Capitolo 10.
Una copertina nuova di zecca recitava con un carattere delizioso la scritta “Mooby Dick”. Un’altra, valorizzata da un magnifico esemplare di lupo su uno sfondo dall’impeccabile contrasto bianco e celeste, “Zanna bianca”. Infine una dall’immagine di un maestoso drago, adagiato su una vastità di monete d’oro, “Lo Hobbit”.
Taylor uscì dalla piccola biblioteca chiudendo la zip della borsa dopo aver controllato che i libri stessero dritti l’uno sull’altro.
Si guardò attorno, decidendo in quale struttura entrare.
Si trovava nella zona Est di Fresno, come accordato da Jeff, perché qui avrebbe trovato più materie prime da racimolare.
Lei, sebbene conoscesse quelle strade solo per nome, dato che non le aveva mai esplorate di persona in precedenza, non poteva dargli torto: da entrambi i lati della via si presentavano una schiera di negozi.
Jeff aveva concesso loro, dopo la farmacia, un po’ di libertà, con l’unica raccomandazione di rimanere nei paraggi, mentre lui si sarebbe occupato di caricare le casse d’acqua sulla sua Jeep.
Taylor, oltre ai libri, aveva aggiunto nella borsa una federa ricamata da graziosi fiori rosa primaverili, nonostante il suo colore preferito fosse l’azzurro, in modo da rendere il proprio cuscino leggermente più elegante di quello che era.
Da uno sbuffare rassegnato, vide alla sua destra un ragazzino dai calzoni grigi e il giacchetto blu studiare con aria sognante le diverse console disposte nella vetrina sui supposti ripiani.
Distinse una nebbiolina di vapore formarsi da sotto il piccolo naso di Charlie, appiccicato al vetro così come i palmi delle mani.
Scuotendo la testa, divertita, vide Andrea comparire da un negozio di fronte dove, ne era sicura, si vendessero prodotti casalinghi.
Assottigliando lo sguardo, lo vide riporre nella sacca quelle che sembravano lamette da barba.
“Ecco perché è sempre liscio come un bebè!” pensò, stupita.
Taylor, comunque, non amava particolarmente le persone barbute.
« Vieni con me! ».
La castana non ebbe occasione di capire cosa stesse succedendo, che si ritrovò davanti a un negozio di cosmetici, scortata a braccetto da Elan.
« Quel rossetto si abbina alla stra grande con l’abito nero che ho tolto dal manichino del “La Galanterie” » disse, agguantando la testa di Taylor per girarla verso il negozio di abbigliamento in cui era stata.
« E io » fece per domandare lei, però Elan la interruppe.
« Vedi questo chiavistello? Bene, hai con te l’arnese giusto per scassinarlo ».
“Ah già, il piede di porco” pensò Taylor, osservandolo.
« Ma Elan, a che ti servono i trucchi quando siamo in bilico sul filo della morte? » le chiese.
« Quanto sei melodrammatica! » commentò incredula l’altra.
« Dico sul serio. Che ci devi fare? ».
« E tu cosa ci fai con i libri? Te li mangi? ».
« Va bene, ma in cambio spazzerai tu le camere, domani » si convinse Taylor, ridacchiando.
« Mmh… affare fatto, socia! » disse Elan, dandole un’affettuosa pacca sul sedere.
Senza smettere di ridere, Taylor portò la parte acuminata del piede di porco sul chiavistello, facendolo scorrere fino a percepire la congiuntura della porta di alluminio bianca. Aveva forzato così tante serrature che avrebbe potuto farlo a occhi chiusi.
Il suo stomaco si sgonfiò da tutta la negatività accumulata prima, riempiendosi invece di una contagiosa allegria. Elan era semplicemente strepitosa. Era incredibile come riuscisse a farla sorridere, anche nelle giornate in cui si vorrebbe fare di tutto eccetto quello.
« Jeff ha preso il balsamo per capelli, vero? » fece all’improvviso, come se fosse la cosa più importante del mondo.
« Non saprei… » rispose Taylor, iniziando a fare leva sullo strumento.
Sconvolta, Elan corse lungo il marciapiede biascicando qualcosa come “fa sì che la porta sia già spalancata, al mio ritorno!”.
Roteando gli occhi verso il cielo lievemente schiarito, Taylor spinse sulle gambe per adempiere in fretta alla sua richiesta.
Presto, però, si rese conto di quanto il chiavistello fosse duro da rimuovere. Ma non si arrese, tirando con più forza.
