Sospetto

Antonio Donizetti, uno sbarbatello di sedici anni che lavorava per Cecco e diffondeva il bollettino della resistenza, gli rivolse un sorriso imbarazzato oltre la porta.

«Salve, signore. Posso entrare?»

Carmine si sentì sopraffatto dal sollievo tanto che sentì le gambe cedere e dovette appoggiarsi allo stipite per non cadere.

«Antonio!» esclamò, col fiato mozzo. «Non è ancora tempo, che diavolo ci fai qui? Entra, avanti.»

«Scusate, signore, ma oggi dobbiamo andare in stampa prima del solito. La copisteria ha avuto problemi con la finanza, devono fare dei controlli, non possiamo permetterci che trovino le copie mentre sono in stampa. O stampiamo ora, o dobbiamo aspettare la prossima settimana.»

Il ragazzino fece il suo ingresso, e Carmine si affrettò a chiudere la porta dietro di lui, per oscurarlo a occhi indiscreti.

«Fabio, va’ a chiamare Elia, digli che può uscire. Sarà terrorizzato.»

«Sì» rispose, con un cenno del capo, e sparì nel corridoio.

«Accomodati, forza» lo invitò Carmine, scambiandosi con Mauro un’occhiata preoccupata da sopra il tavolo.

Lui si sedette, si afflosciò sulla sedia come fosse davvero esausto. Carmine sapeva che Antonio non si fermava mai, che era l’unico a conoscere la posizione di tutte le cellule della resistenza in città, era l’unico a portare i messaggi da una casa all’altra, e aveva sempre un carico di lavoro troppo pesante, per uno della sua età.

Perdere Antonio sarebbe stato perdere tutto.

«Non ho ancora l’ultimo articolo pronto. Lo sto battendo in questo momento» si giustificò Mauro, dando una veloce sistemata ai fogli e foglietti che aveva davanti.

«Dovremo fare senza, allora. Ve l’ho detto, non posso tardare. Ho bisogno di quello che avete scritto e ne ho bisogno adesso.»

Mauro sospirò, massaggiandosi le tempie. Si sistemò gli occhiali più in su per il naso e poi guardò Antonio, che aveva l’aria mortificata. «E sia. Ma non ho ancora revisionato nulla, e sono meno parole del solito…»

«Ciao, Antonio!» la voce di Elia li portò a portare gli occhi verso il corridoio. Aveva un’aria sbattuta, doveva essersi preso un bello spavento, ma sorrideva.

«Buona sera, signore» rispose il ragazzino, da sempre intimidito dai quattro inquilini e ossequioso con loro.

Mauro prese i fogli battuti a macchina e li pareggiò, poggiandoli di taglio sul tavolo. Lui sminuiva spesso il suo lavoro, sosteneva che Carmine svolgesse un ruolo troppo più importante per la causa, ma il compagno non era d’accordo.

Avere libero accesso a informazioni non censurate su ciò che accadeva in Italia e sul territorio era una risorsa preziosa, un’arma contro la propaganda del regime da non sottovalutare. 

«Tieni, eccoli qui. Mi dispiace non aver fatto di più, ma non ti aspettavo così presto.»

«Andrà benissimo, signore. Grazie, signore.»

«E, Antonio?» disse Elia, con aria distratta, come se non gli importasse.

«Sì, signore?»

«Fai attenzione.»

Lui gli sorrise, un po’ imbarazzato. Si rimise il cappello che si era tolto sulla testa, e se lo calò bene. «Grazie. Allora, io vado.»

«Vai, ragazzo. Buona fortuna.»

Quando la porta si richiuse, Carmine tirò un profondo sospiro di sollievo. L’ansia che l’aveva invaso per il ritorno a casa e per quando avevano bussato alla porta scemava, l’adrenalina si abbassava e la testa iniziava a girare. 

Si lasciò cadere su una delle sedie della cucina, mentre Fabio apparecchiava di nuovo per Elia – il suo piatto era stato sgomberato in tutta fretta per nascondere la presenza di una quarta persona al misterioso ospite.

«Oh, no» si lasciò sfuggire Fabio, sconfortato.

