Capitolo 11.

Una serranda rossa di metallo si ritirò in alto, agganciandosi agli ingranaggi laterali con un sonoro e sinistro tonfo, simile a quello che facevano i tipici portoni cigolanti delle case stregate.
Molteplici lampadari pendenti al soffitto si accesero al pigiare dell’interruttore, che inviò la corrente necessaria ai rispettivi fili.
Taylor non diede peso all’odore di vecchio che aleggiava  nell’aria. Invece si ritrovò a contemplare le numerose corsie di scatoloni e barattoli che si estendevano in lunghezza: potevano essere una decina a giudicare dall’ampiezza del magazzino di quella fabbrica di Bakersfield, come Jeff aveva promesso loro.
Nessuno del gruppo fece un passo avanti: sembravano impressionati, come scioccati da tutto quel ben di Dio .
Taylor non sapeva da dove cominciare. L’unica cosa di cui era certa era che lì vi  fosse ogni sorta di cibo conservato, con scadenza, che variava da prodotto a prodotto, dai due ai sei anni.
Fu Jeff a spezzare il silenzio, voltandosi a guardare tutti loro, le mani sui fianchi muscolosi: « Non dovrebbero esserci molti zombie, qui ».

« Sì, certo. Era stato così anche per San Bernardino! » disse Taylor, sarcastica.

« Che vuoi che sia, Miss Horse » ridacchiò il ventunenne, superandola per entrare.

Lei sbuffò, facendo per stargli dietro.

« Sono serio, la fabbrica produce di meno in estate. Di conseguenza, vi sono giusto i pochi dipendenti che si dedicavano a rifornire le aziende che ne facevano richiesta » informò il soldato, entrando dopo Elan e Charlie.

« Circuiti incandescenti se è enorme! » esclamò quest’ultimo, puntellando la canna di bambù sul pavimento in cemento a ogni passo che compieva, come se fosse stato un anziano con il suo bastone.

« Che diamine di espressioni ti sei ficcato in quella testolina grande quanto una noce? » gli chiese Andrea, il tono della voce macchiato di disprezzo.

Taylor si girò verso il quattordicenne mimandogli di non dargli corda, ma lui la ignorò: « Stai forse sottovalutando la mia intelligenza? »

« Tu cosa ne pensi, ragazzo prodigio? » gli domandò Andrea di rimando, allungandosi senza preavviso per bloccargli la testa sotto il braccio.

Charlie non fece in tempo a scostarsi che dovette fare i conti con il pugno chiuso del biondo tra la sua caterva di ricci.
Taylor non seppe se intervenire per sottrarlo dalle grinfie di Andrea, o se restare a osservarli. Alla fine rimase dov’era, con il cuore che le si riempiva sempre più di calore: sembravano gatto e topo, ma sapeva che quei due si volessero bene e che forse quello era il loro modo per manifestarlo.

« Morti viventi o no, sono sicura che tu li farai rimpiangere di essere stati infettati » sentì alla sua sinistra.

« Non si è mai troppo prudenti, questo è il mio motto » rispose Jeff, guardando affettuosamente  Elan.

« Che adesso diventerà il mio! ».

« Non pensavo fossi una ladra di citazioni ».

« Non si smette mai di imparare signor capitano, signore! » disse la mora, spolverandogli delicatamente l’incisione “Moul” cucita sulla divisa militare all’altezza del pettorale destro.

“Solo amici, eh” pensò Taylor, trattenendosi nel colpirsi la fronte con la mano per quanto la situazione tra i due fosse lampante.

Decise di distogliere lo sguardo, dirigendolo verso le corsie.
Il respiro le si mozzò quando, al terz’ultimo scaffale di sinistra, scorse la scritta “Frutta secca” in caratteri cubitali su un cartello color ciano. Sentì una strana sensazione formicolarle i piedi, scorrerle nelle vene e arrivarle al cervello. Era straordinariamente familiare, come se avesse visto un qualcosa di magico. Era la stessa emozione che si provava quando si annusavano le pagine di un libro nuovo.
Le sue labbra si allargarono in un sorriso adorabile, risvegliando la bambina che era in lei.

