XIX - Black Moon
Correre. Tutto ciò che doveva fare era muovere un piede davanti all'altro il più velocemente possibile. Non doveva spostare il baricentro di lato, ma mantenere la posizione centrale, in modo da penetrare meglio l'aria. Falcate non troppo lunghe, ginocchia alte, sbilanciamento in avanti e mani spostate indietro in modo da favorire la spinta.
Correre era l'unica soluzione percorribile e, qualora l'uomo dietro di lui non fosse stato allenato, non ci sarebbe stata gara, non contro di lui.
Correre a zig zag, nel caso in cui al tipo che lo inseguiva fosse venuto in mente di sparargli alle spalle.
Correre veloce, certo. Pur non sapendo dove cazzo stava andando. Ormai era buio ed era luna nuova. Luna nera la chiamava suo padre, imitando la zingara della televisione. Luna nera e non si vedeva un accidenti di niente.
Correre veloce e alla cieca, dunque. Senza pensare. Non doveva pensare a suo padre, al fatto che aveva lasciato a casa la pistola, al destino del cacchio o alla sua stupidità, che gli aveva fatto decidere di fermarsi proprio in un posto dove era così facile essere fatti secchi.
Aveva provato ad afferrare il cellulare che aveva riposto nella tasca del giubbotto, ma la vicinanza del suo inseguitore, il buio e la corsa forsennata non gli permettevano di terminare l'operazione. Perdere qualche secondo poteva voler dire morire.
I passi dietro di lui erano lontani, ma non accennavano a diminuire il ritmo. Poteva sentire i piedi pestare il terreno e poteva riconoscere la punta di un paio di scarpe da runner che grattava la superficie umida. Quello era allenato, preparato e stava tenendo il suo ritmo. Anzi, sembrava recuperarlo. Merda, proprio un killer salutista gli doveva capitare. La maggior parte degli assassini della mafia era sovrappeso, amante dei soldi facili, della bella vita e totalmente allergico all'attività fisica. Se di criminalità organizzata si trattava e invece dietro di lui non ci fosse l'Arancere.
A ogni passo il fiato diventava più corto e il ritmo incerto. La sicurezza, che aveva pervaso la sua partenza lanciata, veniva meno e i dubbi iniziavano a farsi strada nella sua mente oppressa dai sensi innaturalmente amplificati da animale braccato.
D'improvviso il buio venne squarciato e si trovò davanti un'alta siepe a sbarrargli la strada. Si voltò a destra e si ritrovò di fronte un'altra barriera verde. Non capì dov'era finito. Aveva pensato a correre e non si era reso conto di ciò che c'era intorno a lui. L'unica via d'uscita sembrava essere il punto da dove era arrivato, ma da quella parte sentiva avvicinarsi il suo inseguitore. Tornò a guardare verso la siepe e qualche metro alla sua sinistra gli sembrò di scorgere un'apertura tra una cespuglio e l'altro. Immediatamente si gettò in avanti e attraversò quella specie di passaggio trovandosi però di fronte un nuovo muro di arbusti.
Il panico e lo sconforto sembravano prendere il sopravvento, quando fu colto da un'illuminazione. Il labirinto, ecco che cos'era. Era andato a finire nel labirinto del parco. Iniziò a respirare forte per poter ragionare con un minimo di lucidità. Dentro l'aria buona, fuori quella cattiva. Pensare, ragionare, riflettere. Passi che si avvicinavano. Accanto a lui sembravano esserci due passaggi. Corse verso il primo a destra proprio mentre sentì imprecare dietro di sé. Il suo inseguitore si era ritrovato nelle sue medesime condizioni.
Gli occhi si erano abituati un minimo all'oscurità e gli pareva di ricordare che il labirinto era composto, in realtà, da viali lunghi che percorrevano delle ampie curve, ma con poche deviazioni, fatta eccezione per l'ingresso che aveva già superato. Cercò di riportare alla mente le gite al parco di Masino con la scuola e con i suoi. La volta in cui la Passetti e la Meloni si erano perse e la maestra era andata a recuperarle in mezzo al labirinto e loro piangevano. E diceva loro che uscire era facile. Sì, era come pensava e avrebbe funzionato.
