Capitolo 15.


Come si sarebbe dovuta sentire? Afflitta? Delusa? Arrabbiata?
Sicuramente non era la felicità quello che Taylor stava provando in quel momento, con l'insopportabile puzza di uova marce che le pungeva continuamente il naso e che, di certo, non migliorava la situazione.

Cosa avrebbe dovuto fare? 
Gettando uno sguardo sul liquido cristallino che si allungava sotto quel che rimaneva delle due fiale con tappo a pressione, sentì lo stomaco appesantirsi come se avesse ingerito tre porzioni di fettuccine all'uovo. 

La testa le iniziò a dolere: mille pensieri si stavano accavallando uno dopo l'altro, senza darle alcuna tregua.

Che ne era della missione? Avevano lasciato il bunker nella speranza di salvarsi, ponendo al primo posto la cura. Il pensiero di averla trovata in una condizione ineccepibile per tentare di assumerla le logorava l'animo.

Avevano ucciso tutti i morti viventi che avevano intralciato il loro cammino, ma cosa avevano ottenuto in cambio?

Taylor scosse il capo: più si fossilizzava nei problemi e più si sentiva debole, oppressa dalla realtà delle cose.

"Non bisogna piangersi addosso, ricordatelo sempre" questo le avrebbe detto il padre, Marcus Vennins, se fosse stato al suo fianco.

Cacciando via la lacrima che le stava per rigare il viso, Taylor si promise che se si fosse salvata da quella epidemia sarebbe corsa ad abbracciarlo, dicendogli che era sempre stato nei suoi pensieri, così come la mamma.

"C'è sempre il piano B" pensò infine con determinazione, stringendo l'elastico della coda che si era allentato.

Il disordine era una delle cose che più detestava e l'idea di dover ispezionare quella che era stata la sala operatoria, come definita dal cartellino affisso dietro la porta che si era chiusa alla spalle, in punte di piedi, per non calpestare i flaconcini degli antibiotici e degli antidolorifici sparsi per tutto il pavimento, la mandava in soggezione.

Ansimando, le paranoie cominciarono a manifestarsi nel suo animo, facendole immaginare i peggiori scenari nel caso fosse scivolata o avesse calpestato i vetri infranti.
Ma, con un sospiro, riprese ben presto la lucidità: sapeva di dover tenere i nervi saldi. 

Allungò un piede in avanti, posandolo delicatamente, e fece lo stesso con l'altro. 
C'era quello che sembrava un armadietto porta documenti in alluminio alla sua destra, o almeno lo suppose dai numerosi fascicoli che straripavano da un grosso cassetto aperto. 

Spostando una sedia di plastica che le bloccava il passaggio, si avvicinò a esso e iniziò a passare l'indice sul bordo giallognolo dei fascicoli. 
Man mano che leggeva le etichette, però, la sua delusione aumentava: includevano solo le informazioni dei pazienti che erano stati ricoverati per malattie ostili. 

Spinse il cassetto per chiuderlo, ma quello oppose resistenza. 
Dopo il terzo tentativo andato a vuoto, Taylor constatò fosse incastrato e lo lasciò stare. 

I suoi occhi, allora, si depositarono sulle cinque ante del lungo bancone bianco addossato alla parete contigua. Schizzato di sangue com'era, sembrava aver avuto giorni migliori. 
Per raggiungerlo rischiò di perdere l'equilibrio molte volte, a causa delle piccole pasticche rotonde che ingombravano quel lato della stanza.

In seguito le aprì tutte, ritirandosi subito dopo con desolazione: vi erano tubi per flebo di ricambio, siringhe di ogni dimensione, garze e altri strumenti dei quali non conosceva il nome ma che sapeva fossero impiegati per gli interventi chirurgici. 

Appesantita, si sfilò lo zaino e lo appoggiò sul bancone.

Poi si volse a guardare i tre lettini gettati uno sopra l'altro, verso il muro in fondo, e notando quella che pareva essere una scrivania provò a non perdere del tutto la speranza e a farsi coraggio. 

Tuttavia, quando fu abbastanza vicina, il cuore prese a batterle così forte da farle temere che potesse uscire dalla gabbia toracica se non si fosse calmata subito. 

« Merda » biascicò, portandosi una mano all'altezza delle costole. 