«Che succede?» chiese Mauro, allarmato, dopo aver posato una mano sulla gamba di Carmine per fargli percepire la sua vicinanza.

«La pasta si è scotta. Sarà immangiabile.»

Sentendo l’amico tanto disperato per la cottura della pasta, con tutti gli altri problemi a cui pensare, a Carmine venne da ridere. Così lo fece. Iniziò a ridacchiare, prima piano poi sempre più forte, per poi accasciarsi sul tavolo. La mano di Mauro salì dalla sua gamba e iniziò ad accarezzargli i capelli in un gesto affettuoso e calmante, mentre Elia e Fabio lo guardavano come se fosse pazzo.

«Diventeremo tutti matti qua dentro» esclamò Elia, accomodandosi a sua volta.

Carmine continuò a ridacchiare in quel modo isterico mentre Fabio scolava la pasta scotta, la mano di Mauro ancora nei capelli, l’unica cosa che lo teneva ancorato alla realtà. Sentiva le gambe molli e aveva bisogno di sdraiarsi, leggere un po’, concludere quella giornata stressante e faticosa. 

Le risa si calmarono, la mano di Mauro lo lasciò. «Tranquillo, ora?»

Lui si raddrizzò sulla sedia e si schiarì la gola, imbarazzato. «Scusate. Risata nervosa, credo. È stata una giornata davvero pesante, e questa ultima visita a sorpresa mi ha dato il colpo di grazia.»

Quando tutti furono seduti per mangiare, ci fu l’accordo taciuto di non parlare dell’OVRA o del pericolo in centuria. Mauro si lamentò del disguido delle stampe; Fabio dei commenti razzisti a lavoro; Elia di restare sempre chiuso in casa; Carmine della sua centuria sguarnita perché stavano richiamando tutti al fronte.

Dopo la cena si misero a sentire il radio giornale, seduti in cerchio e in silenzio, poi andarono tutti a letto.

Nella loro camera, Mauro lo osservò mentre si cambiava, si infilava il suo pigiama leggero. Lo guardava seduto sul letto, analizzando ogni suo minimo movimento, gli occhiali ancora sul naso anche se li toglieva sempre prima di dormire.

«Cosa c’è?» chiese, piegando i vestiti e infilandoli nella cesta per essere lavati. 

Era Elia che faceva le faccende domestiche, l’unico di loro che non lavorava. Puliva la casa, lavava i vestiti, stirava le camicie nere di Carmine, toglieva la polvere di ferro dalle scarpe di Fabio quando tornava stanco dal lavoro. 

«Mi hai fatto preoccupare, oggi.»

«Scusa, ma vi avevo avvertito che avrei potuto fare tardi.»

«Lo so. Ma mi sono preoccupato lo stesso.»

«Mi dispiace.»

«Mi guardi, per favore?»

Carmine trattenne il fiato e si voltò. Mauro era ancora seduto sul letto come l’ultima volta che l’aveva guardato di sfuggita, si sistemava gli occhiali spingendoli più indietro. 

I capelli di un biondo scuro erano un po’ spettinati, segno che si era già sdraiato con la testa sul cuscino e poi aveva cambiato idea, alzandosi a sedere. Aveva una maglia bianca e dei pantaloni in flanella color beige, un po’ caldi per quel periodo, ma Mauro era un tipo freddoloso. 

«Dimmi.»

«Niente. Voglio solo che mi guardi, e voglio guardarti. Ho una brutta sensazione. Ho paura che questa storia non finirà bene…»

Carmine sospirò, avvicinandosi. «Sto facendo il meglio che posso. Sto prendendo precauzioni, sto tenendo un profilo basso.»

«Lo so, tesoro, io…»

«Non chiamarmi così. Sai che non mi piace.»

Mauro si tolse gli occhiali posandoli sul comodino accanto al letto e si stese, voltando la testa verso la finestra. «Scusa. Dimentica quello che ti ho detto. Buona notte.»

«Andiamo, non fare così…»

«Così come?» chiese, la voce tremante di stizza e ancora rifiutandosi di guardarlo. «Io voglio solo un po’ di rassicurazione e tu…»

«Cosa vuoi che ti dica? Che andrà tutto bene? Vuoi che ti dica una bella bugia?»

