OVRA
Fabio venne a chiamarlo quando fu pronta la cena, e per quel tempo Carmine era riuscito a calmarsi.
Stavano tutti seduti intorno al tavolo, lo stufato di coniglio in una grossa pentola proprio al centro.
L’amico non era mai stato un grande cuoco, ma era di gran lunga il migliore di loro. Sua madre gli aveva insegnato i piatti libici quand'era giovanotto, e crescendo aveva imparato alcuni piatti italiani.
Era un ragazzo sveglio, che imparava in fretta e, anche se la sua riproduzione dei piatti non era perfetta, – a volte poteva essere troppo salata, o la carne troppo dura – nessuno di loro si poteva lamentare.
Elia stringeva in mano la lettera di Cecco, il loro amico nelle campagne, a cui mandavano le munizioni con il loro corriere su al monte Camino.
«L’abbiamo letta» disse Fabio, che gli sorrise cordiale. Lui era il gigante buono, il collante che li teneva insieme, incapace di portare rancore e che cercava sempre di trovare una soluzione ai loro attriti. «Abbiamo pensato che magari non volevi che ti aspettavamo.»
«Avete fatto bene» mormorò, sedendosi al tavolo e porgendo il piatto a Fabio, che lo riempì con una generosa porzione di stufato. «Che dicono?»
«Il solito» rispose Mauro. Elia non aveva ancora detto una parola. «Di andare avanti, che sono orgogliosi di noi, eccetera eccetera. Che la vita nei boschi è una vitaccia, ma hanno le loro soddisfazioni. Che bisogna cacciare i tedeschi, la libertà tornerà, viva l'Italia...»
«Insomma, le stesse cose di sempre» intervenne Fabio. «Gli servono più armi, ma quelle sono in arrivo.»
Mauro si aggiustò gli occhiali sul naso, appannati per il fumo che usciva dallo stufato. «Mangia, prima che si freddi. Questa roba è ottima!»
Carmine sorrise, un sorrisino debole appena accennato. Mauro tendeva spesso a essere entusiasta, anche quando non ce n'era motivo. Dubitava fortemente che lo stufato di Fabio potesse definirsi ottimo, ma Mauro era fatto così, a lui bastava poco per essere felice.
Carmine lo assaggiò con calma, sotto gli occhi curiosi di Fabio.
«È molto buono» disse, anche se il sughetto era ancora un po' annacquato e la carne sarebbe potuta cuocere un po' di più.
Lo disse perché il suo amico l'aveva fatto per tutti loro, senza chiedere nulla in cambio, perché loro funzionavano così.
Elia mangiava in silenzio, la testa bassa, i boccoli larghi che gli finivano sugli occhi e dondolavano sul piatto pieno.
«Mi dispiace, comunque» disse Carmine, tra un boccone e l'altro. Aveva un nodo in gola, mentre pronunciava quelle parole. «Non avrei dovuto ignorarti.» Il ragazzo alzò le spalle senza rispondere. «È stata una brutta giornata. Non intendevo mancarti di rispetto, scusami.»
«Certe volte...» sussurrò Elia, a voce tanto bassa che quasi non lo sentì. «Certe volte torni da quel posto e a malapena riesci a guardarmi in faccia.»
«Non è per te, lo sai.»
«Lo so. È perché sono ebreo.»
«Non in quel senso! Non come loro. Sai che io non...»
«Non come loro, è vero» sospirò Elia. Mauro e Fabio si scambiarono uno sguardo preoccupato da sopra il tavolo. «Ma il motivo è sempre quello, giusto?»
Carmine distolse lo sguardo e alzò appena le spalle in un gesto evasivo. «Scusa. Cercherò di fare meglio di così.»
«Anche io ho le mie brutte giornate. Sempre chiuso qui, in questa casa a nascondermi. Anche io a volte sono arrabbiato.»
«Lo so, Elia... lo so.»
«Anche io posso permettermi di essere nervoso, e poi ti aggiungi anche tu che non mi guardi in faccia, e non mi rispondi quando ti parlo, come se non esistessi! E...»
«La famiglia Musso» interruppe Carmine. «La conosci? Sta in via Tanucci. Madre, padre e cinque figli piccoli.»