Accasciato dietro il materasso del lettino inferiore, messo sottosopra rispetto agli altri, il cadavere di un soldato le restituiva lo sguardo. 

Il primo pensiero della ragazza fu quello di riprendere il piede di porco, che aveva lasciato attaccato allo zaino.
Ma non si mosse da lì: le pupille dilatate del morto vivente non si erano spostate di un millimetro, sebbene avesse davanti un'appetitosa umana dall'indole docile. 

Incuriosita, Taylor si abbassò e fissò gli occhi nei suoi, scavati nelle orbite.
Cercò di ignorare il verme che gli stava strisciando fuori da un orecchio grigio orribilmente maciullato, concentrandosi invece sulla mandibola priva di gengive.

Si rialzò qualche secondo dopo, giungendo a una conclusione: era morto.
Oltretutto, era certa che non costituisse una poiché grande minaccia, dato che aveva solo un braccio e una gamba.

Si chiese chi gli avesse reciso gli altri arti, mentre si affrettava a estrarre i cassetti della scrivania per svuotarli. 

“Altri documenti inutili” si disse tra sé, sparpagliando i fogli con disperazione.

Possibile che non vi fosse nemmeno una traccia della cura? Avevano davvero fatto tutta quella strada per niente? 

Proprio quando stava per rimettere a posto l'ultimo cassetto, si accorse pesasse più del dovuto e si chiese se le schede che aveva ordinatamente stipato all'interno fossero alquanto pesanti. 

Studiando la rifinitura con minuziosa attenzione, non le ci volle tanto per capire che avesse il doppio fondo.
Così riversò le schede sulla scrivania e cominciò a passare l'indice sul contorno, allo scopo di trovare una qualche fessura.

Il suo dito si fermò quando avvertì un foro.
Sorridendo, Taylor afferrò una penna qualsiasi dal portapenne e infilò subito la punta in esso per sollevarlo.
Il suo sorriso, diventato radioso per la scoperta di prima, in quel momento sembrò toccare il cielo: c'era un quaderno ad anelli dalla copertina rigida blu mare.

Stringendolo velocemente al petto, si perse ad annusare l'odore fresco che emanava, anche se contrastava in una misera parte quello putrido del morto.
Poi lo aprì adagio, pregando con tutta se stessa di trovare quello che nel profondo desiderava.

« Sì! » gioì, chiudendolo per stringerlo di nuovo.

Le erano bastate poche righe per capire che contenesse tutti gli ingredienti necessari per riprodurre, passo per passo, la formula della sostanza che avrebbe annullato gli effetti del Visur Danerick026.

La cura era andata in mille pezzi, certo, ma avere la formula era come avere la ricetta di un dolce. 

Ma non poté cantar subito vittoria. All'improvviso, sentì una morsa gelida attanagliarle la caviglia sinistra.
Sussultando dalla paura, lanciò in aria il quaderno e istintivamente tirò un calcio al suo aggressore, che mollò la presa.

Indietreggiando, Taylor udì il ringhio feroce del soldato non morto: si sforzava per raggiungerla, graffiando sul pavimento con la sola mano che gli restava.

Poi la sua attenzione si posò sul quaderno, che era atterrato proprio vicino a esso.
Non poteva andarsene senza, non se lo sarebbe mai perdonato.

Inspirando, Taylor afferrò la Beretta 92 dalla fondina e, lentamente, la levò verso il suo primo bersaglio reale, che continuava a trascinarsi in avanti invano.

Tolse la sicura, traendo un respiro ancora più profondo.
Infine espirò, allo stesso tempo in cui premette il grilletto.
L'ex soldato socchiuse la bocca e lasciò che la testa bucata si posasse di peso sul braccio, segnato da vecchi tagli violacei. 

Nella sala operatoria tornò a regnare il silenzio. 

“Ora è morto” stimò la ventenne, riponendo la pistola nel fodero con un gesto meccanico.

Si costrinse a non guardarlo mentre si chinava per raccogliere il quaderno, per poi andare a infilarlo nello zaino.
Agganciando le fibbie di plastica, se lo issò sulle spalle e attraversò la stanza con prudenza.

Quando arrivò alla porta, una nuova preoccupazione le impedì di muoversi: il gruppo.
Cosa avrebbe detto loro? Come avrebbero reagito nel sapere che non potevano iniettarsi la cura, avendo al suo posto un mucchio di passaggi che solo chi aveva studiato bene chimica poteva capire?