La sua sagoma di spalle non si mosse, restò rigido come una statua. «Quindi andrà male. Perfetto.»

«Non sappiamo come andrà. Non lo so io, non lo sai tu. Io posso solo impegnarmi perché vada al meglio possibile, il resto non è nelle mie mani.»

«E nelle mani di chi è? Di Dio? Beh, se Dio esiste è proprio uno stronzo. Quindi scusami se non mi fido del suo giudizio.»

Salì sul materasso e avanzò tanto da infilarsi nella sua parte del letto, cercando il contatto. Mauro voltò la testa ancora più a lato, per non guardarlo in faccia. Gli sembrò un bambino allora, un bambino offeso con la madre che non gli dedicava abbastanza attenzioni per svolgere le pulizie di casa.

«Vuoi davvero fare l’antipatico con me sino a domani? Ogni notte potrebbe essere l’ultima, non voglio che la passiamo così.»

«Questo è… un colpo basso. È un colpo basso e tu lo sai» mormorò. Carmine sapeva di aver fatto presa. Mauro era il primo che odiava andare a letto arrabbiato.

Si avvicinò ancora a lui e gli passò un braccio attorno al fianco, abbracciandolo da dietro, infilando la mano sotto la maglia all’altezza dello stomaco. Il corpo di Mauro era caldo sotto le lenzuola, e lui fece scivolare la mano su sino al petto, per poi abbassarla sino all’elastico dei pantaloni. 

«Lo so. Sono un capitano delle camicie nere, devo essere un po’ stronzo per forza. È deformazione professionale.»

«Questo pure è vero…» mormorò, girandosi su un fianco e verso di lui. 

Carmine non gli diede il tempo di aggiungere altro. «Vieni qui, dai» lo pregò, per poi sporgersi verso di lui e baciarlo sulla bocca.

Mauro si piegò a lui e al suo volere, come aveva sempre fatto. Schiuse le labbra e lo accolse, e Carmine venne invaso dal familiare sapore di tabacco.

Sentì l’altro trattenere il respiro e l’attimo dopo si ritrovò schiacciato sul materasso, col compagno sopra di lui che gli si strusciava addosso, quel corpo caldo contro il suo e la sua lingua in bocca.

Fu allora che si lasciò davvero andare. Per tutta la giornata era costretto a tenere su una maschera, doveva essere rispettabile coi colleghi e forte per i coinquilini che si appoggiavano a lui come cardine della casa.

Con Mauro, chiusi nell’intimità della loro stanza, poteva essere soltanto Carmine. Un giovane uomo innamorato, impaurito, affettuoso, passionale, vulnerabile. Lati di sé che non poteva mostrare a nessun altro al mondo, davanti a Mauro si schiudevano uno dopo l’altro come prati di violette a primavera.

Si lasciò consumare da quel fuoco che l’aveva preso, lasciando da parte le preoccupazioni e guidato dal suo istinto più viscerale, solo mani e lingue e respiri affannosi che si mischiavano.

Si chiedeva, talvolta, cosa avrebbero pensato i suoi sottoposti nel sapere che il loro capitano si faceva sbattere a letto da un articolista occhialuto che non sapeva manco tenere una pistola in mano – altre cose in mano però sapeva tenerle benissimo – e trovava sempre l’idea molto divertente.

Così si lasciò sfuggire un verso gutturale e Mauro lo prese, e tutte le angosce di quel giorno svanirono nell’aria come il fumo di una sigaretta.

Il sole penetrava attraverso le leggere tende bianche, illuminando a giorno la stanza. Carmine aveva ancora gli occhi chiusi, poteva sentire con chiarezza il respiro profondo dell’uomo accanto a lui, ne percepiva la presenza, troppo vicino eppure non vicino abbastanza.

Aprì gli occhi e voltò la testa, per studiare la figura di un Mauro addormentato. Era immerso in un sonno profondo, le paure che l’avevano assalito la notte prima non gettavano più un’ombra sul suo volto. Sembrava sereno, in pace, e si chiese ancora una volta se quella sarebbe stata l’ultima occasione per poter apprezzare ciò che aveva.

