III - Crazy
Video: Seal
«Carissimo Vittorio...»
Il più giovane dei due uomini, un ragazzo biondo e atletico sulla trentina, gli si era avvicinato e si era affrettato a stringergli vigorosamente la mano.
Cena rispose al saluto senza il minimo entusiasmo.
«Ciao Claudio, quanto tempo...»
«Puoi ben dirlo. Saranno almeno dieci anni, no?»
«Credo di sì. Sì, più o meno.»
Cena stava sprofondando in sé stesso. Sarebbe voluto scappare a gambe levate, andare da Hacky Joe, da Lo Iacono, correre a Porta Palazzo a riempire di cazzotti in faccia il Moussa, a casa ad ascoltare l'ultimo dei Subsonica piratato. Essere dappertutto tranne lì insomma.
«Ti presento una persona davvero eccezionale, Vittorio, il commissario Arnaldo Vincenzi del commissariato di Ivrea. Sono onoratissimo di essere suo vice.»
Cena pensò che, nonostante fosse passato molto tempo, Claudio Belleri era sempre lo stesso: non perdeva occasione per far pesare una sua presunta superiorità. In questo caso superiorità reale, di grado, vicecommissario... Straordinario, chapeu!
Strinse la mano al superiore. Era un uomo di circa cinquant'anni, corpulento, pizzetto e occhiali, aspetto borghese e bonario, in contrasto con la spocchia di Belleri.
«Non ascolti questo ragazzaccio, Vittorio.»
«Viktor, in realtà» precisò Cena.
«Oh diamine... Viktor? Non Vittorio?» disse Vincenzi.
Poi, rivolto al suo collega di Ivrea: «Mi avevi detto che si chiama Vittorio, Belleri, non è così?»
«No, il mio nome è Viktor» intervenne Cena «Mia madre era tedesca. Claudio Belleri se ne deve essere scordato. In realtà Viktor o Vittorio, in fondo, fa poca differenza. Non è vero, Claudio? Che importa...»
Notando l'imbarazzo e la tensione crescente in Cena, Tosin riportò l'attenzione sul nocciolo della questione.
«Ma prego... Non stiamo in piedi e non perdiamoci in convenevoli. Su, accomodiamoci. Ecco. Sedetevi. Vede, Cena, mi spiace di non aver potuto parlare prima con lei di questo argomento, ma purtroppo ho saputo solo ieri di questa richiesta da parte del commissariato di Ivrea.»
Cena guardò il commissario Tosin interrogandosi sulle ragioni della visita dei due poliziotti. Se si erano rivolti alla questura di Torino voleva dire che la faccenda doveva essere davvero grave. Piuttosto che rivolgersi al comando centrale, un commissariato di provincia avrebbe preferito chiudere. Gli uomini erano seduti al tavolo della piccola sala riunioni adiacente all'ufficio di Tosin e il personale di Ivrea aveva estratto alcuni fascicoli dalle borse che avevano portato con loro. Vincenzi esaminò per qualche secondo il contenuto della cartella che aveva aperto, dopodiché si tolse gli occhiali.
«Avrete sicuramente saputo del grave omicidio avvenuto ad Ivrea un paio di mesi fa.»
Cena fece cenno di sì. Lo aveva letto sulla Stampa nella cronaca di Torino. Un uomo, del quale Cena non ricordava il nome, era stato trovato morto assassinato nella sua casa nella zona del lago Sirio. L'articolo parlava di un delitto piuttosto efferato, ma non ne ricordava i particolari. Il giornalista faceva cenno al cadavere orrendamente mutilato, anche se non gli pareva venisse menzionato alcun ulteriore dettaglio in merito. La notizia aveva anche avuto un qualche rilievo nazionale, ma dopo un po' i telegiornali non ne avevano più parlato.