Nel frattempo ripensò al piano di Jeff: quella mattina si erano procurati le scorte secondarie; per le primarie, ovvero il cibo, aveva accennato loro di un posto in cui ne avrebbero trovato in quantità. Probabilmente li avrebbe condotti lì il giorno successivo perché il sole finora pareva essere timido, nascosto tra le insidiose nuvole, e non era saggio avventurarsi in un’altra città viste le spiacevoli circostanze trascorse precedentemente.
Quasi come se avesse visto un fantasma, Taylor cacciò un urlo mollando il piede di porco.
Nel riflesso della vetrina c’era Charlie. Portandosi una mano al petto per tranquillizzarsi, lo vide camminare tra le vetture parcheggiate dall’altro lato della strada, esaminando l’interno di ciascuna.
« Vuoi rubarne una? » gli domandò la ragazza, abbassandosi per recuperare il piede di porco.
« Come? Ah. No, non esattamente » si voltò il castano, lo scudo che strusciò contro lo sportello di una Polo dai finestrini ridotti in mille pezzi. « Cercavo delle chewing gum ».
« Ci sono le tabaccherie, per questo! ».
« Lo so, ma non voglio masticarle. Mi servono già aperte ».
« Fammi indovinare… » disse Taylor, assumendo un’aria pensierosa. « È per una nuova invenzione, vero? »
« Esatto! » affermò lui, rimettendosi alla ricerca.
Taylor, posizionando il piede di porco sul nemico giurato di tutti i ladri, sorrise al pensiero di dover assistere, o subire, un futuro scherzo marcato Phinar Quaggen.
Tuttavia, quello che osservò nel riflesso la fece irrigidire: Charlie aveva aperto una portiera dal vetro oscurato ed era caduto a terra, spaventato. Uno zombie stava seduto al volante.
Il cervello della ragazza visualizzò tutti i dettagli di quello, a partire dagli occhiali squadrati che portava sul naso insanguinato. Aveva i sottili capelli neri spiaccicati sul cranio, come se li avesse appena lavati; segni di denti incidevano un suo orecchio e il collo, il quale era visibile dal basso colletto della camicia strappata che indossava sullo scarno busto.
Le pupille dei suoi occhi si allargarono rapidamente quando si soffermarono sulla giovane preda.
Inorridita, Taylor lo vide voltarsi e schiudere le labbra, benché fossero incollate sulla mascella e sulla mandibola. Un rauco mugugno scaturì da esse, terrorizzando ancora più Charlie che non riusciva a muovere un singolo muscolo, nemmeno per afferrare la canna di bambù che gli distava tre metri.
In un istante, l’essere uscì dal veicolo, lo sguardo affamato fisso su di lui.
Deglutendo a fatica, Taylor sentì le forze scivolarle via. I suoi piedi non collaboravano, sembrava come se avessero messo le radici.
« No! Devo aiutarlo! » urlò, provando ad alzare almeno le braccia.
Nulla. Il suo corpo non rispondeva ai comandi. L’unica cosa che era in grado di fare era guardare. Ma non poteva lasciarlo morire, non se lo sarebbe mai perdonato.
Proprio quando l’essere si piegò verso Charlie, che aveva strizzato gli occhi arreso all’idea che per lui fosse giunta la fine, Taylor riprese il controllo.
Staccò un piede, poi l’altro e si lanciò da lui.
Tuttavia, qualcuno l’aveva preceduta perché un suono netto di ossa frantumate riecheggiò tetro tra i palazzi circostanti.
Charlie ansimò, distinguendo l’orrenda bocca del morto vivente a un palmo dal suo fianco destro. Sollevando lo sguardo, soffocò uno strillo vedendo il corpo privo di testa ciondolare pericolosamente in avanti. Strisciò subito all’indietro, l’espressione rabbrividita che regnava sul suo viso solitamente radioso.
Taylor tirò un respiro di sollievo: era stato Andrea.
« Il Magrissimo deve stare attento a quello che fa, o finirà tra i loro denti marci! » disse lui, acido, scoccandogli un’occhiata di rimprovero.
Charlie, la mano che tremava nell’intento di riprendere il suo teaser, mosse su e giù la testa riccioluta.
Il biondo, portando l’ascia sulla spalla, guardò superficialmente Taylor per poi girare sui tacchi e insinuarsi in un vicolo.
Lei, percossa da un brivido freddo, si affrettò a raggiungere Charlie, aiutandolo a rialzarsi.
« Tutto okay? » gli chiese.
« S-sì » rispose lui, distogliendo lo sguardo dalla testa dello zombie. « Credo che avrei dovuto seguire il tuo suggerimento. Sai, la tabaccheria »
« Non ci pensare » sussurrò lei, aggiustandogli il cappuccio blu. « Ti porto da Jeff? ».