«Musso?» Elia restò interdetto per quell'interruzione così improvvisa. «Non credo, perché?»
Carmine prese un profondo respiro e si decise ad alzare lo sguardo verso di lui.
«Carmine, non devi per forza...» intervenne Mauro.
«Ne ho autorizzato la deportazione proprio oggi. Il secondo figlio è stato abbattuto. Su mio ordine. Aveva... aveva nove anni, e... cazzo.»
«Cristo» si lasciò sfuggire Fabio.
«Cristo, sì» rispose Carmine, che aveva ripreso ad agitarsi. La mano di Mauro si posò sulla sua gamba, per calmarlo. «È questo quello che faccio. È questo quello che faccio tutti i giorni, quindi scusami se a volte non voglio neanche guardarti in faccia perché ho paura di vedere il tuo odio, o peggio, di non vedere il tuo odio quando è tutto quello che mi merito.»
«Non posso perdonarti a nome di tutti gli ebrei d’Italia.»
«Non mi pare di aver chiesto il tuo perdono.»
Elia gli porse la sua mano aperta, sopra il tavolo. «Ma io vorrei dartelo.»
Carmine lanciò uno sguardo di sfuggita a Mauro, che annuì. Afferrò la mano che gli era stata tesa e la strinse.
«Se cerchi accuse o colpe, qui non ne troverai» disse Fabio. «Mangiamo, ora.»
Mauro accese la radio, per avere notizie sulla guerra in corso. Mangiarono in silenzio, mentre il radiogiornale li aggiornava sul fronte, notizie filtrate dalla propaganda da cui cercavano di carpire la reale situazione in corso.
Restarono attorno alla radio per circa un'ora, poi ognuno tornò alla sua stanza, come rassegnato.
Il giorno dopo, Carmine si svegliò che il sole stava appena iniziando a entrare dalla finestra. La stanza era immersa nella penombra dell'alba, e l'unico suono che poteva sentire era quello del respiro pesante del ragazzo accanto a lui.
Si accorse di avere le braccia di Mauro strette intorno al suo petto, e si districò piano per non svegliarlo, cercando di scivolare fuori dalle lenzuola senza che se ne accorgesse.
Lo sentì mugolare di disappunto nel sonno ma non si svegliò.
Neanche la doccia riuscì a lavare via la sensazione di sporco che portava dentro, che si era trascinato dietro dal giorno prima.
Quando sbucò in cucina per farsi il caffè si imbatté in Fabio ed Elia, che tagliavano polvere da sparo per degli esplosivi da portare nelle campagne.
Le dita macchiate di nero, il volto concentrato, i due ragazzi a malapena si accorsero della sua presenza quando mise la caffettiera sul fuoco.
Fabio ed Elia erano sempre i primi a svegliarsi.
Elia soffriva d’insonnia, il ricordo di sua madre e sua sorella deportate in Polonia gli occupava la mente e non lo lasciava in pace neanche la notte – men che meno la notte, per essere precisi.
Fabio si svegliava prima dell’alba per fabbricare gli ordigni, in attesa del corriere che sarebbe passato per nasconderli tra i cartoni del latte e i giornali e per farli arrivare su nelle campagne. Dopo la consegna al mattino, andava in officina in tempo per il turno delle nove.
Poi c’era lui, Carmine, che si svegliava alle sette per essere il primo ad arrivare in ufficio alle otto, prima del suo orario stabilito, da buon soldato degno di essere chiamato tale, per non destare sospetti.
L’ultimo a svegliarsi era sempre Mauro, che andava in redazione alle nove e tornava alle tre, per il resto scriveva i suoi articoli a casa, sulla macchina da scrivere, di giorno quelli per la sua redazione di regime e di notte i bollettini della resistenza, da consegnare ai fidati.
La loro casa funzionava così, era una macchina oliata alla perfezione, si davano da fare per integrarsi al regime e allo stesso tempo la loro doppia vita logorante li impegnava per ogni ora libera che avevano a disposizione.
«Caffè?» offrì, al sentire il gorgogliare familiare della caffettiera.
«Già preso» rispose Fabio, con il naso nella polvere da sparo. Era un energumeno impressionante, la pelle nera e le spalle larghe, la mascella squadrata e il naso dritto.
