La memoria non è roba per anziani

La cena fumava sul tavolo. Dan si sedette di fronte a Jessie e venne inondato dal profumo del cibo e delle spezie. La ragazza lo stava aspettando con le posate in mano, pronta ad affondarle nella carne ricoperta dal rosmarino. I due si lanciarono uno sguardo a vicenda e, senza scambiarsi alcun convenevole, iniziarono a mangiare. Era una loro abitudine non dirsi niente prima di abbuffarsi. Il tintinnio delle forchette e lo stridio dei coltelli esprimevano il "buon appetito" meglio delle parole. Solo quando si pulivano la bocca con la salvietta, sancendo così il termine del pasto, cominciavano a parlare. E quella sera non vi furono eccezioni.

«Se vuoi ti mostro la foto. Prima mi sono scordato di farlo» esordì Dan mentre impilava i piatti, ormai vuoti.
La ragazza rispose scuotendo la testa.
«Sai cosa, amore? Voglio vedere di persona le nostre iniziali. Possiamo andare nel bosco anche stasera, così smaltiamo la cena.» Jessie notò che il fidanzato non sembrava entusiasta dell'idea.
«Del resto, camminare fa bene dopo aver mangiato» aggiunse con apparente noncuranza.
Dan sospirò e ripose i piatti nel lavandino.
«Va bene, ma solo a una condizione» disse voltandosi, assottigliando gli occhi e le labbra.
Jessie sentì lo sguardo dell'uomo posarsi su di lei, laconico. Si irrigidì per un'istante, in attesa.
«Laverai tu i piatti stasera.»
La ragazza, scocciata, bofonchiò qualcosa tra sé e sé. Poi, con fare solenne, assentì.

L'oscurità era puntellata da fioche stelle. I pini che si stagliavano al di là della strada parevano i denti di cani affamati, nell'istante che precede l'agguato. Dan accese la torcia e illuminò il sentiero. Lo squarcio di luce non riuscì a placare il battito del suo cuore, che scalpitava ad ogni ombra. Le tenebre parevano scansare il raggio della torcia, muovendosi intorno con fare schivo. Le vedeva occhieggiare di tanto in tanto, curiose e fameliche. Mentre i due camminavano per il sentiero, il bosco li inghiottiva, richiudendosi alle loro spalle. Nessun uccello notturno sbatteva le ali, nessun insetto friniva. Il silenzio li avviluppava.

Jessie non sembrava accorgersene. Correva e poi si fermava lì dove terminava il fascio della torcia. Piantava i piedi nella ghiaia e frenava con una scivolata, come se si fosse accorta all'ultimo di uno strapiombo dinnanzi a sé. Ma non temeva nulla di quel bosco. Il buio non riusciva a penetrare nel suo cuore: l'anima della ragazza emanava faville e rischiarava il torbido, sconfiggendolo con dardi di luce.

I due giunsero davanti al pino che si ergeva al di sopra degli altri. Era l'albero più alto e pareva il sovrano del bosco.
Dan puntò la luce nel bel mezzo della corteccia. Al centro non vi era alcun segno.
«Non capisco, le avevo incise qua.» Dan si avvicinò al fusto. Una viscerale inquietudine gli stringeva il cuore mentre tastava il tronco, in cerca di qualche impercettibile taglio. Ma sotto i polpastrelli sentiva solo la corteccia rugosa.
Jessie scoppiò a ridere.
«La memoria non è roba per anziani.»
«No, sono sicuro che è questo!» vociò il fidanzato. La ragazza ammutolì all'istante, spaventata da quella reazione. Si infilò le mani in tasca, come se volesse proteggerle improvvisamente dal freddo.
«Perdonami, non volevo alzare la voce» si scusò Dan, abbassando lo sguardo per la vergogna. Jessie lo abbracciò, in segno di pace. Avvinghiata a lui, gli suggerì di dare un'occhiata alla foto. Dan accolse l'idea e, con mani tremanti, rimestò le tasche del cappotto in cerca del telefono.
Una volta trovato, accese lo schermo e ringrandì la foto. La luce del cellulare rischiarò il viso del ragazzo, perturbato da una smorfia.

Lo scatto non mostrava alcuna incisione. La corteccia era travagliata solamente dalle crepe del tempo.

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