«Francesco Longo, imprenditore in pensione, è stato trovato nella sua villa che si affaccia sul lago Sirio. Siamo incredibilmente riusciti, con molta fortuna a dire il vero, a imbavagliare i giornali sui particolari riguardanti il delitto, cosa molto importante e capirete il perché. Vi mostro le foto scattate dalla scientifica, ma vi avverto che sono piuttosto forti.»
Cena e Tosin presero le foto dalle cartelle e cominciarono a esaminarle.
Nella prima foto si vedeva un balcone. C'era un uomo su un balcone in una posizione che sembrava innaturale. L'uomo sembrava appoggiato alla ringhiera ed era ripreso da una certa distanza per fornire un quadro di tutto l'ambiente circostante.
Seconda foto. Era ripresa dalla sinistra dell'uomo e riprendeva il suo profilo.
Si trattava di Francesco Longo evidentemente.
Il corpo di Longo era legato in qualche maniera alla ringhiera del balcone stesso in modo da rimanere in piedi rivolto verso l'esterno. La schiena era appoggiata contro una scopa puntata contro il muro dietro di lui, probabilmente per essere sicuri che il corpo non cadesse all'indietro. Per legarlo e fissarlo in quella posizione, l'assassino, o gli assassini, avevano usato quelli che sembravano dei cavi elettrici. Sotto al braccio dell'uomo era stata fatta passare una spada, la cui impugnatura risultava legata anch'essa alla ringhiera e al corpo in modo da puntare verso l'alto.
«Da dove arriva la spada?» chiese Tosin.
«Domanda pertinente. Dall'interno della casa. Era un trofeo che teneva Longo in sala.» chiese Tosin.
Lo sguardo ricadde sulla foto. Sembrava la statua di uno di quei militari che doveva essere ricordato per chissà quale battaglia e sulla quale il tempo e l'incuria erano stati impietosi, tanto da mutilarla.
La testa.
La testa mozzata dell'uomo era stata infilata sulla spada e guardava da essa il vuoto di fronte a sé. La lama spuntava dalla bocca come un'orrenda lingua rosso fuoco. Il collo aveva i bordi slabbrati di un lavoro eseguito con materiale inadatto.
Viktor guardò con raccapriccio l'immagine. Il sangue aveva inzuppato gli abiti del cadavere, ma non era sparso sul balcone se non nella zona della macabra rappresentazione.
Terza foto. Ripresa di fronte, forse erano saliti su un albero. La figura del cadavere con la spada e la testa infilata su di essa, assumeva un aspetto famigliare per Viktor. Qualcosa che aveva visto e che non riusciva a inquadrare di preciso.
Dovette comunque levare lo sguardo dalle foto talmente erano impressionanti. Tosin aveva fatto la stessa cosa qualche secondo prima.
Gli unici suoni nella stanza erano gli echi delle sirene che rimbalzavano dalla strada sottostante.
Tosin prese la parola, più che altro per distrarre la mente dall'orrore che aveva di fronte.
«Non ho mai visto nulla di simile.»
«Può ben dirlo, commissario» intervenne Belleri «Non lo dica a me che sono arrivato praticamente tra i primi. Qualche agente ha dato di stomaco dopo aver visto questo spettacolo. In provincia non siamo abituati a tanto.»
«Neanche in città, ve lo assicuro.»
Cena riprese in mano una foto che ritraeva la facciata della villa di Longo, Si vedevano alcuni agenti di polizia impegnati a setacciare il giardino antistante all'ingresso. Probabilmente si trattava della scientifica di Torino.
«Tracce? Sospetti?»
Vincenzi raccolse alcune foto per rimetterle nella cartella e, nel frattempo, tirò fuori alcuni documenti.
«Questo è uno dei punti che ci sta facendo impazzire. Nessuna traccia. Niente di niente. Non un'impronta. Non una goccia di sangue nell'appartamento al di fuori di quello trovato sul balcone. Un lavoro pulitissimo, probabilmente con teli di plastica. Un colpo di calibro nove alla testa, poi la mutilazione e la sceneggiata. La testa è stata tagliata con la spada. Mi sono rivolto a diversi esperti della sezione omicidi in giro per l'Italia. Anche loro non sanno come raccapezzarsi.»