« No, grazie. So la strada » rifiutò Charlie, sorridendole.
« D’accordo. Io vado a ripescare Elan, sostituiremo la familiare con una macchina più veloce » terminò Taylor, stringendosi il nodo della coda.
La Lancia no, troppo da mamma. La Ford Fiesta neanche, avendo il “muso” schiacciato. Letteralmente: il macigno del pilastro di un palazzo l’aveva deformata in una buffa sottiletta blu.
C’era vasta scelta, ma scarsa fiducia sulla resistenza da parte delle due ragazze.
Si stavano aggirando nel parcheggio di un supermercato al limitare del quartiere, dove i ragazzi stavano ancora raccogliendo quello che volevano.
« Questa ha le ruote bucate » disse sconsolata Taylor, tirando un calcio sulla ruota dell’Audi nera.
« Come il mio cuore » mormorò Elan, strusciando con aria nostalgica la mano sulla carrozzeria di una Kia verde prato.
« Cosa? ».
« Nulla, lascia stare. Che ne pensi di quel Suv? » suggerì Elan, stirando un sorriso finto.
C’era qualcosa che non andava. Taylor se lo sentiva, lo capiva dallo sguardo triste dell’altra.
« Elan… che succede? » disse piano, avvicinandosi a lei.
Elan sembrò esitare, allontanandosi per mostrarle la macchina grigia citata.
« Allora? » proseguì Taylor, iniziando a preoccuparsi.
« È messa bene, credo che con questa cacceremo fuoco sulla strada » espose la mora, ignorandola.
« Cosa intendevi con “come il mio cuore”? » insisté Taylor, posandole una mano sulla spalla fasciata dal top giallo ocra.
Elan si passò le mani tra le ciocche mosse, mandandole dietro le orecchie con un sospiro afflitto: « Stavo ripensando alla domanda che ci avevi posto l’altra sera, al falò ».
Taylor corrugò la fronte, riflettendo. Poi le tornò vivido nella mente il volto dispiaciuto dell’amica che si era rifiutata di condividere la sua esperienza, rivelando di non esserne in grado.
« Scusa, io non volevo ferir-» ma Elan le fece segno di ascoltarla.
« No, tu non c’entri. Sono stata debole. Non l’ho sottratta in tempo » aggiunse sottovoce, incrociando i suoi occhi.
“Sottratta?” si chiese Taylor, confusa.
« Stavo andando a scuola quando il telegiornale aveva annunciato l’arrivo degli infetti a Sacramento, per prendere Hugan, la mia sorellina di sei anni » proseguì Elan, gli occhi che luccicarono nel pronunciare il nome.
« Sono corsa tra i corridoi, in cerca della sua classe. Speravo fosse illesa dato che fuori era esploso il finimondo, e fortunatamente lo era. » sorrise.
« Le raccontai velocemente che dovevamo andarcene, che avremmo cambiato città acquistando i biglietti in aeroporto per l’Africa, dove i nostri genitori erano andati in vacanza. Quindi le presi la mano e la incitai a correre più forte che poteva. Arrivammo in un padiglione ma ci fermammo subito dopo, quando mi accorsi che una maestra si stava mutando, cosa che fece urlare Hugan. L’essere era incompleto, per questo non ci venne addosso. »
Taylor le fece cenno di continuare, rapita dalle sue parole.
« Era pericoloso per entrambe uscire dalla scuola, così le chiesi dove fosse la mensa e ci andammo. La tranquillizzai quando sentimmo i ruggiti farsi più intensi, promettendole che ci saremmo salvate. Le asciugai le lacrime chiedendole se sarebbe potuta rimanere sullo stipite e avvisarmi se avesse visto gli zombie avvicinarsi, mentre io trascinavo i banchi per barricare le due doppie porte. Tuttavia, quando mi voltai lei era sparita. » disse in tono straziato, distogliendo lo sguardo da Taylor.
« La sentii urlare nel corridoio. Lasciai stare il banco, precipitandomi fuori. Quello che vidi non lo dimenticherò mai: quattro morti viventi l’avevano intrappolata, mordendola senza pietà sulle mani, sul collo, sulle gambe…
Me la stavano uccidendo, se ne stavano nutrendo. Ed io ero lì, le lacrime che mi bagnavano il mento per l’incredulità, per l’incapacità di comprendere ciò che stava succedendo. »
Taylor era sempre stata una persona empatica e sentire una cosa del genere la fece rattristare a sua volta, come se fosse stata lei a viverlo.