“Troverò una soluzione” si impose alla fine, leggermente dubbiosa delle sue stesse parole, oltrepassando l'uscio. 

Percorse il corridoio a grandi falcate. Svoltò l'angolo, ma finì per scontrarsi accidentalmente con un'alta figura equamente proporzionata di muscoli. 

« Stai bene? ».

Toccandosi il naso indolenzito, Taylor aprì gli occhi di scatto: due iridi nocciola chiaro la stavano osservando intensamente.
Incantata dal contatto visivo, non rispose: stava ripensando all'inaspettato bacio che le aveva dato. 

Il suo cuore accelerò il battito cardiaco, quando sentì le grandi mani calde di Andrea serrarsi sulle sue braccia con fare preoccupato.
Senza volerlo, si ritrovò a guardare le sue rosee labbra dischiuse: erano le più belle che avesse mai visto ed era sicura che sarebbe rimasta ad ammirarle per l'eternità. 

« Abbiamo sentito uno sparo e abbiamo pensato che avessi bisogno di aiuto » una vocetta acuta la riportò alla realtà. 

Taylor spostò a fatica gli occhi dal ragazzo che aveva di fronte per portarli su Charlie, che se ne stava dritto, la canna di bambù usata come bastone da passeggio.

« C-c'era uno zombie » balbettò. 

Si accorse che Charlie non la stava ascoltando veramente. La sua attenzione era puntata sulle mani di Andrea, che fissava con curiosa perplessità.

Taylor arrossì nell'istante in cui il biondo le allontanò dalle sue braccia, strusciando "casualmente" i polpastrelli lungo i suoi gomiti con una lentezza tale da provocarle un debole sussulto. 
Per giunta, ebbe come l'impressione che si fosse alzata la temperatura. 

Rivolgendo di nuovo lo sguardo su Andrea, notò un sorriso orgoglioso farsi strada sul suo volto, forse legato al fatto che lei avesse messo a tacere un morto vivente senza farsi troppi problemi. 

“Ma quanti gradi ci sono, qui dentro?” pensò, agitata: il cuore le stava martellando in gola. 

Fortuna che aveva lasciato il giubbotto in macchina!

Lasciò che il suo sguardo ricadesse sulla canotta bianca che gli fasciava alla perfezione il petto scolpito. 
La fioca luce che penetrava dalla vetrata alla loro sinistra metteva in risalto i suoi fianchi slanciati, coperti a loro volta da un pantalone da spiaggia indaco.

« Okay, ehm. Hai preso la cura? » Charlie si schiarì la voce, rompendo quel tangibile istante di silenzio che si era creato tra i due. 

« Noi non abbiamo trovato nulla » aggiunse in fretta Andrea, voltandosi altrove pur di mascherare il suo improvviso interesse verso l'impresa compiuta dalla ragazza. 

Scossa da un tremito, Taylor lanciò una rapida occhiata all'esterno e, in base alla lunghezza delle ombre che il sole rifletteva sugli edifici, stabilì fosse giunto il pomeriggio.

I dilemmi che prima si era posta riaffiorarono come avvoltoi nella sua testa, esigendo delle ulteriori risposte che non ammettevano le probabilità.

« Sì, ce l'ho! » mentì infine « Ma ne parliamo con gli altri. Magari fuori da qui ».

Era sempre stata una ragazza onesta ed educata, dire le bugie non era mai stato il suo punto forte. Tuttavia, non aveva alcuna intenzione di farli allarmare: era sicura che insieme a Jeff avrebbe studiato qualcosa, o almeno ci avrebbe provato.

« Quindi possiamo tornare al covo? » chiese Charlie, euforico per quella proposta, mostrando un sorriso a trentadue denti. 

Andrea gli diede un colpetto giocoso sulla schiena, per poi fare un cenno affermativo con il capo. 

“Raggiungere il parcheggio. Massima discrezione” erano state le parole che il leader lasciò loro, dopo essere stato informato dalla ventenne che potevano porre fine alla missione. 

Lei si era sforzata con ogni fibra del suo corpo, pur di non far trapelare alcuna emozione dalla sua voce, sapendo che l'irrequietezza l'avrebbe potuta tradire: avrebbe detto loro tutto appena fossero stati al sicuro. 

