveva assistita l'aveva aiutata ad accantonare in un angolino del cervello il pensiero fisso di Elan.

Le villette della piccola città scorrevano velocemente alla sua vista, così come le palme, che si allungavano prepotenti dalle aiuole circolari costruite sul marciapiede, distanziate due metri circa le une dalle altre.

“Ci siamo quasi” pensò, sospirando di fronte alla strada delineata sulla destra da alti abeti verdi.

Cambiò marcia e fece pressione sull'acceleratore.

Ma a un tratto, un tintinnio stridulo sovrastò il rumore del motore della macchina.
Increspando le sopracciglia, Taylor rallentò. Il tintinnio somigliava molto a quello di un campanellino.

“Sto diventando scema?” pensò mordendosi un labbro, colta dalla confusione.

Girò piano il volante per prendere la curva e solo allora ebbe modo di vederlo: una bicicletta arancione la stava pedinando, montata dallo stesso uomo che per un decimo di secondo non l'aveva mandata fuori strada.

« Qualcosa non va » si disse tra sé, accostando davanti a una Ford ridotta piuttosto male.

“Da quando gli zombie sanno pedalare?” si chiese, afferrando il piede di porco per poi scendere dal veicolo: voleva vederci chiaro.

Il calore del sole la colpì in pieno viso, ma lei non fece una piega.

Intanto che la bicicletta si faceva sempre più vicina, Taylor cominciò a passarsi il suo fidato compagno da una mano all'altra - evidente segno di nervosismo -.
In seguito, osservò l'uomo misterioso scivolare giù dalla sella e precipitarsi nella sua direzione.

« Grazie a Dio! » urlò con tono sfinito, barcollando leggermente.

Taylor si pietrificò nel sentire la sua voce. Era decisamente diversa dal comune ringhio di uno zombie. Era rauca e graffiata, come se nelle corde vocali vi fosse incastrata la fastidiosissima spina di un pesce.

Spinta dalla curiosità, si soffermò sulla sua pelle.

“Non è uno zombie!” constatò, facendo cadere per la sorpresa il piede di porco sull'asfalto.

« Ti sei fermata, alla buon'ora! » esclamò il signore, reggendosi un fianco con aria affannata.

Taylor non pronunciò una singola parola, si limitò a guardarlo, come se vedesse per la prima volta un essere umano.

Dalle rughe che solcavano la sua fronte, i lati dei suoi occhi azzurri e le sue guance scavate suppose che potesse avere una sessantina di anni.
I capelli grigi gli arrivavano sulle spalle ed erano tutti sporchi, appiccicati tra loro per il sudore e il fango.

Una camicia tutta rattoppata copriva il suo scarno torace e dal suo collo pendeva una rozza collana di cuoio priva di ciondolo. Dalla schiena, invece, si intravedeva quello che sembrava un fagotto di stoffa giallastra, dove Taylor immaginò fossero riposti i suoi affetti personali.

Inspirò, ma sbagliò a farlo perché il suo naso venne rudemente travolto dal pessimo odore che egli emanava. In quel preciso istante, Taylor capì alla perfezione come Andrea doveva essersi sentito quando si erano conosciuti: la sua igiene aveva visto giorni migliori.

« Il gatto ti ha mangiato la lingua? » le chiese lui, portando una mano sulla tempia per contrastare la luce accecante. «Almeno ce l’hai, una lingua?» 

« S-sì » Taylor balbettò sorridendo, ancora sconvolta. 

Aveva trovato un sopravvissuto, una ragione per cui essere felice.
Immaginò come gli altri avessero reagito non appena glielo avrebbe presentato loro.

“Presentare” Taylor si accorse che ancora non sapeva il suo nome, eppure già aveva iniziato a considerarlo parte della famiglia.

« Bene. Innanzitutto, ti ringrazio per non avermi investito, prima » il signore le strinse la mano e la scosse con fare grato.

Poi assunse un'espressione mortificata: « Non vorrei approfittare… ma avresti un po' d'acqua? Ho davvero tanta sete »

Cacciando indietro una lacrima, Taylor annuì. Sentiva come se il suo cuore fosse sul procinto di esplodere.

Taylor si era subito offerta di portarlo con sé all'Area Protetta, così, combattendo contro l'odore pungente dell'uomo, l'aveva fatto salire in macchina. Non riusciva a non sorridere nel sentirlo parlare del suo passato, dei suoi amici. E nell'avvicinarsi alla meta, non riusciva a ignorare i suoi continui commenti su quanto fosse “deliziosa” l'Area Protetta vista da fuori. All'ennesimo commento, la ragazza si era l'asciata sfuggire un “questo è solo l'esterno, aspettate di vedere l'interno del bunker. Cambierete subito idea!”.