Non si rese neanche conto di aver assicurato al gruppo che non si sarebbe allontanata troppo, che i suoi piedi si mossero da soli, attratti da quelle semplici parole.
La nitida luce bianca della lampadina illuminava quelle piccole leccornie di cui andava estremamente ghiotta. Davanti a sé vi erano tanti sacchetti di arachidi, pistacchi e mandorle: Taylor le guardò a bocca aperta.
Si fermò a leggere le etichette sentendo la saliva accumularsi nel palato, per poi prendere e gettare nella borsa una quartina di ciascun tipo.

“Altro che polenta o riso: la frutta secca batte tutto!” pensò sognante, afferrando un pacco di noccioline. “Tranne le noci, quelle possono starsene a marcire!”

Verso le noci non portava odio, bensì timore per ciò che avrebbe potuto trovarne all’interno: vermi. Rabbrividì al pensiero dell’insalata che aveva ingiustamente sprecato, buttandola nel secchio della spazzatura con l’ignaro bruco nelle foglie. Ma era principio, questione di vita o di morte.

“Ah! Ci sono anche gli anacardi!” si disse tra sé, la felicità che cresceva nel vedere quelle squisitezze marroncine a forma d’amo.

Un ricordo emerse dalla marea dei suoi pensieri. Si trovava in un negozio dove si vendevano articoli da pesca, negozio che avevano visitato tutti assieme settimane prima per cercare qualche attrezzo utile per la loro sopravvivenza.
Charlie le aveva indicato una confezione di ami, chiedendole se gli avrebbe mai potuto insegnare a pescare. Lei gli aveva sorriso ed era stata sul punto di accettare, se solo quella richiesta non fosse stata respinta dal leader: a parer suo, sarebbe stato troppo rischioso avventurarsi in un porto.

Tornando a guardare gli anacardi, appurò che c’erano anche loro, da sfamare, e non li avrebbe certo saziati con una manciata di pistacchi.
Così, a malincuore fece per infilare nella borsa gli ultimi due sacchetti.

All’improvviso una mano fredda le strinse il braccio sinistro nudo, appena sotto la manica della T-shirt bianca. Come aveva potuto permettersi di abbassare la guardia in quel modo?
Deglutendo miseramente, lasciò andare la cerniera della borsa e si voltò lentamente.

Il suo cuore fece un gigantesco salto nel petto, esterrefatto a quella orrenda visione. Era uno scarno operaio dallo scalpo per metà mancante di capelli, il quale spazio era riservato a un profondo incavo zeppo di sangue scuro. La carnagione grigia era nascosta da una sporca divisa blu dove spiccavano grosse gocce rosse su tutto l’addome, rendendolo ancora più terrificante agli occhi della ragazza.
La mascella screpolata del morto si contrasse in una rapidità sconvolgente, come se stesse gustando con il pensiero la sua facile preda.
Taylor sentì le sue unghiacce spezzate e insanguinate spingere sulla pelle, come se volessero perforarla da un momento all’altro.

Si trattenne nell’urlare, facendo invece per impugnare la sua arma, che aveva incastrato nella cinta laterale - di solito inutile - della borsa.
Quello spalancò subito la bocca, buttandosi in avanti per morderla, ma lei gli mise i bastoni tra le ruote: fece un passo indietro e strattonando il braccio bloccò immediatamente le sue orripilanti fauci con il piede di porco.
L’essere, ringhiando, allungò l’altra mano per graffiarle il viso.
Taylor, con un abile calcio, lo fece cascare sulle ginocchia.

Nell’istante successivo si ritrovarono a fissarsi negli occhi. La castana, le dita strette con fermezza attorno il ferro freddo, poteva cogliere un’ombra malvagia in quelle iridi vitree. Non c’era più una parte umana, in lui. Sembrava spento, cancellato, annullato della propria esistenza. L’unica cosa che, Taylor ne era certa, predominava nel suo sguardo era l’incontentabile fame.

Un’inaspettata mossa di rimonta da parte dello zombie la fece ritornare in sé.
Taylor diede un forte strattone al piede di porco per rimuoverlo dai denti che esso aveva serrato con ardore.
Non gli diede l’attimo di rialzarsi che lo uccise, conficcando la parte appuntita dello strumento nel suo cranio.

Un percettibile verso strozzato fuoriuscì dalle labbra putrefatte dell’essere, confermando la sua morte.
Rendendosi conto solo in quel momento del suo respiro affannoso, Taylor si appoggiò allo scaffale, una mano sul fianco.