Partì nuovamente, ma non volendo inciampare in una delle radici che spuntavano fuori qua e là, aveva rallentato il ritmo della propria corsa. Ce l'avrebbe fatta: l'uscita era proprio a pochi metri da lui e dietro di sé non udiva i passi del suo inseguitore. Da lì avrebbe ripreso il suo passo sospinto e in pochi minuti sarebbe arrivato al parcheggio dove lo aspettava la sua Punto. Avrebbe rimesso in moto e sarebbe partito a razzo verso casa. Avendo messo una certa distanza tra lui e il suo inseguitore, pensò che fosse giunto finalmente il momento per dare l'allarme. Continuava a non sentire i passi del suo inseguitore, probabilmente rimasto incastrato nel labirinto, perciò recuperò dalla tasca il cellulare e cercò il numero di Vincenzi. Fece squillare tre, quattro, cinque volte. Nulla. Sempre correndo cercò il numero di Belleri. Non aveva finito di comporlo che si ritrovò in mezzo a un cespuglio e cadde a terra rovinosamente. La fioca luce del telefono in mezzo alle sterpaglie illuminò una parete verde di fronte a lui. Aveva infilato uno dei pochi corridoi senza uscita del labirinto. Imprecò. Per uscire da lì sarebbe dovuto tornare indietro. Raccolse il cellulare e rifece il numero di Belleri.
«Pronto?»
«Claudio. Sono Viktor. Sono al parco del castello di Masino. Sono inseguito. Sono nel labirinto» disse sottovoce.
«Cena... Cazzo. Arrivo. Prendi tempo. Non farti raggiungere. Corri, scappa. Mando le volanti subito.»
«Fai in fretta.»
Chiuse la chiamata. Sentiero chiuso. Nessuna via d'uscita. Altro che scappare. Si voltò verso il viale che aveva appena percorso. Sentì dei passi avvicinarsi. Il suo cacciatore si era liberato, aveva ritrovato la strada e stava arrivando. Con tutta probabilità aveva anche sentito qualcosa della frase sospirata al telefono. Va bene. Non c'era altra scelta.
Ripose il telefono nella tasca, abbassò la schiena e prese fiato. Contò fino a tre e poi partì con la massima velocità che l'oscurità poteva permettere.
Fece dieci, venti metri e gli parve di vedere di fronte a lui una figura che gli stava correndo incontro. Abbassò la testa, aumentò la velocità e lo colpì in pieno. Entrambi caddero a terra, ma l'uomo che aveva abbattuto era rimasto sorpreso dall'inatteso attacco di Cena. Viktor, invece, scattò in piedi e riprese la sua corsa. Sicuramente il suo inseguitore era armato, ma Viktor era quasi sicuro che non avrebbe sparato a vanvera. Il proiettile destinato a lui sarebbe stato sparato a pochi metri di distanza, quando l'assassino sarebbe stato sicuro di colpirlo. Dietro di lui sentiva i passi del suo persecutore, molto vicini. All'ingresso del labirinto infilò velocemente i passaggi che aveva trovato poco prima e si ritrovò sul viale che portava al parcheggio. Aumentò la velocità correndo il rischio di farsi scoppiare i polmoni e di finire a terra. I passi dietro di lui erano più lontani. L'uomo stava cedendo. In fin dei conti, il suo stato di forma era migliore.
Finalmente davanti a sé trovò le luci del castello. L'ingresso non era stato chiuso e non si vedevano i custodi in giro. Non aveva tempo di soffermarsi sul motivo di quell'assenza. Passò accanto alla Freemont e raggiunse rapidamente la sua Punto. Aprì, salì a bordo e avviò il motore. Non fece tempo a uscire dal parcheggio che di fronte a sé vide passare la Freemont in retromarcia. Questa raggiunse il fondo della strada e poi fece inversione verso la via che scendeva verso Caravino. Viktor rimase qualche secondo indeciso sul da farsi, poi ingranò la prima e partì all'inseguimento.
La strada che scende verso Caravino è stretta, ripida e tortuosa e, per recuperare il terreno perduto nei secondi persi a riflettere, Viktor si vide costretto a spingere al massimo. Terza, seconda, curva. Passò il primo tornante in modo brillante. Terza, quarta. Secondo tornante. Terza, seconda. Troppo veloce. La Punto si sollevò quasi dal terreno e fece per andare in testa coda, ma riuscì a tenerla in strada controsterzando. Giù il piede sull'acceleratore. Seconda, terza, quarta. Proprio in quel momento incrociò una volante della polizia a sirene spiegate. Era l'auto mandata da Belleri. Avrebbe dovuto chiamarlo e avvertirlo di ciò che stava facendo, ma non c'era tempo. All'altezza del terzo tornante vide i fari posteriori della Freemont. Quarta, terza, seconda. Non fece errori. L'auto di fronte a lui aumentò la velocità, probabilmente perché si era accorto di essere inseguito. Seconda, terza, quarta. Stavano andando ai novanta su una strada che permetteva al massimo i cinquanta all'ora. La Freemont oltrepassò l'incrocio che porta a Caravino svoltando a sinistra senza fermarsi. Lo stesso fece Viktor tagliando la strada a una seconda volante della polizia. Ormai si erano inoltrati nelle strette strade del paesino e la velocità sostenuta metteva a rischio le eventuali vetture che avrebbero incrociato. Viktor vide nello specchietto le sirene della polizia che avevano preso a inseguirlo. Bene. L'auto di fronte a lui svoltò a destra facendo inchiodare una vecchia Ford Fiesta che stava per svoltare nella stessa direzione. Viktor cercò di rimanere incollato a lui, ma non sapeva per quanto sarebbe durata. La Freemont ora stava aumentando la velocità e l'inseguimento stava diventando proibitivo. La strada, però, era quella che portava a Strambino e di lì a poco l'uomo che stava inseguendo si sarebbe trovato di fronte una curva a gomito e poi una "S" in corrispondenza del ponte sul Naviglio. In quel momento, tuttavia, lo stava staccando e Viktor ormai vedeva i fari posteriori in lontananza. Iniziò la discesa verso la strada per Strambino e Viktor incrociò le dita. La velocità della Freemont era folle.
