VII - What You Waiting For?

Video: Gwen Stefani

Gualtiero Berardi era un tipo preciso. Amava gli orologi, gli abiti firmati, soprattutto italiani, il vino pregiato e la puntualità. Quando doveva presentarsi a un appuntamento, per esempio, faceva in modo di arrivare sempre cinque minuti prima. Mai troppo presto, per non apparire ansioso, e mai in ritardo, per non apparire maleducato ma soprattutto impreciso.

Quella sera, per esempio, l'appuntamento si stava rivelando piuttosto misterioso. Il suo acquirente aveva chiesto esplicitamente di incontrarlo in cima al Monte Stella, proprio davanti al Santuario della Madonna. Il freddo era rigidissimo e, vista la salita che arrivava fino a lì, Gualtiero temeva di trovare delle lastre di ghiaccio lungo la discesa. La BMW 535d teneva bene la strada, ma la sua vista e la sua prontezza di riflessi non erano quelli di una volta. Con sé aveva una piccola scatola che teneva stretta. Era il contenitore originale di un Rolex Datejust 6605 in acciaio del 1956. Non era un modello di estrema rarità, ma era comunque ricercato. L'utente che aveva risposto all'annuncio su Subito.it era parso cortese e esperto, gli aveva fatto mille domande e alla fine si era accordato per duemila euro. Se pensava al fatto che per averlo ne aveva sborsati tremila cinque anni prima, il cuore partiva a battere all'impazzata e per un uomo che aveva da poco superato i sessantadue anni, questo non era sicuramente un bene. Però i soldi sono soldi e in quel momento Gualtiero aveva bisogno di liquidi. Un sacco di liquidi.

Belli i tempi in cui poteva permettersi auto di lusso, orologi, donne, anche molto più giovani di lui. Poi, negli ultimi anni, gli affari della gioielleria avevano iniziato ad andare molto male e la tenacia irrazionale a non voler interrompere la sua vita fatta di ninnoli preziosi lo stava facendo scivolare rapidamente verso la rovina. Gli unici affari che lo stavano facendo rimanere a galla erano le vendite della sua preziosa collezione di Rolex. All'inizio aveva venduto due o tre pezzi pregiati e aveva anche guadagnato rispetto al prezzo d'acquisto. In seguito la crisi aveva causato un'emorragia di acquirenti e gli ultimi tre orologi li aveva praticamente svenduti.

Scosse la testa e batté le mani guantate per scaldarle, la scatola con il Rolex sotto il braccio. La temperatura stava diminuendo ancora, erano ormai le ventuno e quindici e non si vedeva nessuno nel parcheggio antistante al Santuario. Avrebbe atteso accanto alla sua auto ancora per qualche minuto e poi se ne sarebbe andato maledicendo l'imbecille che lo aveva trascinato lì e la sfortuna che lo stava perseguitando. Se pensava a tutta la faccenda riguardante Longo, gli salivano i brividi fino alle orecchie. Il fatto di risultare come testimone e il ritrovamento del cadavere gli stavano rovinando la vita.

Era perso nei suoi pensieri, rimuginando sulle sue disgrazie, quando dietro di sé udì un rumore. Aveva parcheggiato l'auto a sinistra della Chiesa proprio di fronte a un muretto, oltre il quale si poteva scorgere uno dei quattordici piloni votivi ottocenteschi costruiti per la Via Crucis lungo la strada che si snoda fino al Santuario. Diede un'occhiata, buio permettendo, ma i lampioni del parcheggio non erano riusciti a illuminare nessuno.

Poco probabile che qualcuno fosse venuto fin lì a rubargli l'orologio, ma in ogni caso andò a cercarsi il cellulare nella tasca del Fay Double Coat. Non fece in tempo a trovarlo, che un altro rumore arrivò dal pilone votivo. Sembrava come se qualcuno si fosse mosso lì dietro.

«Chi va là?» chiese ad alta voce.

Nessuno rispose.

Probabilmente un gatto, difficilmente un cane. Un cinghiale? No, difficile. In quella stagione era improbabile.