Nonostante facesse intimorire all’aspetto, era la persona più innocua e buona che Carmine avesse mai conosciuto.
«Se prendo un caffè è la volta buona che non dormo per settimane» mormorò Elia, gli occhi chiusi e le dita che gli massaggiavano le tempie tra i boccoli castani.
Carmine continuò a sorseggiare il suo in silenzio, osservando gli amici al lavoro. Quando ebbe finito di bere con calma, ancora in anticipo, si diede una sistemata ai capelli e uscì di casa.
Arrivato a destinazione l’ufficio era ancora deserto, come sempre, e si sistemò alla scrivania a compilare le sue scartoffie e sgraffignare documenti e timbri in attesa che arrivasse qualcuno.
Quel giorno sarebbero iniziate le indagini per le due donne che abitavano insieme, e Carmine in cuor suo sperava che fossero davvero solo due amiche che avevano scelto di vivere insieme, magari per appoggiarsi l’un l’altra in un momento di difficoltà. Non avrebbe retto un’altra deportazione tanto presto, non dopo la famiglia Musso che l’aveva segnato nel profondo.
Fu quando si sedette con comodo sulla scrivania e consultò i fascicoli sepolti dal giorno prima che rimase congelato sul posto.
Il volto di Fabio lo fissava da uno dei fascicoli, la foto dell’abissino era un po’ sfocata, in bianco e nero, ma riconoscibile.
Nemici dello stato
Fayez Al Hinou, accuse: tradimento, spionaggio.
«Cazzo» sibilò, afferrando il fascicolo e tendendo l’orecchio per assicurarsi di essere ancora solo nell’edificio.
Controllò l’indirizzo sul fascicolo, e con sollievo si rese conto che riportava ancora quello di sua madre. Se avessero scoperto che abitava insieme a un nemico dello stato, oltre che a un mezzosangue come lui... non ci voleva nemmeno pensare.
Si alzò con le gambe tremanti e andò al caminetto vuoto, accendendo un fiammifero e gettando nel fuoco foto, fascicolo e tutti i documenti allegati.
Il camino era stato vuoto da mesi, erano ad aprile ormai, e sarebbe rimasto vuoto ancora a lungo. Osservò le carte bruciare sinché non rimase altro che cenere.
Qualche minuto dopo entrò il suo primo collega, che lo trovò seduto a lavorare come sempre, senza che nulla destasse in lui dei sospetti.
Fu dopo la spedizione a casa delle due donne che sorsero problemi.
Arrivò senza preavviso il suo luogotenente, Lüders, a fargli visita alla scrivania.
Il suo superiore era un uomo austero, con la barba rasata di fresco, alto e dai capelli tirati all’indietro come moda richiedeva. La sua uniforme era stirata alla perfezione, e aveva l’aria tumultuosa quando mise piede nel suo ufficio e si ritrovò davanti a lui.
«Kapitän Coppola» esordì, entrando nella stanza con espressione turbata. «Vi porto notizie infauste.»
«Oberfurhër Lüders» rispose, alzandosi in piedi e facendo il saluto d’ordinanza. Ogni volta che alzava il braccio per rendere omaggio al Duce, al Fürher o chi per lui era uno strazio, che dalla sua espressione non trapelava mai. «Accomodatevi, vi prego. Ditemi tutto.»
L’uomo si sedette alla poltrona in pelle di fronte alla scrivania, non sembrava di buon umore. In genere, quando veniva a far visita al suo sottoposto, Lüders teneva un tono di convivialità, per quanto sempre con un’ombra del solito snobismo tedesco. In quel momento invece sembrava impostato, come se fosse lì in veste più ufficiale.
«C’è stata una fuga di notizie. Abbiamo avuto una battuta d’arresto per quanto riguarda le intercettazioni di nemici dello stato, nell’ultimo periodo. Temiamo possa esserci una spia all’interno della Centuria.»
Carmine restò immobile, cercando di mantenere un’espressione neutrale. Ringraziò di essere seduto, perché d’un tratto sentiva le gambe molli. «Una spia tra i miei uomini? Impossibile.»
«Anche per me è stato un duro colpo, credetemi» disse l’altro col suo accento spigoloso, prendendo un pacchetto di sigarette dalla tasca e accendendone una nello studio. «Ma gli episodi iniziano a moltiplicarsi, e a Berlino sono giunti alla conclusione che è l’unica spiegazione plausibile.»