Si sfilò da sotto le coperte e andò a prepararsi. Il bagno tiepido riuscì a tranquillizzarlo, a prepararlo per la giornata lavorativa. Mauro non si accorse di lui che si vestiva nella loro stanza, ancora tra le braccia di Morfeo, la sua zazzera bionda che luccicava ai primi raggi del sole.

Uscì a bere il caffè in cucina, dove Fabio ed Elia erano già svegli e in azione. Li salutò e bevve il suo caffè in silenzio, poi uscì in strada.

Il tempo era mite, si trattava di aprile dopotutto, l’inverno stava facendo spazio alla primavera. Pioveva ancora ogni tanto, rovesci forti e copiosi, ma in quel momento il cielo era sgombro da nubi. 

Quando arrivò in ufficio, come sempre, fu il primo a entrare. Si sistemò alla sua scrivania e preparò alcune carte, in attesa che arrivassero i fascicoli del giorno. Sarebbe dovuto stare più attento quella volta. 

Sapeva di non poter smettere di aiutare la resistenza, avrebbe dovuto continuare a fare scappare i compagni, rubare i bolli per i documenti di identità e rifiutare i casi dei nemici dello stato che gli capitavano a tiro. Se non l’avesse fatto, ricordò, sarebbe stato proprio come un fascio vero. Allo stesso tempo, però, non poteva dare troppo nell’occhio, o non sarebbe riuscito ad aiutare più nessuno. Si sarebbe dovuto tenere fuori dai radar, almeno per un po’.

Quando riuscì ad avere i fascicoli sulla sua scrivania iniziò a passargli in rassegna, uno dopo l’altro. Soprattutto famiglie ebree, qualche zingaro, niente che destasse la sua attenzione in modo particolare.

Stava giusto iniziando a prendere il ritmo, tra una scartoffia e l’altra, che qualcuno bussò alla porta del suo ufficio. Si concesse un momento di raccoglimento per prepararsi all’ennesima farsa, poi disse, con voce ferma «avanti.»

Graziano Rovere, stavolta in divisa perfetta, si affacciò nel suo ufficio e gli rivolse un sorriso cordiale. «Capitano, posso entrare?»

«Prego, prego, Rovere. Accomodatevi pure. A cosa devo il piacere? Abbiamo già avuto novità? Vi ho assegnato alla squadra di Meneghello, sarete stato informato.»

«Sì, capitano. Per ora nessuna novità, sono in visita di piacere, porto una lieta novella che non ha a che fare col nostro caso.»

«Che bellezza! Sedetevi, avanti, ditemi tutto.»

Rovere si accomodò, mentre Carmine ascoltava i battiti del suo cuore impazzito saliti sino in gola. Era abituato, dopo tanti anni di servizio, a non far trapelate all’esterno ciò che stava provando, così mantenne una calma apparente e sfoggiò il suo sorriso migliore.

«Stasera» disse con un sorrisino soddisfatto, «sono ospite a cena da voi. A casa di vostra madre. Siete contento?»

Il suo primo istinto fu quello di farfugliare la frase che aveva appena sentito, per essere sicuro di aver inteso bene. Riuscì in parte a controllarsi, ma ripeté comunque ciò che Rovere aveva detto.

«A cena? Stasera? Ma non ho avvisato mia madre, non avrà preparato nulla…»

«Non c’è fretta, giusto? Può aggiungere un posto a tavola dopo che sarò arrivato da voi. E io mi accontento di poco… a meno che non abbiate altri impegni, si capisce. O la mia presenza sia sgradita.»

Carmine si sforzò di continuare a fare respiri lunghi e tranquilli. Rovere gli stava addosso, significava che sospettava già un po’ di lui. L’aveva messo all’angolo, non in condizioni di rifiutare.

«No, certo che no. La mia casa è la vostra casa, signore. Questa sera a cena siete il benvenuto.»

«Molto onorato» disse, il sorrisino non accennava a scemare. «Mi farete strada in auto all’uscita del turno. Così arriveremo presto e vostra madre avrà tutto il tempo per trovare sostituti per la cena.»

