XX - Reckoner
Video: Radiohead
Il grigio piombo della nebbia era un tutt'uno con l'acqua e dalla massicciata non si riusciva a scorgere oltre il metro di distanza dalla riva.
Carlo Di Noto detestava il lago di Viverone, specialmente in inverno e specialmente nei giorni feriali. La zona designata per l'appuntamento era per giunta isolata, in particolar modo nei lunedì mattina freddi e umidi. Cazzo, Maura doveva saperlo che dopo gli omicidi era diventato sospettoso, irascibile e vagamente agorafobico. Si sentiva al sicuro solo in casa o nei luoghi che riteneva famigliari. Le zone sperdute come quella, poi, non gli erano per nulla gradite, ma il messaggio su Whatsapp forniva quelle inequivocabili coordinate.
"Ciao. Sono Maura. Ti scrivo dal nuovo numero. Memorizzalo, poi ti spiego. Al lago, zona Anzasco-Masseria, alle otto e mezza del mattino. Non sulla passeggiata ma verso le palafitte dove c'è lo spazio per parcheggiare. Hai presente? Ti devo parlare e ti devo... :-)"
Era stato il secondo "ti devo" e la faccina che lo avevano convinto. Maura era sempre molto fantasiosa e vorace e il solo pensiero su cosa avrebbero potuto significare quei puntini gli faceva gonfiare il basso ventre.
Maura. Se Federica avesse avuto la metà della foga di Maura, probabilmente non si sarebbe mai avventurato in quella storia così sordida. Erano sei mesi che si andava avanti così, tra incontri negli orari più assurdi e amplessi al limite dell'acrobazia. Non aveva più l'età per quelle cose, ma ritrovarsi a sessant'anni con una come quella tra le mani era una sensazione meravigliosa. Lui era sempre stato un calcolatore, "un computista contabile naturale" lo definiva un suo amico. Lei, invece, con i suoi quarantacinque e quella voglia di vivere era capace di fargli provare ciò che sua moglie non gli aveva mai fatto assaporare in trent'anni di matrimonio. In conclusione, era stato tentato di declinare, ma non era riuscito a resistere alla tentazione nonostante la paura.
Guardò l'ora sul cellulare. Le otto e mezza in punto. Solitamente lei era sempre in anticipo di qualche minuto. Aveva provato a chiamarla sul nuovo numero di cellulare, che risultava spento. Quello vecchio aveva invece squillato a vuoto per un minuto circa. Nulla di cui allarmarsi: era normale per Maura. Al mattino non rispondeva mai.
Sebbene la faccenda del numero nuovo, e ci aveva pensato lungo tutto il viaggio da Ivrea a Viverone, risultasse comunque piuttosto strana a un'attenta riflessione. Perché ha cambiato numero? si continuava a chiedere Carlo. D'altronde nessuno era a conoscenza della sua storia con Maura, perciò il messaggio non poteva essere che suo.
Si sedette su un masso accanto alla sua auto. Se fossero arrivati in ritardo in ufficio non ci sarebbero stati problemi. Lei era la sua segretaria e nessuno avrebbe avuto nulla da ridire se avessero raccontato di essere andati a prendere un caffè al bar insieme il lunedì mattina prima di iniziare una nuova settimana di lavoro.
Le otto e trentacinque. Strano. Sempre più strano. Carlo era un uomo piuttosto riflessivo e incline alle congetture. Un cambio di numero e un ritardo del genere erano davvero troppo per lui. Nonostante la sicurezza sul fatto che nessuno avrebbe potuto sfruttare la sua storia con Maura per tendergli un agguato, il dubbio si fece strada nei suoi pensieri. Prima Franco e poi Gualtiero, e ora, forse, sarebbe toccato a lui?
No. Non poteva rimanere lì. Si sarebbe scusato con Maura, le avrebbe portato un mazzo di rose, ma i rischi erano troppo alti e non si sentiva più né rilassato e neanche al sicuro.