Carmine lo guardò mentre prendeva una boccata ed esalava del fumo, uno sbuffo bianco quasi ipnotico al vedersi. Lui odiava l’odore del tabacco, sgridava sempre Mauro quando fumava in camera, ma essendo un suo superiore non disse nulla.
«Che succederà quindi? Chiuderanno l’ufficio?»
«Oh, no, niente del genere» rispose, osservando la sigaretta che aveva tra le mani con sguardo distratto. «Ci sarà un’indagine interna della Schutzstaffel coordinata con l’OVRA. Manderanno un agente che dovrà studiare i vostri sottoposti. Com’è ovvio, mi aspetto la massima discrezione.» Prese una boccata di fumo e la rigettò, Carmine riuscì a evitare di arricciare il naso infastidito per miracolo. «Nessuno deve sapere che l’agente è incaricato all’indagine. Si inserirà nella Centuria come nuovo caposquadra. Lascio a voi decidere a quale delle vostre squadre assegnarlo.»
Il ragazzo strinse le mani a pugno sotto il tavolo, prendendo una boccata d’aria nonostante ormai il suo ufficio fosse diventato una canna fumaria.
L’OVRA, Opera Volontaria di Repressione Antifascista, era il servizio di spionaggio del Duce, un’istituzione che aveva il potere di scoprire i nemici del regime infiltrati al suo interno.
La presenza di un agente come quello nella sua Centuria, incaricato di un’indagine di quel tipo, metteva a serio rischio la sua copertura.
«Ottimo» rispose, anche se ogni fibra del suo corpo gli urlava di darsela a gambe e non guardarsi indietro. «L’agente avrà bisogno di qualcosa? Gli fornirò tutto l’aiuto possibile. Se c’è un serpente tra le mie squadre devo saperlo, va estirpato il prima possibile.»
«Gli serviranno i fascicoli di tutti i dipendenti, compreso il vostro. Sapete com’è, la Verfahren... la... la procedura. Compresi di indirizzi, mi raccomando. Potrebbero esserci ispezioni improvvise, ovviamente all’insaputa dei vostri colleghi. Meglio non avvertire nessuno.»
«Logico. Preparerò i fascicoli oggi stesso, quando l’agente arriverà sarò pronto.»
«Bene, perché arriverà domani. Sono convinto che con la vostra collaborazione troverà il colpevole molto presto...»
«Lo spero davvero. L’idea di avere un cane traditore tra i miei uomini mi fa impazzire!»
Lüders sorrise allora, scoprendo dei denti giallastri, scuriti da anni di sigarette. «Ma io lo so che voi siete un uomo d’onore! Non avevo alcun dubbio sulla vostra collaborazione!»
Carmine rispose al sorriso, cercando di essere più genuino possibile. «Mi lusingate, Oberfurhër. Faccio solo il mio dovere. Gradite un bicchiere di vino? Uno di spirito?»
«Purtroppo non posso trattenermi» rispose, alzandosi in piedi, con entrambe le mani appoggiate alla scrivania. «Il dovere mi chiama.»
Il sorriso di Carmine si allargò. «Come diciamo noi... boia chi molla, eh?»
«Boia chi molla, sì» rispose, spegnendo la sigaretta sulla scrivania di ciliegio. Carmine deglutì per non farsi scappare una smorfia. «Curioso detto, non tanto appropriato per voi italiani, penso.»
L’Oberfuhrër Lüders uscì dall’ufficio dopo un ultimo sguardo condito da un sorriso cordiale, ma non appena chiuse la porta Carmine lottò per non abbandonarsi alla sua poltroncina in pelle, esausto.
Quello scambio gli aveva consumato tutte le energie.
Restò là, arreso agli eventi, con la stanza piena di fumo di sigaretta che gli faceva raschiare la gola, le gambe molli e il cuore impazzito nel petto.
Fabio era stato notato dai suoi uomini, se l’OVRA l’avesse seguito sino a casa e avesse visto che il ragazzo abitava con lui sarebbe divenuto immediatamente un sospettato.