Arrivata al parcheggio naturale della base, spense la Fiat e iniziò a condurre Jim Beine verso l'ingresso. 
« Sono certo che l'interno sarà altrettanto bello » le disse lui, sistemandosi il fagotto sulla spalla. « E datemi pure del tu, signorina »

Lei gli sorrise di tutta risposta. Dal breve tragitto che avevano fatto in macchina, Jim si era rivelato un compagno davvero molto socievole e dalla parola facile.

Era l'esatto opposto di Jeff.

Quando furono a un passo dalla porta di ferro battuto, Taylor si arrestò: dall'altra parte due voci maschili stavano bisticciando così furiosamente che non se ne riusciva a cogliere una sillaba.

« Ti sei messa nei pasticci, per caso? » le bisbigliò Jim, inarcando un sopracciglio.

Taylor gli fece segno di fare silenzio. Poi posò la mano sulla maniglia e, titubante, la abbassò.
Jim, con un cenno del capo, la esortò a spalancarla.

Facendosi coraggio, Taylor spinse la porta e le pareti verde scuro della sala si mostrarono alla loro vista.

Al di là dell'arcata tonda, c'erano Jeff e Andrea. Il primo era appoggiato contro lo stipite della cucina e teneva le braccia incrociate al petto muscoloso, il viso contratto dall'irritazione. Il secondo puntava l'indice verso la cartina geografica, appiccicata al muro al di sopra del divano in pelle nero.

Approfittando della loro distrazione, Taylor si insinuò nell'ampia sala per posare il borsone sul tavolo rotondo.

Ma venne sorpresa nell'atto da un giovane superstite, che si era acquattato nell'angolo Nord-Est, vicino al mobiletto quadrato dalla quale sommità una radiolina era sincronizzata su un canale disturbato.

« Taylor! » strillò Charlie, alzandosi e tuffandosi nelle sue braccia.

La castana, quando udì un singhiozzo lasciare la gola del quattordicenne, si sentì morire: cosa aveva fatto?

« Non farlo mai più! » si lamentò, stringendola con tutta la forza che possedeva. « Mai più! »

Taylor aprì la bocca, cercando di resistere al bruciore che gli occhi le stavano recando per le lacrime che erano prossime a manifestarsi, ma un'altra voce le impedì di rassicurarlo.

« Vennins, dove sei stata? ».

Si sentì strappare via da Charlie, mentre Jeff si piazzava davanti a lei. Taylor provò a rispondergli, ma fu tutto invano: la sua espressione rigida, segnata da alcuna emozione, la scosse talmente tanto da farle salire un groppo particolarmente grosso che le otturò la faringe.

« Perché hai infranto la regola numero sei? » insisté il bruno, alzando la voce. 

“Restare sempre in comunicazione” riaffiorò meccanicamente nella sua testa. 

Deglutendo a fatica, Taylor additò il borsone che Charlie le aveva fatto cadere a terra, con il suo improvviso abbraccio, ma delle mani ferree si posarono sulle sue spalle.
Si ritrovò a fissare delle iridi scure, vuote, prive di amore. Non brillavano, si erano spente.

« Cosa ti è saltato in mente, Vennins! ».

A quel punto, Taylor non riuscì più a tenere a bada i suoi sentimenti: le lacrime presero il sopravvento.

« Hai rischiato di fare la sua stessa fine, lo capisci vero? » urlò il bruno, scuotendola con veemenza. « La sua stessa fine! »

« Smettila, così le fai male! ».

Andrea diede uno spintone a Jeff, per poi attirare Taylor a sé.

« I-io… io volevo solo fare scorte » mormorò lei, incollando lo sguardo negli occhi nocciola chiaro del ragazzo.

« Ci hai fatto stare in ansia per sei fottutissime ore » la rimbeccò lui, ma nel suo tono non c'era rabbia, solo preoccupazione.

« Non avevamo bisogno di cibo, ne abbiamo già » sbottò Jeff, guardando storto il biondo.

« Veramente, la pasta è finita da-» Charlie si aggiunse debolmente, ma si ammutolì sotto l'occhiata adirata del soldato.

« In ogni caso, ci sarei andato io stesso, se serviva » tuonò quest’ultimo, volgendo ora lo sguardo su Taylor. « Non dovete uscire senza-» 

« Cosa? » esplose lei, interrompendolo. 

Mai, in vita sua, aveva osato sfidarlo. Aveva sempre riservato una grande stima nei suoi confronti. Ora, invece, non vedeva altro che un uomo impaurito, divorato dal dolore.