« Mi chiamò, chiedendomi scusa, che non voleva allontanarsi. Ma è una bambina, Taylor. I bambini sono curiosi e incoscienti del pericolo. E fu questo a farmi sentire in colpa. Avrei dovuto tenerla d’occhio, starle vicino. Non scappare via, attirando l’attenzione di una Jeep che si faceva spazio tra gli infetti. » si lamentò Elan, riferendosi a Jeff. « Sono una pessima sorella maggiore »
« No » disse Taylor, abbracciandola. « Non è vero. È stata una sciagura, solo una sciagura. Tu hai fatto del tuo meglio e sono sicura che anche Hugan lo sapesse »
Taylor sentì le braccia di Elan stringerla forte, mentre affondava il viso sulla sua scapola. Capì che si stesse sfogando nel momento in cui la sua pelle venne a contatto con l’umidità del suo pianto silenzioso.
« Mi manca… » mormorò debolmente Elan, pochi secondi dopo.
« Sono certa che ti starà guardando, da lassù » disse Taylor, rassicurandola.
« Grazie » disse Elan, staccandosi. « Per avermi ascoltata » completò, piegando un lato della bocca in un flebile sorriso .
« Figurati. Ora andiamo a casa e innaffiamo quelle splendide piante che hai portato » la invitò Taylor, per poi afferrare il walkie-talkie.
Elan annuì, accostandosi alla maniglia del posto del passeggero del Suv, scoprendo che era aperta.
Taylor comunicò al gruppo che avrebbero fatto ritorno all’Area Protetta, sapendo che Elan non fosse più in vena di combattere.
Chiuse lo sportello e mise in moto, intrecciando i fili al di sotto del cruscotto.
Senza proferire alcuna parola, uscirono dal parcheggio e proseguirono dritto. Taylor non aveva mai guidato una macchina simile prima d’allora.
Tastò il manubrio liscio con cura, tanto da farle salire una scarica di adrenalina.
Di zombie non ve ne fu traccia, forse perché il sole si era finalmente deciso a gettare i suoi lunghi raggi.
Inspirando, Taylor gettò un’occhiata a Elan: stava appoggiata al finestrino, lo sguardo perso nel vuoto.
La castana si sentì in dovere di rallegrarla, in qualche modo.
Poi vide lo stereo e tutti i suoi incessanti pensieri sfumarono.
L’accese, girando la rotellina della stazione finché non ne trovò una funzionante.
« Oh, Bars and Melody. Amo questi ragazzi! » esclamò, aumentando il volume e suscitando al tempo stesso la curiosità di Elan.
« Cause I’m hopeful, yes I am hopeful for today! » canticchiò Taylor, oscillandosi a destra e a sinistra e andando a ritmo del ritornello. « Avanti. So che la sai! »
Elan si raddrizzò, biascicando qualcosa che suonava come un “va bene” poco convinto. « Take this music and use it »
« Let it take you away » fece Taylor, dandole una spinta giocosa al braccio.
« And be hopeful, hopeful and He’ll make a way » aggiunse Elan, con una smorfia incredula.
« I know It ain’t easy but, that’s okay. Just be hopefuuuull » fecero all’unisono, scoppiando in seguito in una fragorosa risata spensierata.
Angolo Autrice:
Mai lasciare i finestrini aperti, che vi sia da lezione!
Scherzi a parte, le due se la sono vista davvero brutta, menomale che Elan ha sistemato le cose con i suoi incredibili pugnali.
Vi è piaciuto il combattimento avvenuto fuori la ferramenta?
Jeff li ha addestrati davvero bene, a quanto pare. Anche lui comunque ci da dentro!
Andrea continua a fare lo sbruffone, ma abbiamo visto che sta sempre accanto a Taylor, la quale nonostante sia stanca del suo atteggiamento, non nega di piacergli. Secondo voi ci sarà una svolta?
Charlie ha capito tutto, o ha davvero bisogno degli occhiali? Be', forse farebbe bene a stare più attento con gli sportelli delle macchine, se non vuole diventare il pasto di uno zombie.
E, come ripete quest’ultimo, termino l’angolo autrice. PASSO E CHIUDO!
(Prima però, ringrazio Alyssa_Dream per aver revisionato anche questi due capitoli!
Un’ ultima cosa e poi evaporo: la canzone che ho menzionato alla fine si chiama Hopeful, tratta di antibullismo ma pensavo comunque che il ritornello fosse adatto al contesto, sul fatto di sperare.
L’ho conosciuta grazie alla mia migliore amica, che mi fa sempre scoprire nuovi generi, selvaggia28 )
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