«È perfetto» rispose, con un sorriso tirato.

«Bene! Allora vi lascio al vostro lavoro, so che non vi manca.»

«Grazie, signor Rovere. Ci vediamo questa sera.»

L’uomo sparì oltre la porta, e Carmine resse per miracolo all’istinto di sospirare e portare le mani al volto. Quella sera avrebbe dovuto fare un’improvvisata a sua madre, c’era da sperare che non gli chiedesse che diavolo ci facesse laggiù, una volta che l’avrebbe visto entrare. Le aveva spiegato la situazione, sperava che gli avrebbe retto il gioco.

Quello che lo preoccupava di più era la reazione che i ragazzi avrebbero potuto avere non vedendolo tornare per cena. Il giorno precedente erano già stati nervosi per un’oretta di ritardo, non osava immaginare in che condizioni sarebbe stato Mauro al suo ritorno. 

Li avrebbe avvertiti chiamandoli al telefono, ma non era mai sicuro usare la cornetta dell’ufficio, soprattutto con un’indagine come quella in corso. Ci sarebbero potute essere intercettazioni, e lui non poteva permettere che i suoi compagni venissero scoperti per un errore tanto grossolano.

Per recuperare un po’ di fiducia in sé stesso, trafugò qualche bollo e lo infilò nella sua ventiquattrore. Elia avrebbe provveduto a contraffare documenti, documenti che avrebbero permesso a qualche pezzo grosso di scappare oltre il confine. 

Rovere non avrebbe avuto ragione di frugare nella sua valigetta, e lui avrebbe solo dovuto tenerla con sé per tutto il tempo che sarebbero stati insieme, senza perderla di vista. Nel peggiore dei casi, se lui avesse avuto l’ardore di rovistare tra i suoi effetti personali, avrebbe detto che si era portato un po’ di lavoro a casa, per alleggerire il carico mattutino.

Quando la giornata lavorativa finì si ritrovò fuori con Rovere, che gli sorrise di un sorriso caldo e all’apparenza genuino. Carmine lo odiava. Sapeva che quell’affabilità era solo di facciata, che dietro si nascondeva il germe del sospetto. 

Lui rispose al sorriso, come sempre.

«Allora, dov’è la vostra automobile? Mi fate strada?»

«Sono venuto a piedi, oggi. Vi indicherò la strada dalla vostra auto, se non è di disturbo.»

«Abitate vicino? Ho letto sul fascicolo che state in via Ammiraglia, magari è un errore…»

«Non è un errore. Mi piace camminare al mattino, tutto qui…»

Il sorriso di Rovere si allargò. «Ma certo, si capisce…»

Carmine si maledisse. Avrebbe dovuto pensarci, avrebbe dovuto portare la macchina in ufficio. Quanto poteva essere credibile che fosse arrivato a piedi da una casa così lontana?

Era inutile piangere sul latte versato, così strinse i denti e mantenne il suo sguardo fiero, anche se il nervosismo iniziava a minacciare di uscire allo scoperto.

Entrarono nell’Alfa Romeo dell’uomo e lui mise in moto, facendola partire. Carmine gli diede le indicazioni per arrivare a casa di sua madre, con i suoi due chiodi fissi nella testa. 

Il primo, che sua madre avrebbe potuto chiedergli vedendolo arrivare che diavolo ci faceva lì, facendo saltare la copertura.

Il secondo, che Mauro, Elia e Fabio in breve si sarebbero accorti che lui non era di ritorno, e sarebbero andati nel panico. 

Il tragitto in auto fu una tortura, tanto che lui non ricordava neanche la natura delle chiacchiere che intrattenne con la persona che aveva accanto. 

Una volta giunto a destinazione, prese le chiavi di casa – ne conservava sempre una copia per le emergenze – ed entrò.

«Uh, maronn, chi è?» sentirono, da sua madre che aveva sentito la porta aprirsi senza preavviso. 

