XV - Sign O' the times

Video: Cover dei Muse.

È che in fondo si trattava solo di ricondurre tutto a un pensiero razionale. Esatto, si ripeteva tra sé e sé, era senza dubbio la cosa giusta da fare. Recuperare il filo delle idee che stavano scappando via come un palloncino, riportarle in un ignobile appartamento dislocato su per una stupida via di una stupida città e cercare di far smettere di parlare i tre personaggi che, a vanvera, disquisivano sul da farsi da almeno mezz'ora.

«Commissario Vincenzi, ma si rende conto della gravità di quanto accaduto questa sera? Lei come potrebbe definire questo "regalino"?»

Tosin era di certo fuori di sé. Viktor lo vedeva inalberarsi, diretto e sanguigno come sempre. La minaccia velata a un agente di polizia da parte di un'organizzazione di stampo mafioso, è quanto di più difficile da gestire e combattere. Non è solo la salvaguardia dell'elemento a essere messa in gioco, ma la struttura stessa di tutto il dipartimento, a causa della sequenza di misure e contromisure che la questione mette in moto. A peggiorare il quadro ci si stava mettendo Vincenzi che stava tentando di minimizzare l'accaduto.

«Tosin, mi rendo conto della problematica, ma vorrei darle la giusta dimensione. Comunque ho già avvertito il signor sindaco della...»

«Il sindaco? Ma è impazzito per caso? Un mio agente, già minacciato, riceve un cesto che richiama la Sicilia, il riferimento diretto all'operazione sfumata qualche mese fa con, in aggiunta, i saluti di un sospetto capomafia e di un killer. E voi andate dal sindaco? Ma chi se ne frega del sindaco, Vincenzi. Ma che sta dicendo...»

«Commissario Tosin. Non so se si rende conto delle implicazioni che potrebbe comportare l'ombra di un'infiltrazione mafiosa in questa operazione.»

«Mi scusi, ma che cosa ritiene che possa fare il sindaco di questa cittadina?»

«Scusate. Scusatemi se intervengo nella diatriba, commissario.» interloquì Claudio Belleri visibilmente scosso «Questa cittadina tra pochi giorni si troverà a gestire un evento che è alla base dell'economia e della sopravvivenza della comunità. Abbiamo due omicidi e, adesso, la minaccia a un agente. La polizia è tenuta a riferire al sindaco di questa ulteriore novità. Anzi, ci sta aspettando in municipio proprio ora.»

Tosin trattenne a stento la rabbia che stava crescendo in lui.

«State veramente dicendo che volete andare a riferire al sindaco di una città di qualche decina di migliaia di persone, gli sviluppi di un'indagine che mira a smascherare e arrestare i componenti di una delle più inafferrabili cosche mafiose? Devo davvero ricordarvi il segreto istruttorio?»

Vincenzi assunse un tono indignato.

«E lei davvero crede che andremo a riferire i particolari dell'indagine?»

Belleri cercò nuovamente di placare gli animi.

«Commissario, le assicuro che...»

«Vado io a riferire al sindaco.»

La frase gli era uscita da sola, non l'aveva neanche pensata. Viktor Cena era uscito dallo stato confusionale in cui era precipitato e aveva riafferrato il filo del palloncino.

«Smettila, Cena. Tu domani torni a Torino.»

«Mi scusi commissario Tosin, ma io vorrei continuare l'operazione qui. E vado io dal sindaco, se permette.»

«Ma che cazzo dici, Viktor. Dai i numeri?» esclamò Belleri che non riusciva più a contenere la tensione.

«Non hai detto tu che la polizia deve riferire al sindaco? Bene. Io sono il diretto interessato. Se non vogliamo far troppo rumore è meglio che vadano le seconde linee a esporre il caso. Con le dovute censure.»

Tosin si sedette pesantemente sulla sedia della cucina. Era corso immediatamente da Torino fino a Ivrea subito dopo la telefonata. Non poteva permettere che un suo uomo corresse dei rischi così grossi e, in particolare, non poteva permettere che quell'uomo fosse Cena.

«Viktor, ragiona un secondo per favore. Quei vigliacchi ti hanno trovato, non è uno scherzo. Stai rischiando la pelle» disse quasi sottovoce, non accorgendosi che era passato al tu che usava solo quando erano soli.

«Io non scappo più. E vado io a riferire al sindaco. È la cosa migliore da fare. Se andate voi rischiamo di creare molto rumore intorno a questo episodio. Se vado io, la faccenda assume un tono più dimesso.»