Stavano discendendo le scale, uno dietro l'altro, il silenzio spezzato solo dall'eco asincrono che le suole delle loro scarpe producevano sui gradini di pietra. 
Taylor approfittò di quel momento per riflettere, estraniandosi completamente dalla realtà. 

Arrivò subito a chiedersi cosa fosse significato quel bacio, mentre imboccava il pianerottolo del quarto piano, il perché Andrea l'avesse fatto. 

“Lui mi odia, giusto? Non fa che prendermi in giro” pensò amaramente, infilando le mani nelle tasche dei jeans. 

Erano state davvero poche le situazioni in cui il ventunenne si era dimostrato meno prepotente del solito, nei suoi confronti.
Inoltre, come poteva essersi innamorato di lei, di una comune ragazza di Fresno, che di speciale non aveva altro che l'esperienza acquisita nel servire i clienti del Laint's Café? 

« Miss Horse! » esclamò una voce familiare, risuonando lontana anni luce dall'angolo remoto del suo cervello, impostato sulla modalità stand by

Si sentì tirare all'indietro per i fianchi. In quel breve lasso di tempo le sembrò quasi di volare: Andrea l'aveva sollevata da terra e portata a sé. 
Taylor, ancora disorientata per capire quello che stava succedendo, fu abbastanza certa di aver sentito i muscoli del torace del ragazzo premere contro la sua schiena, mentre una serie di immagini si mostrarono alla sua vista come fotogramma di un film d'azione. 

Prima un uomo tarchiato dalla pelle grigia e gonfia di lividi, vestito con un camice azzurro tutto imbrattato di sangue. 
Poi un teaser che scattava in avanti, rozando come un'ape cui avevano distrutto l'alveare, e l'inevitabile scontro. 
Un grido strozzato le trapanò le orecchie, seguito da un tonfo che fece tremare di poco il pavimento. 

« Terminator 1, morto vivente dalle dita storte 0! » festeggiò una minuta figura dal giacchetto blu con cappuccio, sferzando l'aria con la canna di bambù e facendo di conseguenza toccare il teaser modificato al soffitto.

« Abbassa la voce! ». 

Il respiro tiepido di Andrea sfiorò il collo di Taylor, senza sapere che nello stomaco della ragazza mille farfalle minacciavano di uscire per andare a contemplarlo, come se fosse stato il fiore più gradevole sbocciato in primavera. 

“Mai distrarsi”. 

La terza regola di Jeff fece capolino nel caos che stava dominando la sua ragione, strappandola dallo stato di trance in cui si trovava. 
Vide Andrea passarle accanto per controllare se nel corridoio ce ne fossero stati degli altri, nel caso fossero sfuggiti ai due sopravvissuti.

Poi portò lo sguardo su Charlie, che stava annuendo. 

Sentitosi osservato, il giovane superstite si rivolse allora a lei:« Ma che avevi? » 

« Nulla di importante» rispose arrossendo, sperando che le sue parole fossero sembrate le più vaghe possibili. «Grazie per avermi difeso »

Le ricce ciocche castane rimbalzarono delicatamente sulle tempie del ragazzino, accompagnate dal cenno e da un sorriso che pareva dire: "Anche io farò del mio meglio per proteggerti".

“Oh, Charlie” si addolcì Taylor a quel pensiero, avvertendo un sasso particolarmente grosso disintegrarsi nel suo animo, alleggerendolo. 

L'impulso di abbracciarlo, però, morì nell'istante in cui Andrea fece per tornare. 
I suoi passi non erano gli unici a rintoccare lungo la corsia deserta: un boato di urla, misto a ruggiti grotteschi, si innalzò alla fine della rampa successiva. 
I tre, impalliditi, si scambiarono uno sguardo eloquente e si recarono, silenziosi, da quella parte. 

Qualsiasi cosa sarebbe successo di lì a poco, Taylor si sarebbe fatta trovare pronta: afferrò il piede di porco, ponendosi dinanzi a Charlie. 
Con il fiato sospeso, il trio cercò di solcare gli ultimi gradini il più lentamente possibile: le urla si erano intensificate. 
Taylor tenne lo sguardo fisso sul cartello su cui era inciso il numero di quel piano, il secondo, che si faceva sempre più vicino. 

All'improvviso, un gemito di donna riecheggiò debolmente nell'aria. 
Pietrificandosi, Taylor si mise in ascolto. 