A quelle parole Cena udì scattare quello che sembrava un allarme all'interno della propria mente.
«Sembra incredibile. Avete usato il luminol ovviamente...»
Vincenzi si lasciò scappare una risatina nervosa.
«Se abbiamo usato il luminol? Per tutta la casa. Sono arrivati pure i R.I.S. da Parma, l'avrete saputo. Niente. Se non fosse chiaramente l'opera di uno squilibrato direi che si tratta di un delitto perfetto studiato a tavolino.»
Cena e Tosin si guardarono esterrefatti. L'allarme di Cena crebbe a dismisura e divenne assordante nella sua testa.
«Posso farvi una domanda, diciamo così, un po' particolare? Tra le tracce non è per caso saltato fuori un biglietto con raffigurato un grammofono e un cane?»
Belleri ridacchiò. «Mio Dio, Vittorio. E' vero che siamo un commissariato di provincia ma certe cose le sappiamo anche noi. No, non c'era la Voce del Padrone. Non si tratta di Caruso. Anche se a dire il vero qualcosa abbiamo trovato.»
Viktor tirò un sospiro di sollievo.
«Beh! Confesso che per un attimo ho pensato a lui. L'efferatezza del delitto, la totale assenza di tracce. Era pulito quest'uomo?»
«Pulitissimo, stai tranquillo. O meglio: pulito. Aveva il vizio del casinò, andava un paio di volte al mese a Saint Vincent, ma il suo attivo in banca era discreto. E poi hai visto la casa e, soprattutto, dove si trova, no?»
Era vero. La zona del lago Sirio è la più esclusiva di tutta Ivrea, appena fuori città, immersa nel verde e affacciata su uno splendido specchio d'acqua.
Tosin appariva sempre pensieroso.
«Mi scusi, commissario, però escludere così a priori che si tratti di un delitto premeditato che non abbia nulla a che fare con la follia, mi sembra quanto meno azzardato. Il sovrintendente Cena ha giustamente citato Caruso perché sembra il suo classico modus operandi. Ma, come ben sappiamo, Caruso è un killer della mafia, anche se decisamente anomalo. E' un uomo di Manzanera, il boss di Trapani. E' razionale nell'esecuzione. Dopo aver preparato tutto a tavolino, si esibisce in scempi di ogni genere sui cadaveri. Sebbene razionale e metodico, insomma, con ogni probabilità è allo stesso tempo totalmente pazzo. I punti in comune sembrano molteplici.»
«Come abbiamo già detto, sappiamo qualcosa di Caruso, ma solamente dai racconti dei colleghi e da quello che siamo venuti a sapere indagando sull'omicidio. Non conosciamo molto di lui, se non il poco che ci hanno riferito all'inizio del caso. E i colleghi che abbiamo consultato tendono a escludere il suo coinvolgimento.»
Belleri riprese la parola con voce impostata.
«Vittorio, tra le altre cose i nostri colleghi ci hanno detto che tu sei un esperto di Caruso e di Manzanera. Ci hanno detto che dovevi far parte di una certa operazione, un'infiltrazione...»
Tosin intervenne in modo perentorio.
«I colleghi hanno parlato troppo! L'operazione doveva essere coperta dal più assoluto riserbo ed è saltata proprio perché qualcuno di noi ha spifferato tutto. Cena doveva infiltrarsi nel clan, ma Manzanera ora conosce il suo volto e il suo nome. E' stato un atto gravissimo sul quale stiamo indagando. Torniamo al problema attuale, per cortesia.»
Il tono di Tosin era stato perentorio. Era inaccettabile la continua fuga di notizie che faceva di contorno alla vicenda. Cena guardava le proprie mani sul tavolo. Lui sì che ne sapeva molto di Manzanera, detto il Mattatore, e di Caruso.