I suoi pensieri corsero al fatto che dovesse avvisare i suoi compagni. Quindi, traendo un profondo respiro, si accovacciò e staccò il walkie-talkie dalla fascetta.
« Non siamo soli! » disse sbrigativa, rilasciando il pulsante per attendere una risposta.

« Io ne ho teaserato uno! » esclamò una voce energica.

Taylor sorrise, constatando quanto Charlie riuscisse sempre a rallegrare la più difficile delle situazioni.

« Charlie » borbottò una voce acuta, in tono di rimprovero.

« Okay, sto zitto » sentì lei subito dopo.

« È da stupidi rimanere separati. Prendete tutto quello che potete e andate all’ingresso. Insieme faremo ritorno al bunker » ordinò severamente Jeff. « E fate attenzione! » aggiunse, diligente.

“Parole sagge” pensò Taylor annuendo, riposando l’apparecchio.

Come desolata di quello che aveva fatto, si avvicinò allo zombie e tese una mano verso il piede di porco.
Lo estrasse dal cranio, volgendo lo sguardo altrove pur di non guardare i pezzetti neri di cervello maciullati che restarono appiccicati sull’asta.

Deglutì, pulendolo sulla veste di quello. Poi prese la borsa e tornò indietro.
Imboccò un’altra corsia, questa volta decisa a trovare qualcosa di sostanzioso, sebbene sapesse che se ne sarebbe occupato Jeff, assicurando porzioni di fagioli, lenticchie, minestra e polenta per tutti.

Mentre infilava una passata di pomodoro in mezzo ai pacchetti della frutta secca, pensò agli snack che Charlie avrebbe indubbiamente scortato. Lui, Taylor lo aveva beccato un sacco di volte, mangiava pochissimo a pranzo e a cena, ma si rimpinzava di schifezze simili continuamente.

« Poi mi ringrazierete! » esordì Elan dal walkie-talkie, più tardi, procurando un mezzo infarto a Taylor, che stava controllando tranquillamente la scadenza della pasta.

« Avete rotto il cazzo con questi fagioli! » abbaiò Andrea, scocciato.

Taylor fece per controbattere, gettando malamente il pacco nella borsa, quando Elan spiegò:« Ho raggruppato tutti gli ingredienti principali per cucinare dei dolci senza uova! »

Per Taylor l’idea di passare il pomeriggio cucinando pasticcini vegani piaceva molto, dopotutto era in grado di farli dato che aveva lavorato in una caffetteria.
La proposta di Elan doveva aver placato l’arroganza del biondo, perché non vi fu alcuna replica.

Richiuse la borsa con molta difficoltà, per quanto fosse piena, e si accinse a ritornare all’ingresso stando attenta a ogni movimento: non voleva certo rischiare di farsi assalire di nuovo!

Fu sollevata di vedere Elan e Jeff ad aspettarla.

« Tutto bene? » le domandò il leader, inarcando un sopracciglio.

Taylor annuì nonostante fosse cosciente che, nel profondo, la corrodesse l’arduo desiderio di sputare la verità: le dispiaceva uccidere gli zombie, ogni volta si sentiva uno schifo.

“Uccidili, o loro ti uccideranno” ripeté a mente la regola di Jeff.

Da un lato aveva ragione, dall’altro torto. Doveva pur esserci una soluzione, il cosiddetto piano B. O almeno per quanto le riguardava. Invece, quando si trovava con il gruppo, come era avvenuto il giorno prima, non le restava che combattere. Poteva chiudere un occhio solo se lo facevano per una “buona causa ” e rifornirsi di viveri per intraprendere un lungo e pericoloso viaggio era una di questa.

« Scommetto di essere il solo ad aver preso tonno e carne in scatola! » una vicinissima voce presuntuosa la fece riatterrare sul pianeta Terra.

Taylor vide Andrea guardare nella sua direzione e le ci vollero qualche secondo, rapita dai suoi occhi nocciola chiaro, per elaborare una risposta sensata da lasciargli:« E ci voleva tanto? Io te l’avevo detto che avresti trovato della carne, che sia scaduta è un altro conto »

« Metterò dei bigattini da parte per te, Miss Horse » disse il ragazzo, ammiccandole con fare ironico.

Quelle parole, accompagnate da quella strizzata d’occhio, la trafissero nell’intimo, inorridendola.
Lui sapeva più di ogni altro quanto temesse i vermi, probabilmente molto più degli zombie, e stava sfruttando questa sua debolezza per vederla indifesa, spoglia di tutti i mattoni che aveva montato per proteggersi dalle sue provocazioni. Un muro che lui riusciva sempre a scalfire con delle parole semplici; un susseguirsi di lettere che a Taylor sembravano ardere lo spirito.