Un lamento carico di frustrazione si mischiò a quello dei morti viventi, che bramavano la carne come un neonato necessitava del latte per vivere. 
Era un lamento diverso, un lamento che Taylor aveva sentito solo una volta: nel parcheggio di quel supermercato, della zona Est di Fresno. 

« Elan! » esclamò, esterrefatta, correndo nel corridoio prima che Andrea potesse fermarla. 

Quello che i suoi occhi intravidero, la destabilizzò a tal punto da mandarla nel panico: un gruppo di morti viventi, tra i quali tre medici, un'infermiera e quello che sembrava un paziente in sovrappeso, lottava a ranghi serrati contro una ragazza afro-americana, che stava dando brutali fendenti a destra e a manca con il suo machete affilato.

“Sono una pessima sorella maggiore”. 

Taylor scosse incredula la testa, ripensando alla tremenda sorte che non aveva avuto alcuna pietà della piccola Hugan. 

« No! » gridò, lanciandosi verso un medico dai denti sporgenti. 

L'essere, accortosi della sua presenza, si allontanò dai suoi colleghi maleodoranti, zoppicando rapidamente.
Fece subito per graffiarla, ma lei lo schivò, chinandosi. Poi, prima che lo zombie se ne rendesse conto, si ritrovò sdraiato sul freddo pavimento: Taylor gli aveva fatto lo sgambetto.

Una rabbia che non sapeva di possedere salì nelle sue vene, permettendole così di finirlo, trapassandogli il cervello con il suo compagno di ferro. 

« Ma quanto sei esteticamente stomachevole? ». 

Taylor, estraendo l'arma, vide Charlie scavalcare il corpo di un medico dalla faccia bruciacchiata.
Si precipitò da lui nell'intento di difenderlo dall'infermiera, che aveva lasciato Elan agli altri due zombie. 

Ma la donna vestita di bianco non fece un solo passo avanti, crollando invece a terra dopo aver incassato molteplici proiettili in mezzo agli occhi. 
Girandosi, Taylor vide il biondo avanzare con il mitra sotto spalla, puntato verso lo zombie grassoccio a cui Elan aveva appena reciso un braccio. 

Il rimbombo degli spari che il mitra provocò ne avrebbe attirati a valanga, ma era l'ultimo dei loro pensieri. 

Stordita lievemente dal frastuono, quando Andrea tolse il dito dal grilletto Taylor superò i due corpi che lui aveva abbattuto per andare ad abbracciare Elan, felice di vederla tutta intera. 
Ma lei si scansò, per poi iniziare a parlare: « Siamo entrati in un corridoio e siamo finiti nella parte anteriore dell'ospedale » 

C'era qualcosa nella sua voce che non prometteva nulla di buono e Taylor se lo sentiva. 

« È grande e vi sono molte porte » Elan si volse verso Charlie, accennando un sorriso amaro. « La sottoscritta, per fare prima, aveva insistito affinché ci dividessimo. Insomma, io avrei perquisito il piano superiore, mentre lui quello inferiore » 

“Ma ci ha detto al walkie-talkie di riunirci al parcheggio” pensò Taylor, con il cuore che le stava iniziando a palpitare all'idea che Jeff fosse ferito o, peggio, infettato. 

« Stai dicendo che -» Andrea tentò di chiedere, ma Elan lo sovrastò: « Quando Taylor ci ha detto che potevamo tornare all'Area Protetta, io sono tornata indietro. 

« Ma, non conoscendo questo maledettissimo posto, mi sono persa e ho messo piede nella stanza sbagliata » rivelò, in un tono che rispecchiava a pieno la serietà che stava segnando il suo languido viso, per poi accennare ai cadaveri: « Mi hanno inseguita fin qui ». 

« Elan, non importa! Ora ci siamo noi » scattò Taylor. « Insieme possiamo sconfiggerli » 

« Infatti! Il nostro leader ci ha addestrati per una ragione, giusto? » esortò Charlie, picchiando la canna di bambù sul pavimento con fare incoraggiante. 

Nonostante le loro parole, Elan retrocedette, scuotendo con agitazione il capo. 

« No, ci penso io ». 

« Cosa stai dicendo? Andiamo! » Taylor provò ad afferrarla per un polso, ma l'altra non glielo concesse.