«Qualche anno fa vicino a Taormina venne rinvenuto un cadavere» iniziò a raccontare «Era all'interno di una villa sul mare, legato mani e piedi. Un colpo alla testa, calibro nove. Era stato sistemato in modo da rimanere in ginocchio a mani giunte. Come se pregasse. Avevano usato cavi elettrici. Era nudo, con un lenzuolo sulle spalle. Nessuno sapeva chi era. I proprietari dell'abitazione erano una coppia di Milano che andava lì in villeggiatura, in estate. Nessuna traccia, nessun indizio. Con tutta probabilità era stato utilizzato un telo di nylon sul pavimento, rimosso al termine del lavoro.
«Dopo qualche giorno di indagine si riesce a scoprire che il morto era uno del clan del Mattatore che voleva uscire ed era andato a rifugiarsi in un convento. Manzanera l'aveva saputo e aveva affidato l'esecuzione a Caruso. Caruso ha aspettato, per giorni si pensa, che l'uomo uscisse dal convento e quando questo ha superato le mura per fare due passi lo ha prelevato e portato nella casa che aveva, nel frattempo, preparato.
«La villa è piuttosto isolata. Caruso ha fatto la sua scenetta e ha lasciato la sua firma, la copia dell'etichetta di una vecchia casa discografica, La Voce del Padrone, il cane con il grammofono davanti. Non serve precisare che il significato è più che chiaro: chi disubbidisce al padrone sa cosa deve subire.»
Interruppe il racconto per alzarsi in piedi e affacciarsi alla finestra.
«Nessuno ha la minima idea di chi sia Caruso. Questo è un nome che il gruppo di Palermo della sezione uno gli ha affibbiato: non sapendo come identificarlo ha richiamato qualcosa legato all'etichetta discografica. Otto omicidi in totale attribuiti a Caruso. Stesso stile, efferato, spietato, più da serial killer che da sicario. Nessuna traccia. Nessuna. Non un indizio, non una telecamera che ci abbia potuto aiutare.»
Vincenzi fece cenno di sì con il capo.
«All'inizio anche noi abbiamo pensato a lui. E, a dire il vero, pure la scientifica ci consigliò di rivolgerci alla sezione uno per un consulto. Ma non c'era nulla, non c'era l'etichetta o elementi che potessero far arrivare a lui, a parte l'efferatezza e l'uso della calibro 9. In un angolo del balcone è però stato trovato un piccolo biglietto. L'unica traccia. Volutamente lasciata, abbiamo scoperto in seguito.»
Vincenzi estrasse una piccola busta di nylon. C'era un foglio di block notes con una scritta a penna.
L'ARANCERE
«Solo questo. Nient'altro. A parte noi dell'ufficio nessuno sa nulla di questo biglietto. Abbiamo fatto le analisi del caso. Nulla ovviamente. Lo stavamo quasi scartando come ipotesi per le indagini, pensando fosse un appunto lasciato da Longo. Poi, però, ieri è arrivata una lettera in ufficio alla mia attenzione.»
Una nuova busta trasparente venne passata a Tosin. All'interno c'era un biglietto quindici centimetri per dieci circa, la metà di un A4. Tosin lesse il biglietto, poi, con sguardo interrogativo, lo passò a Cena. Era lo stampato di uno scritto eseguito a computer. I caratteri erano maiuscoli.
HO TAGLIATO LA TESTA AL PRIMO TIRANNO E L'HO MOSTRATA AI CITTADINI.
PRIMA DI CARNEVALE ESPORRO' LA TESTA DEL SECONDO TIRANNO.
ABBASSO LA MUGNAIA, ABBASSO IL GENERALE,
VIVA IL CARNEVALE.
- L'ARANCERE-
«Dio Santo!» esclamò Cena.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top