I tre uomini tacquero. Viktor si alzò e andò in camera. Ne uscì con la fondina ascellare con infilata la pistola d'ordinanza e la indossò sopra la camicia.

«Io non scappo più. Rimarrò qui e porterò a termine l'operazione. Anche se il posto mi fa schifo. Io resto. Vogliono venire a prendermi? Bene. Se Caruso o Manzanera hanno tempo da perdere li aspetto. Nel frattempo proseguo con il mio lavoro» continuò osservando l'arma e provando a estrarla, poi si voltò verso i tre personaggi sbigottiti:

«Fosse l'ultima cosa che faccio.»

Prese una giacca che aveva sopra una sedia e se la infilò, sempre guardandosi allo specchio. Tosin sapeva bene che era inutile intervenire. E a dire il vero gli stava piacendo la reazione di Viktor.

«Vado dal sindaco» concluse Cena.

Il Commissario Vincenzi accompagnò Viktor per un breve tratto verso il municipio in Piazza di Città.

«Io amo molto passeggiare in questa città, lo sa?»

Probabilmente voleva rompere un silenzio diventato un po' pesante. Viktor lo lasciò continuare.

«Mi piace Ivrea. Dopo pranzo, in qualunque occasione e con qualunque clima meteorologico, mi avventuro lungo le sue vie. Mi perdo nei miei pensieri e mi rilasso.»

Si fermarono proprio nel punto in cui Via Arduino diventa Piazza Nazionale.

«È sicuro di quello che fa, Cena? Se va in quel municipio accetta implicitamente di continuare le indagini.»

Si guardò intorno. In piazza c'era un po' di gente. Era meglio che proseguisse da solo per evitare di essere visto in compagnia della "pula".

«Sono certo che si tratti della scelta migliore.»

Vincenzi sorrise e spostò lo sguardo verso l'edificio che ospita l'ufficio del sindaco.

«Primo piano. In fondo al corridoio a sinistra.»

Nel corridoio al primo piano le luci erano spente. Il chiarore proveniva dalla luce artificiale della piazza, tranne in fondo, dove le lampade accese dell'ufficio del sindaco invadevano l'oscurità che avvolgeva l'ambiente. A Viktor sembrò di essere precipitato in uno di quei film degli anni trenta in bianco e nero, l'espressionismo tedesco, fatto di ombre, luci e sagome contorte. L'ombra di un uomo andò a stagliarsi di fronte a Viktor. Il bagliore alle sue spalle non permetteva di definirne i lineamenti, tanto che per un attimo Cena fu tentato di portare la mano all'aggeggio che nascondeva sotto la giacca.

«Cena. La stavo aspettando.»

Giulio Solerzi gli si fece incontro per stringergli la mano.

«Piacere di rivederla dottor Cena. Mi scusi per il buio ma qui dopo le nove dobbiamo spegnere tutto. Risparmio energetico. Venga, il mio ufficio come vede è illuminato a giorno.»

L'ufficio del sindaco disponeva di un salottino in un angolo. Viktor fu invitato a sedersi su una delle poltroncine che facevano da contorno a un piccolo tavolo. Solerzi andò dietro alla sua scrivania dove, nascosto in un mobile fine ottocento, era celato un piccolo frigorifero.

«Le posso offrire qualcosa? Ho solo bevande analcoliche. Acqua, succhi vari. Le macchine del caffè sono in corridoio, ma non sono attive a quest'ora.»

«La ringrazio, dottor Solerzi. Un bicchiere d'acqua andrà benissimo.»

«Chiamami Giulio, per favore, sennò sembro tuo nonno.»

«Solo se lei mi chiama Viktor.»

«Affare fatto. Ecco a te l'acqua. E ora dimmi, Viktor. Sono piuttosto preoccupato. Il commissario Vincenzi mi ha accennato brevemente a un problema di criminalità organizzata.»

«Sì, si tratta proprio di questo. C'è stato un piccolo problema, niente più che un contrattempo alla prova dei fatti, una inezia che stiamo valutando e che stiamo cercando di risolvere. Davvero una cosa da poco che riguarda un'indagine di qualche tempo fa coperta da segreto istruttorio. Non ne posso parlare apertamente, ma sono qui per rassicurarti. Non ha nulla a che fare con l'indagine attuale, insomma.»