« Andate, ci penso io » ripeté la mora, camminando all'indietro fino a raggiungere il corrimano di una rampa di scale, nascosta nella penombra. 

Cocciuta quanto Charlie, Taylor, seguita dai due ragazzi, si avvicinò di nuovo a lei, chiedendosi cosa le fosse preso. Poi lo vide. 

« Ti hanno morsa! » esclamò, ora sentendo il proprio cuore spintonare la gabbia toracica. 

« Andate, ho detto! » ripeté ancora una volta la mora, coprendosi con il palmo della mano i profondi solchi che mettevano in evidenza la sua clavicola sinistra, scoperta dal top fucsia, sporcata dal suo stesso sangue che scaturiva a piccoli fiotti.

« Oh Cristo! » esplose Andrea, tirando un calcio sulla coscia dello zombie robusto come per sfogarsi, la mano libera stretta in un pugno. 

“No, non può essere vero!” pensò Taylor, le labbra che si stavano deformando in un broncio carico di desolazione. 

« Elan, non dire così! Taylor ha la cura! » borbottò Charlie, la voce spezzata. 

« Cazzo, è vero! » concordò Andrea, illuminandosi tutt'un tratto e passandosi le dita nel ciuffo biondo scuro. 

Gli occhi fissi su di lei, che attendevano una risposta, non le furono di grande aiuto per formulare una frase di senso compiuto. 
Si limitò a scuotere appena la testa, incollando le sue iridi in quelle scure dell'amica nella speranza che avrebbe potuto capire. 

Sapeva che con lei aveva sin da sempre avuto un indissolubile legame, sebbene non condividessero le medesime passioni. Certe volte si erano persino tolte le parole di bocca a vicenda, cogliendo i pensieri dell'altra e viceversa. 
Doveva averle letto la mente anche adesso, perché Elan annuì comprensiva, abbozzando un timido sorriso. Affranta, Taylor vide una lacrima caderle sulla guancia, seguita da un'altra che però la sua coetanea asciugò subito. 

« È troppo tardi per me, piccolo Terminator » proferì, osservando Charlie. « Il processo della trasformazione è veloce, come Jeff dice sempre »

« Cazzo, no! » sbottò Andrea, mettendosi entrambe le mani nei capelli, cominciando a camminare in cerchio per il nervoso. 

Un armadietto ruzzolò gli scalini alle spalle della ragazza, facendoli sussultare dallo spavento. 

« Stanno arrivando! » gridò Charlie, indicando con il suo esile indice le ombre che si stavano tenebrosamente allungando su di essi. 

Numerosi passi strascicati annunciarono definitivamente l'arrivo di quegli esseri strepitanti, peggiorando la situazione. 

« Elan, andiamo! » incitò Andrea, prendendo Charlie per un braccio. 

« Biondino, prenditi cura di loro. A questi così puzzolenti farò scontare tutto quello che ci hanno fatto » gli sorrise Elan, ammiccando specialmente a Taylor, come se avesse intuito che tra loro fosse nato qualcosa. 

« Mi dispiace » sussurrò quest'ultima, fiondandosi tra le sue braccia, non riuscendo più a trattenersi. 

« Ehi, è tutto okay » la rassicurò l'amica, stringendola forte a sé. « È stata colpa mia. Solo e soltanto colpa mia » 

« Non voglio lasciarti » ammise Taylor, ignorando il richiamo di Andrea. 

Come avrebbe fatto senza di lei? Avevano passato tanti momenti spensierati, insieme. Taylor non era mai stata così bene con qualcuno, nemmeno il lavoro era stato in grado di portarle tali emozioni che solo Elan le aveva regalato. 

« Io non vi lascerò mai, sarò sempre con voi » mormorò lei piano, staccandosi per guardarla un'ultima volta negli occhi, come a voler stampare nella memoria i suoi lineamenti tondi. 

Le minuscole gocce d'acqua, frutte del pianto, le avevano bagnato il mento e non parevano avere l'intenzione di fermare il loro corso, tanto meno quelle di Taylor, le cui gote si erano arrossate dalla disperazione. 

« Ci mancherai! » urlò Charlie, trattenuto per il cappuccio da un Andrea preoccupato. 

« Fai il bravo, piccola peste » fece Elan in risposta, alzando la voce per assumere il suo familiare tono risoluto, anche se a stento.