« È passata una settimana! Una cazzo di settimana e nessuno è uscito da qui. Se non ci pensavo io, a prendere da mangiare, a quest'ora saremmo morti di fame! »

« Non usare quel tono con me! » esclamò Jeff, incrociando di nuovo le braccia sul petto. « Sei solo una ragazza avventata che non pensa minimamente al resto della squadra »

« Non esagerare! » ringhiò Andrea, trattenendo Taylor per un polso come per sostenerla.

Lei era troppo accecata dalla crudeltà che il soldato le aveva sputato per dare importanza a quel suo tocco.

« Squadra? » gli domandò. « Quale squadra? A te sembra una squadra, questa? Non ci scambiavamo una parola da quel giorno, e ora guarda dove siamo arrivati. A litigare, e per cosa? »

Jeff serrò la mascella. Taylor si asciugò in fretta una lacrima con il dorso della mano e proseguì: « Non siamo più gli stessi da quando ci ha lasciati e sono certa che lei non lo vorrebbe. Lei non è morta per questo. Lei ha combattuto fino alla fine e-»

« voleva che noi sopravvivessimo » sussurrò Andrea.

« Esatto, ci ha detto di fare i bravi » disse Charlie, che fino a quel momento era rimasto terrorizzato dalla sfuriata di Jeff. « Cioè, ha detto a me di fare il bravo. Ma il concetto è lo stesso! »

Taylor gli sorrise, soffocando un singhiozzo.

« La signorina gentile ha ragione. Siete una famiglia, no? ».

L'intervento di Jim li fece trasalire dallo spavento.

Taylor si ricordò solo in quell'istante che doveva dare loro le recenti nuove.
Quindi si fece coraggio e, chiedendo di mettere da parte la loro discussione, si affrettò a fare le presentazioni.
Quando ebbe finito, Jim venne accolto con una soffice coperta e un caldo piatto di minestra cotta all'ultimo secondo. Charlie lo fece accomodare al tavolo, sullo sgabello usato da Jeff per la sollevazione pesi.

« Molte grazie. Non mangio un pasto decente da giorni » confessò con una risata che smorzò la tensione e immerse il cucchiaio nel brodo.

« È così sei stato un farmacista, eh? » chiese Jeff, sedendosi sul bordo del divano.

Alla fine si era calmato. Aveva riconosciuto di aver esagerato con lei.
Taylor, invece, da ragazza empatica qual era era riuscito a comprenderlo: lui aveva perso un'amica e non voleva perderne un'altra.
In cuor suo, però, sperava che anche lui si sarebbe potuto riprendere: un gregge si smarrisce senza il suo pastore.

« Oh sì, indicavo i farmaci più efficienti ai miei clienti. Dovete inoltre sapere che dedicavo un sacco di tempo su questo lavoro, perché ci tenevo ad ampliare le mie conoscenze sul campo » rispose Jim in tono fiero, ficcandosi in bocca il cucchiaio.

« Comunque hai bisogno di una doccia, amico » Andrea gli batté un pugno giocoso sulla spalla, passando accanto a Taylor, che stava appoggiata contro l'arcata del piccolo corridoio.

« Andrea! » lo rimproverò lei, assestandogli un leggero scappellotto sulla nuca.

Il biondo si voltò a guardarla e sfoggiò un ghigno divertito.
Avvampando, Taylor si studiò la mano giurando a sé stessa che si fosse mossa da sola.

« Il bagnoschiuma non lo hai preso » le fece notare Charlie, sbucando dalla cucina dove stava smistando quello che c'era nel borsone.

« Però ho preso i biscotti! » e gli fece l'occhiolino.

Non lo avesse mai detto! Charlie sparì tutto eccitato in cucina, biascicando qualcosa che suonava come “fà che siano le gocciole”.

« Avete l'acqua e la corrente, qui, da quanto ho capito » osservò Jim, ignorando il commento di Andrea e sollevando un'altra cucchiaiata di minestra. « Siete stati baciati dalla fortuna! »

« Il bunker era proprietà dei militari. Se possiamo usufruire di questo rifugio è solo grazie a lui » spiegò Andrea, accennando a Jeff.

Jim annuì, mandò giù il boccone e disse con aria sconsolata:« A ogni modo, siamo spacciati. Non ne usciremo vivi da questa epidemia »

Taylor dovette aggrapparsi al muro per non scivolare dallo spavento: Jeff si era alzato di scatto.