Dischiuse la bocca, ma Elan si intromise:« Che cosa romantica! »

Entrambi sobbalzarono, esterrefatti dall’espressione dell’amica che, accanto a Jeff, li aveva osservati in silenzio.

« Veramente non c’è nulla di  romantico » brontolò il biondo, corrugando la fronte.

Taylor era d’accordo, ma si limitò a scrutare storto la ragazza, chiedendosi come le fosse venuta in mente una cosa del genere.

« Io la penso così, voi fate un po’ come vi pare » rise Elan, posando le mani sulla cinta, dove le lame dei tre pugnali scintillavano fiocamente alle luci dei lampadari.

Taylor vide Andrea passarsi una mano tra le ciocche dorate, piegando i capelli da un lato.
Non poté evitare che il suo sguardo ricadesse sul bicipite contratto. Inspirando, diresse l’attenzione al moro.
Tuttavia, si accorse che qualcosa nei suoi lineamenti impassibili era mutato: sembrava allarmato.

Taylor si pietrificò, vedendolo avanzare velocemente da lei.

« Vennins, cosa sono quelle? » domandò Jeff turbato, indicandogli il braccio sinistro.

Taylor, capendo, fece per guardare a sua volta le chiazze violacee che le si erano formate nei punti in cui il morto vivente le aveva conficcato le unghie, senza però recarle alcuna lacerazione, ma delle dita calde l’afferrarono per il polso.

Si sentì volteggiare, trascinata da quella stretta morbida, ritrovandosi faccia a faccia con Andrea.

« Che hai combinato? » sussurrò lui.

Taylor non poteva credere alle sue orecchie.

“O mio dio! Si sta preoccupando per me?” pensò, sconvolta.

Andrea doveva essersi accorto della sua reazione, perché le lasciò il polso, abbassando appena il capo.

« Sei ferita? » aggiunse Elan, facendosi spazio tra i due ragazzi che avevano circondato Taylor.

« N-No… » balbettò lei, senza distogliere gli occhi da quelli di Andrea, che parevano studiarla a fondo, come se stessero tentando di scovare la verità. « Un morto vivente mi aveva afferrato per un braccio e mi sono liberata »

Jeff si rilassò e, curvando la bocca in una smorfia serena, le disse:« Ben fatto, ma cerca di stare più attenta »

« Non si è mai troppo prudenti! » convenne allegramente Elan, dandole una pacca sulla spalla.

Taylor vide il segno di un piccolo sorriso allargarsi timidamente sulle labbra del soldato: aveva usato il suo motto.
Poi, riprendendosi, riportò lo sguardo verso Andrea scoprendo invece non fosse lì.
Si allontanò dai due, che avevano iniziato a discutere animatamente quanto la citazione fosse stata d’effetto, e si guardò attorno.

Vide Andrea fermarsi davanti a una corsia per poi arretrare irritato, il manico dell’ascia che sbatteva sulla sua gamba a ogni passo.
Taylor si chiese cosa stesse cercando quando una morsa tremenda le strinse il cuore.
Esitando, si guardò alle spalle e il suo timore venne confermato nell’incontrare i volti dei due compagni, i quali avevano smesso di fiatare come se le avessero appena letto nella mente: mancava Charlie. 

« Dove sei, idiota? » sbottò Andrea sul walkie-talkie.

Un rumore disturbato e monotono scaturì dalla mediocre cassa, riecheggiando cupamente per le pareti del magazzino. Nessuna risposta.

« Si sarà perso? » azzardò Elan, irrequieta.

« Phinar Quaggen, aggiornaci sulla tua posizione » disse Jeff, i piccoli occhi che saettavano da destra a sinistra nel vano tentativo di rivelare il minimo movimento.

Ancora nulla. Un silenzio soffocante avvolse il gruppo. I minuti scorrevano lenti, inesorabili, rotto solo dai respiri ansiosi dei ragazzi.
Che fine aveva fatto?

Il pensiero che fosse in pericolo aumentò ulteriormente la disperazione che stava attanagliando l’animo della ragazza. Per quale diavolo di  motivo si erano dovuti separare?

« Basta, vado a cercarlo » annunciò infine Andrea, audace, stringendo forte l’ascia.