«Sono io, ma’. Oggi sono tornato in anticipo, sono venuto in macchina. Ho portato un collega, scusa se ti avviso così ma non c’è stato modo di organizzarsi da prima…»

«In anticipo? Ma che staj a dicr?» chiese la donna, apparendo al corridoio. Era in tenuta da casa, portava i capelli raccolti ma era ancora truccata, di certo dal momento della giornata in cui si era recata al negozio a fare acquisti. Quando vide Rovere accanto a lui, memore del discorso di Carmine della sera prima, annuì. «Ma certo, tornato in anticipo! Io non ho ancora preparato niente, perdonatemi, la casa sta tutta in disordine…»

«Non preoccupatevi signora, noi aspettiamo. Non è vero, capitano?»

«E come, no?» rispose, cercando di sembrare naturale. Sua madre non era sembrata troppo forzata, grazie al cielo, ma restava sempre il problema dei ragazzi a casa che lo aspettavano. «Venite, signore, accomodiamoci in salotto mentre mia madre cucina qualcosa di buono, vi va? Vi offro da bere.»

Lo disse nella speranza che i liquori di suo padre fossero ancora nel mobiletto dove si aspettava, contando sul fatto che sua madre non li avesse bevuti in sua assenza.

Il suo bluff pagò. Versò dell’amaretto in uno dei bicchieri buoni e lo portò all’uomo seduto sulla vecchia poltrona di suo padre.

«Allora, capitano, notato niente di strano dal mio arrivo? Qualche collega elusivo, qualche irregolarità?» chiese, facendo roteare il liquido ambrato nel bicchiere. 

«Tutto è proceduto liscio come l’olio, come sempre. Non ho notato nulla di strano.»

«Già, neanch’io… chiunque sia la talpa, sta facendo un ottimo lavoro.»

«Avete considerato la possibilità che non ci sia nessuno? Che la mia centuria sia pulita?»

«Non è che non l’ho considerato, io l’ho considerato… ma poi l’ho escluso. Vedete, c’è qualcosa di strano nel tasso di arresti della centuria. Tutto funziona come dovrebbe funzionare, il numero di necessario a non chiudere è rispettato, solo che… solo che non viene arrestato un membro della resistenza da tantissimo, troppo tempo… inoltre ho sentito che sono spariti dei bolli e timbri per i documenti d’identità…»

Carmine pensò alla sua valigetta contenente i bolli e la strinse, cercando di non dare nell’occhio.

«Capisco quello che dite. Mi risulta solo così difficile credere che i miei uomini possano combinare qualcosa di tanto orribile.»

«Si capisce. So che i colleghi diventano anche una famiglia, che l’idea di un traditore può sembrare strana. Ma bisogna guardare in faccia la realtà. Il traditore esiste, e io lo troverò.»

Carmine sollevò il bicchiere verso il soffitto. «Alla vostra, allora. Che troviate quel cane e lo consegniate alla giustizia!»

«E alla vostra. Berlino avrebbe bisogno di più persone come voi, capitano.»

L’ombra di sua madre indaffarata e affaccendata con la cena passava avanti e indietro per i vari suppellettili da cucina conservati in soggiorno, una massa indistinta mentre i due uomini conversavano della centuria e di lavoro. 

I minuti passarono, il tempo della cena si avvicinava, e la forza dello sguardo di Rovere si faceva più pressante, ma Carmine non vacillò sotto il suo peso.

Note autrice
E che sorpresa è mai questa? Un aggiornamento di venerdì?
Ebbene sì, perché oggi è la giornata della memoria, e quale giorno migliore per aggiornare questa storia? Per cui vi beccate il doppio aggiornamento questa settimana (e la prossima, per altri motivi).
Il prossimo sarà l'ultimo capitolo, in cui succederà qualcosa di drastico. Rovere ha messo Carmine sotto torchio, sospetta qualcosa, e ormai Carmine deve trovare un modo per liberarsene. Ci riuscirà?
Mauro, Fayez ed Elia lo aspetteranno a casa? Andranno a cercarlo? Scapperanno pensando che la copertura sia saltata? Lo scoprirete nel prossimo capitolo, a cui seguirà l'epilogo.
Avevo deciso da tempo che l’ultimo capitolo e l’epilogo sarebbero stati pubblicati vicini, poi capirete perché, per cui doppio aggiornamento anche la prossima settimana, più precisamente di martedì e di venerdì!

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