Un nuovo fruscio. Aprì la portiera dell'automobile, si sedette alla guida e accese i fari. I fasci luminosi non riuscivano a inquadrare il pilone votivo, che rimaneva molto al di sotto rispetto al suolo. D'improvviso una figura scavalcò il muretto proprio davanti all'automobile. Berardi si sentì raggelare per la sorpresa, poi i fari illuminarono il volto della persona di fronte a lui e allora tirò un mezzo sospiro di sollievo. Scese dall'auto e guardò l'uomo di fronte a lui. Un alleato. L'uomo della risoluzione di tutti i problemi.

«Mi hai fatto venire un colpo» gli disse «Ma che cazzarola ci fai qui a quest'ora?»

Per tutta risposta una pistola comparve nelle mani dell'individuo che aveva davanti. Non si sa per quale forza di reazione, Gualtiero scagliò la scatola con il Rolex sulla fronte dell'uomo e corse via verso il Santuario. Era una trappola, pensò immediatamente. Morto, mi vuole morto. Estrasse il cellulare dalla tasca mentre raggiungeva la porta del Santuario. Chiusa. Batté forte le mani sul legno massiccio.

«Aprite. Aprite, per favore, aprite.»

Nessuno rispose. Inutile. Non c'era nessuno. A quell'ora non c'era mai nessuno lassù, razza di uno stupido caprone che era. Cadere in un agguato del genere come un allocco. In preda al panico più totale si voltò verso la sua auto e vide che l'uomo si era rialzato. Con le dita cercò di riattivare lo smartphone, ma il terrore gli faceva compiere solo fesserie. Fece partire la app di eBay poi quella di Google Maps. La tastiera finalmente. Compose un numero.

«Carabinieri...»

L'uomo si stava avvicinando.

«Io... Sono sul Monte Stella. Mi vogliono uccidere.»

«Carabinieri. Non la sento.»

«Venite subito. C'è un uomo che mi vuole...»

«Carabinieri. Non si sente nulla.»

L'uomo gli stava puntando la pistola contro. Anche il cellulare di Gualtiero finì contro il viso dell'uomo, permettendo alla vittima una nuova fuga. Oltrepassò il Santuario e andò a nascondersi nella boscaglia. Cercò riparo tra gli alberi spogli, tentando di tenere d'occhio ciò che accadeva dietro di lui. Si accovacciò nel buio dietro a un cespuglio di sempreverde cercando un punto che potesse permettergli di osservare intorno a lui. Il cuore batteva all'impazzata, era distrutto e spaventato. Cercò di nascondere il suo respiro affannoso, ma lo sforzo per farlo sembrava sortire l'effetto contrario. Dopo un paio di minuti riuscì a recuperare il controllo e fece silenzio. Non percepiva alcun movimento verso il Santuario. Che lui avesse desistito? No, non poteva essere. Doveva essere di fronte a lui da qualche parte. E infatti spuntò fuori in un angolo della sua visuale. Il cuore ripartì a battere veloce. Non doveva farsi sentire. Guardò di nuovo verso il Santuario. L'uomo stava procedendo lentamente verso la sua direzione. Cercò di rannicchiarsi ancora di più, ma capì che doveva rischiare. Alla sua sinistra c'era un acciottolato che proseguiva verso la Cappella dei Tre Re. Forse avrebbe potuto trovare rifugio là dentro. Attese qualche secondo e poi partì con tutta la velocità che il suo corpo poteva produrre. L'uomo inizialmente non lo vide e questo gli permise di accumulare un certo vantaggio. Ma dopo poco sentì i passi dell'uomo che lo rincorreva. Arrivò alla Cappella che era poco distante. Spinse il portone.

Chiuso.

Scivolò in ginocchio. Esausto. Era finita. Finita.

No. Valeva la pena fare un ultimo tentativo.

Aggirò la cappella e si nascose dietro di essa dove c'era una specie di piccolo ripostiglio per gli attrezzi. Se lo ricordava perché giorni prima, durante il rituale pellegrinaggio dell'Epifania, lo aveva notato. Era aperto. Si infilò dentro e richiuse la porta dietro di sé. Il ripostiglio non si notava nel buio. Riuscì a sedersi su una specie di ceppo che c'era all'interno. Con un po' di fortuna forse l'uomo non l'avrebbe trovato. Se fosse necessario avrebbe passato la notte lì dentro nonostante il gelo che lo stava ormai attanagliando. Passò qualche minuto, fino a quando alcuni rumori gli suggerirono che l'uomo era giunto fin dietro la Cappella.