Se voleva aggiungere altro, Taylor non ne ebbe il tempo, né la forza: Andrea l'aveva afferrata saldamente per un polso, costringendola a raggiungere le scale che conducevano alla porta da cui erano entrati quella mattina. 
Guardandosi indietro, Taylor soffocò un singhiozzo quando vide Elan salutarla da lontano. 

« Digli che lo amo! » strillò a pieni polmoni, prima che i tre sparissero dietro l'angolo. 

Sorridendo tristemente alla sua confessione, Taylor si promise che l'avrebbe fatto. 

Il consueto calore che il sole diffondeva sulla superficie terrestre era parzialmente diminuito, frastagliato da un venticello freddo. 
Le nuvole si erano addensate nel cielo, preservando il loro bianco naturale fino all'imminente scoccare delle sei. 

Doversi riabituare alla luce accecante non era affatto semplice come si credeva, soprattutto dopo aver perso qualcuno a cui si teneva davvero. 
Taylor serrò la palpebre, il polso ancora avvinghiato dalla stretta di Andrea, il quale procedeva lungo l'asfalto, guidandoli verso la Jeep gladiator. 

« Lei dov'è? » chiese Jeff, scostandosi dalla carrozzeria su cui si era appoggiato a braccia conserte, notando l'umore tormentato che regnava sulle loro facce. 

Mollando la presa, Andrea abbassò lo sguardo. 
Charlie emise un flebile mugugno indefinito, come se cercasse di dire qualcosa. 
A Taylor, invece, si formò un groppo nella gola. 
Era troppo immersa nei pensieri per capire chi, alla fine, gli avesse riferito la verità. 

Tuttavia, tra tutte le reazioni che si era aspettata, di certo non aveva previsto che Jeff li superasse, urlando a squarciagola il nome della loro compagna nel vano tentativo di ricevere una sua risposta. 

Ma il suo grido angosciato non passò inosservato: un elevato ruggito si levò all'interno della struttura, seguito da svariati rumori di mobili rovesciati. 

« Merda! » proruppe Andrea, correndo ad aprire il bagagliaio del Suv. 

« Ma quanti ce ne sono? » domandò Charlie a Taylor, impaurito. 

« Accidenti, la regola numero due! » sentenziò all'improvviso Jeff, colpendosi la fronte con un pugno, prima che Taylor potesse rincuorare il giovane superstite dicendogli che tutto sarebbe andato per il meglio, se uniti. 

« “Mai urlare”, vecchio. Mi stupisce il fatto che tu stesso ne abbia infranta una » commentò Andrea, smorzando la tensione con una smorfia di scherno e facendo tintinnare la chiave della macchina contro il portachiavi a forma di bottiglia di coca cola, mentre la sfilava dalla serratura. 

« Dobbiamo andarcene » ribatté il leader con rammarico. « Tutti sulla Jeep. Nessuna obiezione »

Correndo verso il Suv per recuperare le scorte, Taylor ebbe come la sensazione di aver visto una lacrima rigargli per un misero secondo il viso rigido. 

« Aiutami ». 

Taylor, issandosi un borsone nero a tracolla, afferrò un manico della cassa rossa colma di bottiglie d'acqua che Andrea stava cercando di tirare fuori dal bagagliaio.
Si sbrigarono a deporla nel cassone della Jeep, mentre Jeff metteva in moto. 

Il tonfo di una porta sbattuta con molta violenza fece sorgere in loro una nuova emozione che li portò a concentrarsi sulla prossima mossa da attuare, o non ce l'avrebbero fatta. 

Cedendo la borsa degli utensili da cucina ad Andrea, Taylor chiuse il bagagliaio della macchina, sapendo che non l'avrebbe mai più rivista. 

Poi si precipitò verso lo sportello del passeggero che Jeff le aveva spalancato, mentre Charlie, a causa della sua bassa statura, veniva sollevato sotto le braccia dal ventunenne per prendere posto sulla panca del cassone.

Tolto lo zaino dalle spalle, che accantonò accanto al cruscotto, Taylor chiuse la portiera e osservò nel riflesso dello specchietto Andrea che, con un balzo, si adagiò accanto a Charlie. 

Jeff diede immediatamente gas, facendo retromarcia per uscire dal parcheggio. 
Aggrappandosi alla cintura di sicurezza, Taylor vide una dozzina di zombie uscire dalla porta laterale e lanciarsi all'inseguimento. 