Taylor fu lì per lì per seguirlo, dopotutto teneva molto a Charlie, ma un cenno fugace del ventunenne la paralizzò sul posto. Sembrava come se avesse voluto dirle che lo avrebbe fatto da solo.
Così restò a osservarlo, finché sparì nel corridoio centrale, costeggiato da scatoloni raffiguranti piatti di riso al pesce.

Taylor era ancora lì, presa a fissare il vuoto. Quanto tempo era passato dall'ultima volta che aveva visto Andrea? Secondi? Minuti? Ore? L'unica cosa di cui era certa era che non vi fossero sue notizie, tantomeno di Charlie.

Elan stava alla sua destra, in punta di piedi, il naso a patata all’insù.
Jeff era rigido e vigile.
Si rese conto che stava sudando, infatti il piede di porco le stava scivolando dai polpastrelli.
Ingoiò della saliva con uno sforzo disumano: l’ansia stava prendendo il sopravvento.

All’improvviso dei passi risuonarono nell’aria e loro rinvennero.

« Stanno tornando! » affermò Jeff, dando voce ai pensieri delle ragazze.

Taylor sorrise, giocherellando con il piede di porco, e sospirò.
Ma c’era qualcosa in quei passi che non la convinceva affatto.
Prima procedevano lenti, strascicati, successivamente più rapidi, scattanti.
Taylor guardò perplessa Elan, che ricambiò lo sguardo.

Poi un rauco ruggito li fece sussultare, trapassandoli da parte a parte e cancellando in un battito di ciglia l’illusione che si erano fatti di riavere i propri amici con loro.
Un morto vivente apparve di corsa dalla penultima corsia di destra e Taylor si impaurì notando che li aveva puntati.

Ma non fece un altro passo avanti: un pugnale gli si era piantato in fronte.

« Ah, se non ci fossi io! »

Strabiliata, Taylor osservò gaia Elan precipitarsi a recuperarlo.
Rimuginò su come facesse a essere così veloce e precisa quando, nello stesso momento in cui l’altra stava infilando la lama nella cinta, altri passi si levarono nella struttura.

Un brivido gelido le percorse la schiena, portandola a spostare lo sguardo alla corsia centrale.
Jeff, facendole da scudo con la sua massiccia stazza scolpita, sollevò il Remington 870 all’altezza della spalla e lei intuì non volesse farsi trovare di nuovo impreparato.

Elan, ansimando, si affrettò a tornare da loro. Le sue falcate, accentuate dai tacchi degli stivaletti che calzava, si mescolarono quasi omogeneamente con quelle che si stavano, a poco a poco, fortificando.
Secondo Taylor creavano un ritmo inquietante, degno di un film horror – sebbene non fosse il suo genere preferito -.

Tornando in sé, si scostò da Jeff leggermente perplessa e assottigliò la vista, nella speranza di scorgere un ciuffo biondo scuro con un quattordicenne al suo fianco.

« Ragazzi! » urlò Elan, al settimo cielo, quando due figure vennero catturate dalla luce dei lampadari.

Taylor sentì un macigno nel suo stomaco dissolversi: non era mai stata così felice di vedere Andrea.
Ma la sua felicità venne troncata subito, notando che il ragazzo era infuriato.
Ne fu convinta vedendo come la sua mano fosse duramente serrata al cappuccio blu di Charlie. Il piccolo, invece, aveva uno sguardo dispiaciuto e non celava un’espressione  abbattuta.

“Cosa è successo?” si chiese, studiando il rossore acceso delle gote di Andrea.

« Vi stavate chiedendo dove fosse finito? » esplose lui, raggiungendoli, strattonando Charlie come se avesse commesso un gravissimo reato.

Taylor vide che nessuno proferì parola, sicuramente turbati dal suo comportamento.

Andrea proseguì:« L’ho trovato nella stanza di sorveglianza, appiccicato a un computer per un giochino del cazzo! »

Taylor sospirò, aveva creduto al peggio.

« Volevo cercare su Google come costruire un Bazooka  in miniatura! Ma l’unica scritta che ho letto è stata “Nessuna connessione a Internet ”» si giustificò debolmente Charlie. « Non ho saputo resistere, mi sono messo a giocare con il dinosauro che salta i cactus »

Un sorriso apprensivo spuntò sulle labbra della castana: Charlie era piccolo e non doveva essere facile per lui trascorrere le giornate al bunker, senza alcun dispositivo tecnologico che lo svagasse.