«Ne siete sicuri? L'Arancere mi sta facendo passare le notti in bianco. Sto cercando di nascondere la preoccupazione a mia moglie ma, sai, è difficile.»

Il riferimento a Chiara lo fece trasalire e il sorriso si trasformò in una smorfia.

«Certo, certo. No, non preoccuparti Giulio. Anche il fatto che ci sia solo io qui dovrebbe rasserenarti.»

Giulio appoggiò la schiena alla poltrona.

«Ufff... Credimi, sono sollevato. Stavo approfittando dell'attesa per aprire la posta che ho in sospeso da settimane sulla scrivania, ma in realtà non riuscivo a leggere nulla. La testa era davvero altrove.»

Un ticchettare di passi fece eco nel corridoio. Giulio assunse un tono sorpreso, guardò l'orologio al suo polso e si portò la mano alla fronte.

«A proposito di testa in altri posti! Me ne sono completamente scordato. Mia moglie mi aspettava per andare a discutere degli ultimi preparativi. I fuochi artificiali, sai... Beh, almeno te la posso presentare. Non sa ancora nulla di te. E nemmeno della lettera, delle minacce. Insomma... Non sa nulla di nulla.»

Viktor venne colto di sorpresa. Si alzò in piedi e andò verso la finestra, dando le spalle alla porta che dava verso il corridoio. Istintivamente si portò la mano ai capelli radi per sistemarseli e poi alla giacca.

«Giulio, cavoli, è mezz'ora che ti aspetto. Ma che ci fai ancora qui?» sentì esclamare dietro di sé.

Chiuse le palpebre e il cuore variò il battito, le mani scesero sul davanzale di fronte a lui.

«Scusami, Chiara. Ero qui con una persona e ho totalmente perso la cognizione del tempo. Viktor, lei è Chiara, mia moglie.»

Viktor Cena si voltò verso la donna che era accanto a Giulio Solerzi. Chiara Girodo Gallo era rimasta bloccata, pietrificata dalla sorpresa. La prima cosa che notò furono i capelli biondi lunghi fino alle spalle. Chiara li aveva sempre portati corti, ma quel look, nuovo per lui, le stava benissimo, anche se curiosamente rimpiccioliva un po' i suoi grandi occhi celesti. Lo sguardo era sempre dolce e curioso, nonostante fosse congelato dallo stupore. Le labbra, che avrebbe voluto baciare e mordere, anche lì, in quel preciso momento, erano coperte da un velo di rossetto, inusuale anch'esso. Un tempo era una ragazza spigliata e diretta. Ora era una donna raffinata. Più che segni del tempo, su di lei vedeva il segno dei tempi che erano cambiati.

«Ciao Chiara» fu tutto ciò che Viktor riuscì a dire.

Chiara lo guardava e non parlava. Giulio li guardava sorridendo e poi iniziò a rendersi conto che qualcosa non stava funzionando per il verso giusto.

«Forse... Forse vi conoscete.»

Chiara riuscì a scuotersi. Girò la testa verso Giulio e gli sorrise.

«Sì. Sì, certo. Io e Viktor siamo vecchi amici. Non lo vedo da anni» disse in modo affrettato dirigendosi verso Viktor. Gli porse la mano.

«Come va, Viktor? Quanto tempo. Che ci fai da queste parti?»

Pronunciò le domande senza alcuna espressione in volto, guardandolo fisso negli occhi.

«Io...»

«Lui farà parte dello Stato Maggiore, pensa un po'.»

Stavolta il volto divenne duro e corrucciato.

«Lui nello Stato Maggiore? È uno scherzo? Lo Stato Maggiore si è insediato alla Befana e il suo nome non c'è.»

«No, effettivamente è un rimpiazzo. Sai, Claudio Belleri è impossibilitato...»

Il volto, da duro, divenne decisamente adirato.

«Di male in peggio. Ma che mi stai raccontando? Quel pallone gonfiato non rinuncerebbe al ruolo neanche in punto di morte. Se è così lo hanno obbligato.»

Solerzi appoggiò le mani sulle spalle della moglie. Quando erano così vicini la differenza d'età era evidente per quanto l'eleganza di Giulio sopperisse allo stato fisico.

«Beh, lascia che ti spieghi... È un po' complicato...»

«Allora se è così complicato spiegamelo tu, Viktor» disse tutto d'un fiato Chiara, scrollandosi di dosso le mani di suo marito e andando a piazzarsi proprio di fronte a lui «che cosa sta succedendo? Perché mio marito mi ha nascosto delle cose? Ma soprattutto... Che cazzo ci fai tu qui?»