« La cura! » lo sentì esclamare. « Avevamo portato a termine la missione! »

« Sì, cazzo! Come abbiamo potuto dimenticarla? » si stupì Andrea. « Spariamocela nelle vene, così faremo il culo a quei mostriciattoli! »

I loro occhi indugiarono su Taylor, che si sentì bruciare dalla testa ai piedi. A questi si aggiunsero un paio di iridi castane.

“Merda” pensò, iniziando a sudare freddo.

La verità trovava sempre un modo per venire fuori. Nonostante lei ci avesse girato attorno, era conscia che non poteva nasconderla per sempre.

Si girò e vide Charlie. Le sue guance erano straordinariamente gonfie, come quelle di un criceto.
Poi entrò nel dormitorio e aprì il comodino.

Taylor tornò in sala, stringendo al petto il quaderno ad anelli dalla copertina rigida blu mare.
Schivò Andrea e lo mollò sul tavolo, accanto al piatto di un Jim rinvigorito.

« Quello non ha l'aria di essere un siero » ammise Charlie, dopo aver ingoiato.

« La radio diceva che- »

« Erano distrutte » lo interruppe Taylor. « Le fiale, dico »

La delusione era palpabile. Stettero tutti in silenzio. Il solo rumore che si udiva proveniva dalla radiolina, ancora disturbata.

« Quindi ci stai dicendo che non abbiamo risolto un accidente? » chiese a un tratto Andrea, passandosi una mano nel ciuffo biondo scuro.

Taylor mosse la testa a destra e a sinistra, in segno di diniego.

« È stata solo una perdita di tempo » sussurrò Charlie, rassegnato.

« Per quanto tempo volevi tenercelo nascosto? » brontolò Jeff, gelido.

« Avrei voluto dirvelo appena usciti dall'ospedale » si difese Taylor. « Ma dopo quel che è successo… non volevo peggiorare le cose »

Notò la smorfia contrariata che nacque sul suo volto. Andrea, invece, si limitò ad annuire.

« È morta invano » Jeff tirò un calcio al piede di legno del divano, per poi aggiungere: « Perché non ci hai avvertiti subito? Potevamo evitare di andarcene a mani vuote! »

« Tutto quello che ci serve è -»

« La comunicazione! Questo non è un gioco, lo vuoi capire? » Jeff le parlò sopra, proibendole di spiegarsi.

« Ora non ricominciare » lo attaccò Andrea. « Non è stata colpa sua »

Taylor incrociò lo sguardo del ragazzo. Le sue viscere si contorsero piacevolmente all'idea che lui la stesse difendendo.

« Io ve l’avevo detto che dovevamo restare vicini vicini» disse Charlie, con l'aria di chi la sapeva lunga. « Non avete voluto darmi ascolto! »

 Nessuno replicò: aveva ragione.

« Guardate! » esclamò Jim, attirando la loro attenzione.

Aveva aperto il quaderno su una pagina specifica, dove Taylor distinse dai caratteri cubitali la scritta “Formula studiata e approvata dallo scienziato”.

« Mentre voi vi scannavate come cani a cui hanno tolto l'osso, ho scoperto che è possibile ricreare la cura »

« Ricrearla? » ripeté Jeff, accigliato.

« Era quello che stavo cercando di dirvi » disse Taylor, picchiando un pugno sul tavolo. « Abbiamo la formula della cura! »

Non seppe precisamente come, ma si ritrovò accerchiata dai ragazzi, il quaderno stretto nelle mani - forse Jim glielo aveva ceduto -.

« Ma che roba è il miscelatore Vortex? » chiese Andrea da sopra la sua spalla, riferendosi allo strumento citato sulla cima della lista.

« Abbiamo tutto l'occorrente. Dobbiamo solo procurarci le sostanze chimiche »

« C'è un laboratorio, nell'Area Protetta? » esalò Charlie, osservando Jeff con stupore.

« Una cosa simile » rispose lui, « Ve lo mostrerò a tempo debito »

Charlie mise il broncio e a Taylor scappò un risolino. Era incredibile come la situazione fosse cambiata nell'arco di alcuni secondi. A Taylor, in fin dei conti, stava bene così: avevano finalmente qualcosa a cui pensare, qualcosa che fosse diverso da Elan.

« Aspettate, questo non lo troverete in California » si intromise Jim, additando una parola.

« Exion » lesse Taylor.

« Serve a ridurre lo stress. Lo conservano esclusivamente in Nevada! » informò lui.

« Cosa cazzo stiamo aspettando, allora? Facciamolo! » esclamò Andrea, cingendo per l'euforia la vita di Taylor.

Lei arrossì tanto da somigliare a un pomodoro, sentendo il calore delle sue mani attraverso la stoffa della t-shirt, come quando l'aveva salvata dal morto vivente che avevano incontrato ai piedi delle scale, una settimana prima.