Proprio di fronte a lui i fari della Punto illuminarono una grossa nuvola di polvere. Come stava sperando, la Freemont non era riuscita ad approcciare il tornante per la forte velocità e aveva urtato lo steccato di un maneggio con la fiancata. L'auto era ancora scossa dall'urto quando riprese la corsa a tutto gas. Viktor gridò un no guardando l'auto ripartire e percorrere una cinquantina di metri, per poi sfondare il parapetto e compiere un breve salto. L'impatto della Freemont con l'acqua fece alzare un'onda che si riversò sulla strada. L'auto era finita nel Naviglio di Ivrea.
Cena si fermò davanti al maneggio e corse verso il ponte. Un'auto che sopraggiungeva dalla parte opposta si fermò, illuminando con i fari la scena dell'incidente. A Viktor sembrò di vedere un'ombra scivolare fuori dall'acqua e inoltrarsi nel bosco vicino, ma forse era solo l'immaginazione. Giunto in prossimità del bordo, guardò in basso e vide la Freemont inabissarsi lentamente. Cristo Santo. La frustrazione gli fece battere i pugni sul parapetto sfondato del ponte.
Dietro di lui sentì fermarsi la volante della polizia. Claudio Belleri scese dalla vettura.
«Claudio. Era lui. È caduto...»
Non fece in tempo a finire. Un cazzotto lo colpì in pieno volto.
«Brutta testa di cazzo, ma ti rendi conto di cosa poteva succedere a guidare così?»
Viktor si passò una mano sul labbro. Sangue. Guardò Claudio. Ma sì, dai. La tensione era abbastanza alta. Fece partire uno schiaffo che colpì Belleri all'orecchio.
«Benarrivato, ce ne hai messo di tempo per intervenire... Aspettavi che mi facessero fuori?»
Claudio reagì afferrandolo per il giubbotto e cercando di sollevarlo.
«Ascoltami bene, idiota, tu qui sei alle mie...»
Una ginocchiata colpì Belleri al basso ventre, facendogli buttare fuori tutto il fiato che aveva in corpo, per poi chinarsi e lasciare la presa su Viktor che lo afferrò per i capelli.
«Io? Io che cosa sono qui? Sono il tuo schiavo come lo era stato mio padre per il tuo?»
Viktor sentì la mano di Belleri afferrargli il mento.
«Ancora? Ancora questa storia? Quanto vuoi andare avanti, Viktor? Quanto?»
«Se non la finite tutti e due vi sbatto dentro. Giuro che lo faccio!»
Entrambi si voltarono verso la voce che aveva urlato quelle parole. Il commissario Vincenzi li guardava con occhi di fuoco illuminati dai fari delle auto ferme nel punto in cui la Freemont era saltata nel Naviglio.
«Siete una vergogna! L'unica giustificazione che posso darvi è il momento di estrema tensione.»
Belleri si risistemò i capelli, Cena si richiuse il giubbotto e si passò la mano sul labbro ritirandola insanguinata.
«Belleri! Tu qui hai finito per questa sera. Domani mattina ti voglio nel mio ufficio alle nove.»
«Ma, commissario...»
«Silenzio quando parlo io! Cena: lei ora viene con me e farà rapporto dettagliato di quanto successo su al castello. E le assicuro che dovrà darmi delle spiegazioni molto convincenti per la sua condotta.»
«Comandi!»
Viktor fece per seguire il commissario Vincenzi quando Belleri gli appoggiò una mano sulla spalla.
«Mio padre non ha ucciso tuo padre. Non ha mai ucciso nessuno, mio padre.»
Viktor lo guardò negli occhi. Sembrava affranto, abbattuto.
«Sì, invece.»
Gli tolse la mano dalla spalla bruscamente e salì a bordo della volante della polizia dove lo attendeva il commissario Vincenzi. Belleri li guardò partire serrando tra i pugni chiusi dentro le tasche il proprio dolore.
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