Si rialzò velocemente e fece per aprire la portiera della sua Mercedes quando sentì dei passi veloci dietro di lui e una mano che lo spingeva contro la vettura. Non riuscì neanche a voltarsi o provare un qualche tipo di emozione. Percepì solamente qualcosa di metallico sfiorargli la tempia e subito dopo un suono esplodergli dentro. Il cervello non fece in tempo a registrare il dolore tanto fu repentino ciò che accadde. Paradossalmente, aveva avuto la morte che aveva sempre desiderato: rapida e indolore.
L'uomo guardò il cadavere della preda davanti a sé. Non aveva più commesso gli errori della precedente esecuzione, quella del Berardi. Era stato veloce e efficace. Non aveva nessun interesse a far soffrire la propria vittima. Il sadismo era inutile e controproducente. Ora avrebbe avuto tutto il tempo di caricare il cadavere sulla sua macchina e portarlo in un luogo sicuro. Ci avrebbe pensato la sera, con calma, a lavorarlo. L'unico problema era l'auto che sarebbe rimasta lì sotto gli occhi degli eventuali passanti. Andò dietro i cespugli dove aveva atteso l'arrivo di Di Noto e prese un secchio, una scopa e un telo plastificato che aveva nascosto lì dietro. Doveva fare tutto molto in fretta, sebbene la nebbia fitta lo stesse favorendo. Fece rotolare il cadavere lì sopra e iniziò a tirare. La sua auto era subito dietro i cespugli, in un piccolo spazio adiacente. Caricò con non poca fatica il cadavere sull'auto e lo coprì con un telo. Tutta la vettura era stata ricoperta di nylon in modo da non lasciare residui. Tornò accanto all'auto di Di Noto, afferrò il secchio e lo riempì con l'acqua del lago e poi lo gettò contro l'auto. Ripeté l'operazione quattro o cinque volte. I pochi residui di sangue sull'auto scivolarono via insieme alle tracce sul terreno sabbioso. A un esame approfondito ovviamente le tracce sarebbero saltate fuori, ma l'intento era di non lasciare residui visibili a qualche passante che si fosse trovato lì nelle ore successive, non quello di eliminare ogni traccia microscopica.
Con la scopa fece in modo di eliminare dalla vista dell'osservatore casuale la sabbia inzuppata del sangue di Carlo. Aveva anche pensato di rimuovere la targa, ma poteva risultare sospetto per un passante occasionale. Chiuse invece a chiave la Mercedes in modo da dare l'apparenza di un'auto parcheggiata e se le infilò in tasca. Non avrebbe commesso l'errore di lanciarle nel lago e esporsi a un potenziale ritrovamento. Salì sulla propria auto. Bene. Ora avrebbe portato Di Noto nel posto più sicuro del mondo. E poi la sera sarebbe arrivata la parte più difficile.
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Porta Susa rappresenta la camaleontica trasformazione di Torino quasi più di ogni altra zona della città. Più di San Salvario, più di Via Lagrange, più delle vie che serpeggiano sotto la Mole. La stazione fino a qualche anno fa era fatiscente, decadente nel suo squallore e vetusta. Ora era splendente, sotterranea e assolutamente moderna.
Veronica Kendall scese dal treno più nervosa di quando era partita. Torino non le piaceva, sebbene avesse visto solo i luoghi intorno alla stazione. Ivrea non le piaceva, così provinciale e racchiusa nelle sue tradizioni. E non le piaceva neanche il fatto di trovarsi Cossa a pochi metri da lei. Nonostante il freddo, il poliziotto di Ivrea aveva la camicia aperta a mostrare il suo petto muscoloso. L'immancabile chewing gum in bocca e gli occhiali a specchio gli donavano quell'aria da macho italiano che Veronica tanto detestava. Per qualche secondo sperò che fosse lì ad attendere una sua parente o una amante in cerca di emozioni piuttosto a buon mercato.