« E se ti avessero azzannato mentre eri incollato allo schermo? » strillò Andrea, il petto che si alzava e abbassava dal respiro irregolare.

Charlie, terrorizzato dal suo tono, si fissò i lacci a strappo delle scarpe.

« Ha capito ciò che ha sbagliato, Horwan. Adesso-» provò a dire Jeff, sistemando la canna del fucile da un lato in modo che non gli desse fastidio, ma non riuscì a terminare la frase perché l’altro sibilò: « Non sono il tuo soldato! Non decidi tu per noi. So da me dove devo andare »

Taylor, scioccata, lo osservò uscire dal magazzino udendolo a malapena farfugliare “un irresponsabile” e pensò fosse riferito a Charlie.

« Deve calmarsi un po’, il biondino » commentò Elan acida, sicura che lui non potesse sentirla.

Taylor, piuttosto, credeva che Andrea si fosse solo preoccupato.
La sua reazione era stata normale, per questo stabilì che lui doveva volergli veramente bene, forse più di quanto gliene volessero tutti loro messi assieme.

Girandosi verso Charlie si chinò e, sorridendo, lo abbracciò.
Lui all’inizio restò sorpreso, poi si rilassò e le cinse il collo.
Taylor poteva percepire il senso di colpa scorrere nelle sue esili vene, mentre i boccoli le solleticavano delicatamente l’orecchio destro, così gli accarezzò la schiena con fare rincuorante.

« Sta’ tranquillo, poi gli passa » gli mormorò, alludendo ad Andrea.

« Mi dispiace, non volevo farlo arrabbiare » confessò Charlie, poggiando il mento sulla sua scapola.

« Più del solito? » rise Taylor.

« Sì, penso che lo lascerò in pace per un po’ » sentenziò, sospirando addolorato.

Una mano scura accarezzò a sua volta la schiena del ragazzino.
Taylor si staccò da lui, lasciandolo a Elan.

« L’importante è che stai bene » disse Jeff, posando la sua, di mano, sulla spalla di Charlie.

« Esatto! » assentì Elan, scompigliandogli affettuosamente la folta chioma. « Ora però andiamocene da qui. Questo posto sta iniziando a darmi i brividi »

Taylor annuì, per poi avviarsi per prima all’uscita.

Un coltello dentato si insinuò nella soffice superficie di un ciambellone all’aroma di arancia, tagliandone uno spicchio.
Si alzò in aria e ritornò a tranciare il ciambellone, ricavandone un’altra spessa fetta.

« Ha un bel colore! » esclamò Elan guardando Taylor, che stava impiattando.

« Vero? » sorrise lei, soddisfatta della propria creazione.

Erano tornati al bunker, avevano pranzato e adesso si erano concesse del tempo per fare un dolce, chiedendo a Charlie di spazzare per terra – cosa che fece senza ribattere -.

Passando la fetta alla castana, Elan gettò il coltello nel lavabo e si stiracchiò.
Taylor adagiò il dolce in un piattino di coccio, sul quale aveva messo un tovagliolino di carta, e ripulì il tavolo di ferro dalle briciole.
Senza far disastri, uscirono dalla cucina ed entrarono in sala dove attirarono l’attenzione dei maschi.

Charlie, che fino a un attimo prima stava osservando Jeff ripulire il fucile a pompa, appena si accorse di cosa stessero per offrirgli saltò dal divano alla velocità della luce e agguantò un piatto da Elan in tutta fretta e furia.

« Non dimentichi nulla?» lo incalzò lei.

« Oh… fi, grafie » biascicò Charlie, con la bocca già piena.

Taylor fece per darne uno al trentenne, ma l’amica la batté  sul tempo.
Aveva già assaggiato la sua, in cucina, quindi i due piatti che stava tenendo sapeva già a chi erano destinati.

Appoggiò quello di Elan sul tavolo e indugiò su Andrea.
Si era calmato lungo il viaggio, come lei si era aspettata.
Tuttavia, non si era scomodato per scusarsi con Jeff. Lui, d’altro canto, sembrava come se non gli avesse dato importanza.
Taylor pensò che doveva aver creduto che Andrea non lo avesse detto sul serio, spinto dalla rabbia, e al tempo stesso fosse certo che non li avrebbe mai abbandonati per fare di testa sua.
L’Area Protetta era il suo rifugio, il loro rifugio.
Taylor provò a immaginare come sarebbe stato sopravvivere in quel covo senza la sua presenza ma, inspiegabilmente, non ci riuscì.