Viktor guardò Chiara negli occhi, poi Giulio che gli fece cenno di sì con la testa. Allora cercò dapprima le parole migliori, ma non ce n'erano molte. Per cui scelse la via più breve.

«Io sono un poliziotto e vivo a Torino, adesso. La polizia di Ivrea, Claudio e il commissario Vincenzi, mi hanno chiamato per entrare nello Stato Maggiore. È una sorta di operazione che è finalizzata a smascherare un idiota che si è messo in testa di minacciare il Carnevale e i suoi partecipanti. È una cosa seria. C'era bisogno di qualcuno che non fosse troppo conosciuto. Lo scopo è quello di proteggere i protagonisti, principalmente.»

Chiara sbarrò gli occhi e si portò le mani ai fianchi. Guardò prima Giulio e poi Viktor. Proprio lui sapeva bene cosa stava per accadere. Era furiosa.

«Proteggere, giusto? Come osi, Giulio, nascondermi tutto questo?» tornò a fissare Viktor negli occhi «E tu. Proprio tu. Proteggermi? Non ti si vede per anni e poi torni per... "proteggermi"?»

Viktor abbassò lo sguardo verso terra e poi lo riportò su di lei. Fece cenno di sì con la testa.

Il ceffone lo colpì in pieno volto.

«Stronzo che sei...» gli disse Chiara in un sibilo.

«Ma Chiara, sei impazzita?» esclamò Solerzi.

«Vaffanculo Giulio!» pronunciò Chiara mentre usciva quasi di corsa e in lacrime dalla stanza.

«Chiara, cazzo, ma sei stata orribile...» disse Giulio correndo fuori dalla stanza anch'esso.

Viktor si lasciò crollare sulla sedia di fronte alla scrivania di Giulio. Bel lavoro, Vik, ben fatto. La cinquina te la sei guadagnata.

Si accarezzò la guancia dolente mentre osservava il mucchio di lettere che campeggiava sul piano in noce.

Lettere.

Ripensò a quanto aveva detto Veronica. L'assassino ci tiene alla firma, vuole farsi conoscere.

In quel momento Giulio rientrò nel suo ufficio.

«Scusami, Viktor. Mia moglie è sconvolta. Non capisco. Non ha mai reagito così.»

«Giulio, da quant'è che non apri la posta esattamente?»

Sorpreso, il sindaco guardò la pila di buste che poco prima stava esaminando.

«Ah, beh. Quelle sono lì da settimane. Si tratta di posta secondaria, spesso senza alcuna importanza. Ormai tutti scrivono mail e le comunicazioni ufficiali prendono altre strade. Io poi sono un disastro. Le lascio lì anche mesi.»

Viktor prese un fazzoletto dalla tasca e iniziò a sollevare le buste una a una. 

«Che fai, Viktor? Questa è la sera delle sorprese...»

Senza ascoltarlo, Viktor alzava le buste non ancora aperte, le guardava e le sistemava alla propria destra. Si bloccò alla decima. Era una normale busta per lettere con l'indirizzo e il nome del sindaco scritto con una stampante. Non c'era il mittente e neanche il timbro postale. Prese un tagliacarte.

«Venga qui per cortesia. Tenga il mio telefono e faccia una ripresa della busta e del suo contenuto mentre la apro.»

Giulio, sbigottito, prese lo smartphone e armeggiò con esso qualche istante. 

«Ecco sto riprendendo, ma non capisco...»

«È il quindici febbraio, sono le ventuno e trenta e sono nell'ufficio del sindaco di Ivrea nel municipio della cittadina. Ci sono alcune lettere che il sindaco non ha ancora esaminato. Sono qui da settimane. Apro una busta all'apparenza anonima in presenza del sindaco che sta riprendendo.»

Viktor iniziò a tagliare la busta e poi estrasse il suo contenuto, come aveva fatto qualche ora prima a casa sua con il biglietto del cesto.

«Eccola qui. Ecco la firma» disse alla fine.

«Oh mio Dio. Oh no Dio Santo.»

ECCO LA TESTA DEL SECONDO TIRANNO.

E' GIUNTA L'ORA

LA TESTA AFFIORA

LA MORTE ASSAPORA

LA PREDA IN DORA

ABBASSO LA MUGNAIA, ABBASSO IL GENERALE

VIVA IL CARNEVALE

- L'ARANCERE -

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