“... Agosto 2015, ore 15 meno un quarto. Ultime notizie… ”

Una voce monotona risuonò nella sala, strappando loro un sussulto. Andrea corse ad alzare il volume della radiolina e nel farlo rischiò quasi di inciampare.

Taylor posò il quaderno sul tavolo e si mise in ascolto.

“Abbiamo recepito dal nostro inviato una notizia che assicurerà un futuro migliore ai cittadini d’America: il presidente ha preso la sua decisione definitiva” 

« Fanno schifo le sue decisioni! » esclamò Charlie.

Jim gli fece segno di fare silenzio.

“Tra quarantotto ore precise, a partire da adesso, saranno sganciate le bombe. - Riporteremo la California alla normalità, facendo degli infetti un ricordo lontano - ha dichiarato lui stesso alla stampa, questa mattina…”

« Lo sapevo! » strillò Charlie, infilandosi le mani nei ricci castani. « Moriremo tutti! »

« Quel brutto figlio di-»

« Modera i termini, ragazzaccio, è pur sempre il nostro presidente » Jim scoccò un'occhiata severa ad Andrea che spense, per rabbia, la radio.

Taylor fissò Jeff. Stava a lui.

« Partiamo all'istante, il tempo di prendere le armi e-» si bloccò. 

Seguendo il suo sguardo, Taylor vide una figura accasciarsi sul freddo pavimento, creando un tonfo così forte da farlo quasi tremare sotto ai loro piedi.

A Taylor si mozzò il fiato: Jim sembrava in preda agli spasmi.

« Che diavolo gli prende? » chiese Andrea, avvicinandosi. « Non gli avrò causato un infarto, spero » 

Jim spostava la testa da un lato, poi dall’altro, come se stesse lottando contro una forza a loro sconosciuta. Inoltre, stava perdendo colore in una rapidità sconcertante. 
Jeff gli tolse subito la coperta di dosso. Iniziò a scoprigli le maniche delle braccia.

Quando poi sollevò l’orlo di una gamba del calzone, Jeff si ritrasse.
Taylor si portò una mano alla bocca, soffocando un urlo.

Era stato morso al polpaccio.

Charlie, che aveva assistito in disparte, si precipitò in cameretta - magari per prendere il suo teaser-.

Jeff però lo anticipò.
Puntò la canna del fucile sulla tempia di Jim, che continuava ad agitarsi, e sparò.
Jim smise di muoversi. Le sue iridi azzurre si soffermarono sul soffitto, senza in realtà vederlo.

Subito dopo, Jeff guardò Taylor come per dirle “mi dispiace, ma non c’era altrimenti”. Lei annuì piano.

Lasciò che le lacrime bagnassero il suo viso tondo, mentre il senso di colpa si faceva strada nella sua anima. 
Lui li aveva aiutati e loro lo avevano ripagato in quel modo, non avendo altra scelta. Era dannatamente ingiusto, ma ne dipendeva la loro vita. 

Andrea le passò delicatamente un braccio sulle spalle. 
Taylor, che aveva sopportato abbastanza, poggiò la fronte nell’incavo del suo collo, ignorando la ciocca destra dei capelli che le si era incollata sullo zigomo. 

« Hai scordato la regola che dice “Verifica sempre se il sopravvissuto non è infetto” » le sussurrò lui.

« Non esiste questa regola »

« Lo so » sorrise Andrea. « Volevo solo tirarti su il morale »

Taylor alzò la testa, quanto bastava per osservarlo negli occhi. « Beh, non ci sei riuscito » 


Angolo Autrice:

La sottoscritta mica è così crudele da uccidere un personaggio innocente che era appena entrato nella squadra eh, noo.

*schiva un sasso*

Hey! Non è colpa mia!

A ogni modo, a parte gli scherzi, come avete trovato questo capitolo?

Sicuramente deve essere difficile per Jeff accettare l'assenza di Elan, così come per tutti gli altri.

Taylor, nonostante tutto, ha però dimostrato di essere forte, uscendo dal bunker per fare provviste.

Hanno una piccola speranza a cui aggrapparsi, ora: ricreare la cura.

Ce la faranno?

Per gli shippatori dell'Andylor, invece, faccio un'altra domanda: Quanto è stato carino Andrea con Taylor, mentre la difendeva dal soldato?

Prima di lasciarvi, volevo congratularmi con voi, che siete arrivati fin qui (6500 parole non sono poche!) ❤️

P.s: Ringrazio anche la mia editor personale, che in due giorni mi ha revisionato questo capitolo enorme, Alyssa_Dream

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