«Signorina Kendall, da questa parte...»
Shit, pensò probabilmente ad alta voce.
«Cossa, che piacere vederla...» mentì spudoratamente.
«Il piacere è tutto mio, signorina. Mi segua per cortesia. Ho l'ordine di accompagnarla io a Ivrea.»
«Veramente aspetto Viktor a Ivrea, io.»
«No, signorina, cambio di programma. La accompagno io ad Ivrea. Ordini del commissario Vincenzi.»
Veronica si irrigidì nel proprio piumino. Il cappotto bianco era rimasto a Roma insieme a Mark. Le piangeva il cuore a partire, ma non poteva fare altrimenti. E se Cossa fosse stato coinvolto con la faccenda dell'Arancere? Sicuramente non era lui sul treno: quell'uomo era alto, magro e slanciato. Cossa era di altezza media e massiccio.
«Io...Io vorrei sentire prima Viktor se non le spiace.»
«Cena è impegnato in un interrogatorio questa mattina.»
«Chi sta interrogando se lui è a Ivrea solo per fare infiltrato?» chiese sospettosa Veronica, sempre più rigida sulla banchina della stazione.
Cossa la guardò sbalordito. Evidentemente non si aspettava una tale ritrosia.
«Signorina, se non vuole la mia compagnia la faccio parlare con il commissario.»
«Sì, per favore.»
Cossa prese il cellulare scuotendo la testa e compose un numero.
«Pronto, commissario? La Kendall vuole parlare con lei.»
Attese la risposta e poi passò il telefono a Veronica. Dal canto suo quest'ultima non si mosse da dove si trovava e semplicemente afferrò il telefono portandoselo all'orecchio.
«Signorina Kendall, come va?»
Era indubbiamente il commissario Vincenzi. Veronica tirò un sospiro di sollievo.
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Vincenzi premette il tasto sul cellulare per chiudere la chiamata.
«Molto strana la signorina Kendall. Sembrava non volesse viaggiare con il nostro agente Cossa.»
Verruca da un lato della stanza, seduto al PC si lasciò sfuggire una risatina.
«Per forza. Vorrà convincerla ad andare a cena con lui stasera.»
«In realtà aspettava che il nostro "eroe" andasse a recuperarla alla stazione di Ivrea, non è vero Cena?»
Viktor era rimasto tutta la notte al commissariato. Aveva ripetuto per ben quattro volte la sequenza dei fatti a Masino. Il commissario era furioso per la sua condotta mentre Cena era sull'orlo della follia.
Si sentì bussare alla porta dell'ufficio del commissario. Entrò un agente che confabulò con Vincenzi brevemente. Al termine del colloquio, il commissario si andò a sedere al suo posto.
«Hanno tirato fuori la vettura dal Naviglio. Non c'era nessuno sopra. Probabilmente il corpo è stato trascinato via dalla corrente. Ma in ogni caso i miei agenti stanno perlustrando la zona. Abbiamo anche la verifica della targa. Ovviamente l'auto risulta essere stata rubata ieri mattina a Ivrea.»
«Questo le dovrebbe dar da pensare, commissario. Vuol dire che tutto era stato pianificato. E che mi stavano seguendo.»
«Su questo non c'è alcun dubbio. Come non c'è dubbio sul suo comportamento di questa notte e sul fatto che lei è minacciato.»
Non solo io, pensò Cena in riferimento a quanto accaduto a Veronica il giorno prima.
«Sì ma torniamo al punto principale commissario. Chi mi minaccia? L'Arancere? E perché dovrebbe farlo?»
«Per colpire noi tutti, Cena. Tutta l'indagine. Ha scoperto la sua presenza nello Stato Maggiore e vuole eliminarla»
Vincenzi si appoggiò alla scrivania. Era stanco anche lui. Lo si vedeva dalle occhiaie.
«Lei si sarà reso conto delle difficoltà che stiamo vivendo con questa indagine, suppongo.»