La sua alta sagoma superava quella del mobiletto e da come le sue braccia si stavano muovendo intuì stesse armeggiando con la radiolina.
Difatti, l’atmosfera circostante era frastagliata dalle sue insopportabili interferenze.

« Aggiusta quest’affare, Il Magrissimo. La stazione dello sport è andata a fancu » ma il suo fiato si mozzò dalla dolorosa gomitata nelle costole che gli arrivò da Taylor, la quale si era fiondata da lui nella speranza di evitare ulteriori litigi.

Corrugando la fronte, Andrea la squadrò confuso, massaggiando la parte dolente. Lei gli ficcò il piattino tra le mani e si dileguò prima che lui potesse farle qualche battuta provocatoria.

« Sì, lo faccio dopo » disse Charlie, pulendosi con la manica del giacchetto. « Posso averne un’altra?»  aggiunse in tono supplicatorio a Elan, che annuì tranquillamente.

« È impressionante come una ricetta senza uova possa essere così buona, Vennins » ammise Jeff, il fucile nero abbandonato sulle gambe robuste.

« È leggera! » rispose lei, la spalla posata contro lo stipite dell’arcata tonda.

« Confermo. Ci sarebbe servita una cuoca eccellente come te, nella nostra base di Bakersfield. Quella che avevamo era scorbutica e ci dava la metà della porzione dei pasti che ci spettava » continuò lui, accartocciando il tovagliolino per buttarlo.

« Accidenti! »

« Almeno fossero stati decenti. Ancora oggi, non saprei stimare se erano più rivoltanti i calzini sporchi dei miei compari o il suo brodo di pollo » ridacchiò lui e Taylor lo seguì, scuotendo la testa a quelle rivelazioni.

« Guarda che l’ho aiutata anche io a preparare il ciambellone! » esclamò Elan dalla cucina, in cui si era recata con Charlie per tagliargli un'altra fetta.

« Intendi leccando il cucchiaio di legno e la scodella? » chiese Taylor, stupita dal pizzico di gelosia che colse dal suo tono di voce.

« Ho fatto comunque qualcosa, no? Ti ho risparmiato il lavaggio ».

« Ma ci sono i tuoi germi, sopra! » urlò Charlie, scoppiando poi in una risata eccessiva.

« Shh, quelli sono dettagli! »  dichiarò Elan con persuasione.

Taylor scosse di nuovo il capo, sorridendo: erano semplicemente fenomenali.

« Allora una dote ce l’hai ».

A quell’affermazione, Taylor si voltò lentamente verso Andrea.
Il suo piattino era cosparso di briciole, il che significava che aveva gradito - sempre se non lo avesse gettato da qualche parte  -.
A quel pensiero guizzò lo sguardo sulla piantina grassa che stava accanto al mobiletto, ma lo riportò sul biondo quando, dalle foglie intatte, ebbe la certezza che non lo avesse fatto.

« Detto da te sembra un complimento » sbuffò, incrociando le braccia.

« Ora non ti allargare » ribatté lui, posando il piattino sul tavolo sul quale si era seduto, e vi scese agilmente.

« Mi basta sapere che tu abbia trovato un pregio, tra i miei innumerevoli difetti » sospirò Taylor, osservando un sorriso arrogante nascere sulle sue labbra.

Tuttavia Andrea non ebbe il tempo di replicare che dalla cucina si levò un urlo.

Taylor, sbigottita, si sentì sospingere in avanti da qualcosa, tanto che rischiò di cadere faccia a terra. Barcollando impacciatamente per trovare l’equilibrio, vide di sfuggita Andrea correre dietro a un minuto ragazzo che stava uscendo velocemente dalla porta di ferro battuto.

« Charlie! Vieni subito qui e riporta il ciambellone! » strillò Elan alle sue spalle, facendo scattare Taylor da un lato per lo spavento.


Angolo Autrice:

Sarebbero tante le cose da dire in questo capitolo (e bravo il nostro Andrea ahah!), ma riassumerò tutto con questa frase:

Charlie, che cosa combini?? XD

Anche qui, ringrazio infinitamente Alyssa_Dream per aver revisionato il capitolo!! (sei fantastica) ❤️

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