No, non poteva lasciare il suo indirizzo nel fascicolo, avrebbe dovuto lasciare come sempre quello di sua madre. Questo significava che avrebbe dovuto istruirla a rispondere che abitava con lei, e sapeva già che gli sarebbe costato un terzo grado.
Rabbrividì al pensiero. Non tornava mai a casa sua, gli evocava vecchi ricordi d’infanzia, una sensazione di claustrofobia e fiato corto che non teneva a riprovare.
Ma l’avrebbe fatto.
Non appena riprese un po’ di forza alle ginocchia, si alzò e spalancò la finestra, per fare uscire il fumo. Non riusciva proprio a capire come una persona come Mauro potesse volontariamente spararsi nei polmoni qualcosa di tanto disgustoso.
Il tabacco era sporco, malsano. Si addiceva più al suo superiore, uomo abietto e schiavo del regime, che a uno come Mauro.
Osservando il fumo che scivolava lento ma sicuro fuori dalla finestra, ripensò a quella mattina. Alla fortuna che aveva di svegliarsi con la persona che amava, gambe e braccia aggrovigliate, il suo respiro sulla pelle in quell’attimo prima di alzarsi dal letto, quando il sonno lo teneva ancora con sé e lui indugiava per un istante prima di affrontare la giornata, godendosi il momento.
Non vi avrebbe rinunciato per niente al mondo, e per questo era di vitale importanza che l’OVRA non lo scoprisse. Non teneva per nulla all’essere fucilato, ma, soprattutto, se lui fosse caduto avrebbe trascinato giù i compagni.
Elia, Fabio e Mauro.
L’idea che potessero prenderli per una sua leggerezza gli faceva gelare il cuore.
Si ritrovò quasi a pentirsi di aver salvato chi aveva dovuto salvare, di non aver fatto il fascista modello per non dare nell’occhio. Se non avesse dato a Elia i bolli per i documenti falsi, se avesse arrestato chi di dovere invece, se avesse fatto il soldatino ubbidiente e avesse spedito tutti sul treno...
Il pensiero gli provocò una fitta di nausea alla bocca dello stomaco.
In cosa si stava trasformando?
Tutto quello che aveva ottenuto, la carriera, la sua posizione, lo aveva ottenuto per aiutare le persone. Per soffiare i casi sotto il naso del partito, per fare espatriare i compagni grazie alle sue conoscenze, permettere alla resistenza di esistere per dare al paese un futuro.
Smettere di aiutare le persone per paura di essere preso, passare all’essere il buon soldato insospettabile, anche se per una buona ragione, andava contro tutto ciò in cui credeva. Non poteva averci pensato sul serio.
Si allontanò dalla finestra per non farsi vedere dalla strada e cadde sulla sua poltroncina di peso, senza più forze. Si prese il volto tra le mani e sospirò.
Sarebbe andato da sua madre, la avrebbe istruita a dire ai suoi colleghi che abitavano ancora insieme. Si sarebbe assicurato che nessuno conoscesse il vero indirizzo di casa sua, e avrebbe continuato a fare quello che aveva sempre fatto.
Se anche l’avessero scoperto, almeno così avrebbero lasciato in pace gli altri. Se anche l’avessero scoperto, di certo l’avrebbero fucilato. Solo lui, nel giardino interno della caserma, finalmente libero da questo inferno. Non avrebbero mai trovato i suoi compagni.
Questo poteva ancora accettarlo. Poteva accettare di essere colto in flagrante, a patto che loro fossero salvi.
«Non posso fermarmi proprio adesso. Non ora.»
Note autrice
Fayez è stato adocchiato e l’OVRA si inserirà in Centuria. Le cose per il nostro povero Carmine non si mettono bene.
Almeno ha potuto fare pace con Elia, si è scusato e ha promesso che farà meglio. Chissà se ci riuscirà.
Nel prossimo capitolo vedrete la reazione di Mauro, Fayez ed Elia alle complicazioni.
Come reagiranno? Chi la prenderà meglio e chi peggio? Aspetto le vostre teorie, voi lo vedrete tra una settimana!
Intanto, ringrazio Frankie-03 che mi ha fatto dei bellissimi aesthetic dei personaggi, e ve li mostro ✨ in ordine si tratta di Carmine, Mauro, Elia e Fayez
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