A Viktor scappò un sorriso beffardo.
«Difficoltà è un eufemismo. State facendo un casino della malora.»
Vincenzi sorrise a sua volta.
«Non esageriamo. Ha potuto saggiare la totale mancanza di tracce e l'incredibile dedalo di avvenimenti. La dottoressa Kendall si troverà parecchio lavoro da fare. Occorre rivedere il profilo dell'assassino alla luce degli ultimi avvenimenti.»
«Lei non mi ascolta, commissario. Io non sono sicuro di chi mi ha seguito nel labirinto. Per quanto mi riguarda poteva essere chiunque, anche non legato a questa indagine.»
«Senz'altro, Cena. Ma potrebbe anche essere stato l'Arancere. E in quel caso dobbiamo vagliare tutte le ipotesi a nostra disposizione. Ora vada a casa. Ha bisogno di riposare. È sollevato da ogni incarico per quest'oggi.»
«Commissario...»
«Cena. Un'altra cosa. Lei discute i miei ordini troppo spesso. Informerò io Tosin e le assicuro che faremo una bella e lunga chiacchierata. Se ne vada, per cortesia. Subito.»
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L'uomo lo guardava negli occhi. Lo vedeva dalla finestra del suo appartamento, in mezzo a Via Arduino, sotto la pioggia, l'acqua che gocciolava dal cappuccio. Era lui e lo stava cercando. Viktor cercò la pistola per tutta la stanza ma non la trovava. E intanto l'uomo era sempre lì a osservarlo. Ora l'uomo stava alzando una mano verso il proprio orecchio, lentamente. Nello stesso istante il proprio cellulare iniziò a suonare. L'uomo lo stava chiamando e il suono del cellulare gli stava esplodendo nella testa.
Viktor allungò la mano verso il comodino. Cercò di rispondere ma lo smartphone era in modalità aereo. Erano le diciannove, ma il suono continuava a pervadere l'appartamento. Si rese allora conto che era il campanello dell'ingresso a suonare.
«Un secondo» urlò mentre cercava i jeans che aveva lasciato in sala.
Gli sovvennero gli eventi della sera precedente e recuperò la pistola d'ordinanza, poi si avvicinò alla porta.
«Chi è?»
«Sono Veronica. Veronica Kendall» sentì rispondere dall'altra parte.
Aprì la porta.
«Ciao.»
«Mi han detto che tu geloso della mia avventura. Come stai?»
«Bene. Ho dormito un sacco. Entra.»
La fece accomodare sul divano e poi Viktor si guardò intorno smarrito.
«Veronica. Mi sa che non ho niente da offrirti.»
«Oh, don't worry. Sono passata per te. Io ero preoccupata.»
«Per me? Beh ti ringrazio.»
Veronica lo guardò sorpresa e poi le scappò un sorriso.
«Oh men... Tutti uguali. Preoccupato per tua salute e per tuo incontro. Viktor, tranquillizzati.»
«Seee» rispose Viktor sorridendo mentre andava a guardare fuori dalla finestra.
L'uomo con il cappuccio era proprio dall'altra parte della strada, quasi come nel sogno.
«È lui, Veronica. È in strada.»
«No aspetta, Viktor...»
«Non ti muovere Veronica...»
«Viktor...»
Non la sentì neanche. Con la pistola in mano uscì dall'appartamento e scese le scale di corsa. Arrivò alla porta che dava verso Via Arduino e si fermò. Sentì Veronica che stava facendo rimbombare il suo nome per tutto l'androne del palazzo. Contò uno, due e tre e poi uscì di corsa.
L'uomo con il cappuccio non fece in tempo a reagire in alcun modo. Viktor lo afferrò per la gola e lo trascinò a terra. Gli abbassò il cappuccio per guardarlo in faccia.
«Ma che fai, minchione. Lasciami la gola che mi soffochi.»
Il volto magro di Loiacono era stravolto dallo stupore.
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