« Ci stanno addosso » brontolò aspramente il bruno, spingendo il piede sull'acceleratore, sorpassando un dosso senza rallentare.

Per seminarli attraversarono diverse vie interne e questo bastò loro a liberarsene della metà.
Tuttavia, i morti viventi guadagnavano sempre più terreno, man mano che Jeff diminuiva la velocità per imboccare le curve. 

Finché, una ventina di chilometri prima del confine di Chico, quelli gli rifilarono potenti scossoni per fargli perdere il controllo del veicolo, con l'intento di mandarli fuori strada. 

« Se inchiodo rischio di fare loro del male » disse Jeff, pensieroso, alludendo al fatto che non vi fossero le cinture di sicurezza a proteggere Charlie e Andrea.

Taylor, che non voleva perdere nessun altro, concordò, chiedendosi quale fosse la soluzione migliore da mettere in atto per uscirne vivi. 

« Accelera! Ho avuto un'idea! ». 

Una vocetta emozionata, sorta dai loro walkie-talkie, generò in una piccola parte un moto di speranza nell'animo di Taylor, che si incuriosì.

« Ricevuto, Phinar Quaggen. Ma sii prudente! » raccomandò Jeff, rilasciando il pulsante del walkie-talkie, per poi cambiare marcia e pigiare a fondo l'acceleratore. 

Sistemandosi dietro le orecchie le mosse ciocche castane libere dalla coda alta, Taylor gettò lo sguardo sullo specchietto retrovisore, osservando i movimenti del quattordicenne. 

Intanto che Jeff zigzagava tra le vetture, si frappose tra loro e gli zombie una distanza ideale per il piano di Charlie, che si alzò. 
Trattenendo il respiro, lo vide barcollare per l'ennesimo dosso che Jeff aveva superato spericolatamente, ma Andrea lo tenne per un lembo del giacchetto. 

Charlie staccò dal suo marsupio verde smeraldo una pallina da ping pong, stappando poi un piccolissimo tappo per lanciarla contro quegli esseri. 
Appena quella toccò l'asfalto esplose, facendo saltare in aria gli zombie che si scomposero dei loro arti e delle loro membra in una fusione di fuoco e polvere. 

Nonostante il finestrino chiuso, Taylor udì chiaramente un urletto stupefatto scaturire dalla bocca del biondo, che batté il cinque al ragazzino. 

« Ottimo lavoro » si congratulò Jeff al walkie-talkie. 

L'adrenalina che li aveva assistiti fino a quel momento, svanì quando uscirono dalla città. Il pensiero di non avere più Elan con loro, tornò a sottomettere i loro cuori, appesantendoli.

Il viaggio durò ore e ore. Il sole continuava a calare, finché raggiunse completamente l'orizzonte, gettando deboli stracci di luce sulla strada deserta che i sopravvissuti stavano percorrendo. 
Non una parola osò uscire dalle loro bocche, quando accostarono in un luogo tranquillo, appena dopo Fresno. 
Il solo rumore che si sentiva era lo scoppiettare del fuoco, che si erano apprestati ad accendere per non dormire al buio. 

Erano avvolti da un alone negativo: nemmeno un grazie si scambiarono quando si passarono le ciotole con la minestra di fagioli fumante. 
Mai, da quando si erano conosciuti, avevano cenato senza scherzare, senza ridere. 

Una sola frase ruppe l'ampolla di vetro in cui ognuno si era segregato. Semplici parole pronunciate dal trentenne, che si coricò sul sacco a pelo con il mitra abbracciato, bastarono per metterli sull'attenti: « Partiamo alle nove in punto ». 

Annuendo, Taylor fece per alzarsi dalla sedia pieghevole, sapendo che il primo turno di guardia spettasse a lei, ricordando il bastoncino corto che le era toccato la sera addietro. 
Ma un cenno da parte di Andrea le fece capire che lo avrebbe ricoperto lui, permettendole di riposarsi di più. 

Posando la testa sul piumino azzurro, sulle labbra di Taylor si disegnò un sorriso riconoscente, ma fragile. 

Angolo autrice:

Sinceramente non so cosa dire, davvero. 

Taylor non è l'unica a essere distrutta, in questo momento…

Il capitolo è stato revisionato da Alyssa_Dream❤️❤️

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