Sono io
Dan non riusciva più a disegnare. Non dopo aver mirato i fiori della morte negli occhi di Jessie.
Gli schizzi, eterni bambini, rifiutavano i colori. Rifiutavano di crescere.
Quel pomeriggio, un disegno lo fissava. Immobile, incompleto. Dan ricambiava il suo sguardo, senza riuscire a decifrarlo. Era odio? Rassegnazione? Speranza? Una mano intenta a raccogliere un fiore, tratteggiata da linee sinuose, si divincolava tra i pixel dello schermo e, senz'occhi, lo osservava. Sembrava sul punto di chiudersi a pugno per rompere il vetro, riaprirsi a guisa di grinfie e agguantare il collo del suo stesso creatore. L'intento era inafferrabile.
Lo voleva scuotere per disperazione?
"Perché non mi finisci?"
Stringergli il collo per vendetta?
"Non finirmi è stato un grave errore".
O a muoverla era una scintilla di speranza?
"Scrollati, scrollati, so che puoi finirmi".
Ad avverare il tutto fu lo stesso Dan. Si circondò il collo, stringendo sempre più. Sotto i polpastrelli sentiva il sangue pulsare, combattere contro quella barriera di dita affusolate.
Poi lasciò la presa.
Gli ansiti riempirono la stanza, simili a batuffoli. Il ragazzo annegò tra i propri respiri.
Il viso paonazzo venne rigato da lacrime bollenti. Era stanco di soccombere alla fantasia, a quel tarlo immaginario che gli stuzzicava il cuore con il becco, impedendogli di disegnare. Ripensò a Jessie, alla notte passata al bar. Non era la fidanzata a confondersi con l'inesistente.
"Sono io. Mi sto perdendo".
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