Sbirciò fuori attraverso uno spiraglio tra le assi della porta. Non si vedeva molto, ma da qualche movimento si poteva comprendere che l'uomo stesse cercando nei boschi intorno alla cappella. L'uomo accese il cellulare e cominciò a guardare intorno a sé. Gualtiero iniziò a pregare sottovoce.

Padre Nostro che sei nei Cieli...

L'uomo dopo aver dato uno sguardo nei dintorni iniziò a incamminarsi lentamente nel bosco. Gualtiero quasi non credette ai propri occhi. Salvo. Era salvo. La luce del cellulare dell'uomo si inoltrava sempre più nel bosco.

Poi si fermò. E si girò verso il ripostiglio.

Gualtiero si portò la mano sulla bocca per soffocare un grido.

La luce ora procedeva spedita verso di lui. Nel panico più totale Gualtiero vedeva l'uomo sempre più vicino, fino a quando fu a una cinquantina di centimetri dalla porta del ripostiglio. Gualtiero aprì di scatto e la porta andò a sbattere contro l'uomo che la ricevette in pieno viso. Gualtiero uscì di corsa e aggirò nuovamente la Cappella per tornare sull'acciottolato. Le gambe e il fiato non lo sostenevano più, gli abiti gli si stavano incollando al corpo nonostante il freddo ormai polare. Arrivò al Santuario lo superò e arrivò al parcheggio.

Esausto, afferrò la maniglia della BMW che aveva ancora le chiavi a bordo. Finalmente. Una volta salito sulla sua auto sarebbe sceso a tutta velocità verso casa sua. Anzi no. Lo avrebbe trovato là. Sarebbe scappato. Chi se ne frega. All'estero, in Brasile, con i quattro soldi che gli erano rimast...

Tutto d'un tratto sentì un formicolio al braccio sinistro. Le forze lo abbandonarono d'improvviso e un dolore lancinante gli attraversò il petto. Si ritrovò in ginocchio con la testa appoggiata alla portiera della sua amata 535. Non è possibile, pensava. Non è possibile. Un nuovo dolore più profondo del precedente, qualcosa che si era rotto dentro. Chiuse gli occhi ed era con la schiena a terra, il respiro affannato e la totale incapacità di muoversi. Non sentiva più tutto il lato sinistro del corpo. Non c'erano dubbi. Il cuore lo aveva tradito. Sbarrò gli occhi e lo vide arrivare.

L'uomo si avvicinò lentamente a Gualtiero. La fortuna gli aveva dato una grossa mano. Nonostante il silenziatore, lo sparo si sarebbe udito e qualcuno si sarebbe potuto allarmare. Tecnicamente il rumore dello sparo silenziato somigliava a quello emesso dallo sbattere secco della porta di casa. Con l'eco poteva essere un problema. Anche se sapeva che la zona a quell'ora e in quel giorno era assolutamente deserta, era meglio non correre rischi. Già le urla precedenti erano state troppe; il rumore di uno sparo silenziato, se amplificato, poteva essere interpretato correttamente da un uditore casuale. La pistola era un deterrente e nelle sue intenzioni doveva essere solo un modo per convincere più velocemente la propria vittima a fare quello che voleva lui.

Arrivò davanti a Gualtiero, il quale stava ansimando coricato a terra, supino. I suoi occhi sbarrati esprimevano tutto il terrore che stava provando in quel momento. Senza dire una parola, l'uomo aprì la portiera posteriore dell'auto. Portava i guanti, sempre. Si spostò verso la testa di Gualtiero e senza tanti riguardi lo prese da sotto le spalle con una mano e con l'altra gli tappò la bocca. Saggia decisione. A Gualtiero sfuggì un grido che venne soffocato immediatamente. Attese che si esaurisse il rantolo e lo caricò con fatica sulla BMW. Lo guardò. Stava morendo, senza ombra di dubbio. Meglio. Sarebbe stato più semplice lavorarlo. Chiuse la portiera e aprì quella della guida. L'accensione era elettrica. Che bellezza quella macchina. Non aveva mai guidato una BMW. Inserì la retromarcia del cambio automatico e partì. Mentre scendeva verso la città, accese la radio che mandava una canzone che faceva tic tac di continuo. La voce della cantante però era bella e i suoi gorgheggi, simili a lamenti, si confondevano con quelli di Gualtiero che rantolava dietro di lui, mentre abbandonava la sua piccola fetta di mondo.

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