Graziano Rovere

Quando andavano a dormire dopo una litigata, Mauro insisteva sempre per stringerlo durante il sonno, perché odiava andare a dormire arrabbiato o risentito. 

Carmine, che non era altrettanto sentimentale, preferiva dormire libero e potersi rigirare nel letto quando e come voleva. 

L'amore è sempre amore, però, e per il bene del sentimento si lasciava avvinghiare dalle braccia bianche di Mauro, finendo addirittura per non disprezzare quel momento, per goderselo come un ultimo attimo di pace prima di infilarsi la maschera pronto per andare a lavorare.

I capelli biondi slavati di Mauro brillavano alle prime luci dell'alba, il suo volto così vicino era sereno, almeno nel sonno. Carmine lo guardò con la consapevolezza che, se quel giorno tutto fosse andato male, sarebbe stato questo che aveva da perdere, questo giovane uomo coraggioso, che aveva rischiato tutto per la giustizia e la pace, che lo amava con tanta intensità da annichilirlo.

In genere faceva di tutto per non svegliarlo quando usciva per andare a lavorare, sapeva che Mauro aveva bisogno delle sue ore di sonno al mattino, ma quel giorno era diverso. Quel giorno sarebbe venuto l'uomo dell'OVRA, avrebbe indagato sui movimenti sospetti e chissà, forse sarebbe stato meno incompetente degli uomini del suo ufficio. 

Così Carmine gli sfiorò la guancia con le dita, lasciò che il suo volto si contorcesse in un'espressione di fastidio e poi aprisse un occhio, l'altro schiacciato sul cuscino.

«Tesoro?» mormorò, la voce gracchiante dal sonno.

«Ti ho già detto di non chiamarmi così» gli disse piano, ma un sorriso gli affiorò sulle labbra.

«Mi hai svegliato per dirmi questo?»

«No. Ti ho svegliato perché oggi viene l'OVRA. Ho pensato che avresti voluto salutarmi prima di uscire.»

Mauro si drizzò sul letto e spalancò gli occhi, d'un tratto più sveglio. «Sei sicuro di voler andare? Potresti sempre sparire, facciamo ancora in tempo.»

Il tentativo non fece breccia, come tutti i precedenti. «Quello che faccio è troppo importante, lo sai.»

Una mano si strinse sulla sua, sopra il letto sfatto. I due si guardarono, per qualche attimo, senza sapere cosa dire. Poi Mauro si sporse in avanti e lo baciò.

I suoi baci erano gli unici che Carmine conosceva, e andava bene così. Ancora dopo anni riuscivano a torcergli lo stomaco e dirgli le parole non dette. 

La prima volta che le loro labbra si erano toccate, era stato di ritorno da scuola. Allora non esistevano ancora le leggi razziali, ma sull'Italia si era già dipanata l'ombra del fascismo, a oscurare il cielo con il nero vischioso dell'odio.

In quei giorni il loro compagno di classe Cecco faceva già propaganda antifascista, di nascosto dietro i banchi di scuola. Era un ragazzino bocciato, poco più grande di loro, e le sue parole avevano subito attecchito su Elia, il compagno ebreo, poi su Mauro, e dopo un po' anche su Carmine che, a essere onesti, si presentava alle riunioni clandestine solo perché aveva una cotta per l’amico. 

Così, di ritorno da scuola, prima di una riunione con Cecco, davanti a una pila di fumetti e un bicchiere di latte, Mauro l'aveva baciato. 

Era stato lui, da sempre il più coraggioso, aveva posato le labbra sulle sue e aveva atteso qualche attimo, con ostinata decisione. 

Da quel momento, le labbra di Mauro erano state la sua debolezza. 

Carmine non poteva più farne a meno.

Gli altri dicevano che era Mauro quello innamorato, solo perché era più affettuoso e il suo amore era sgargiante, accecante, un fiume esondato dagli argini.

Carmine si era unito alla resistenza per lui, anche se non l'aveva mai detto a nessuno, nemmeno a Mauro stesso. Certo, poi la fiducia nella causa aveva preso il sopravvento, ma all'inizio ad attirarlo tra le loro fila era stato un paio di occhi chiari. 

Il suo amore era silenzioso, discreto, e a volte tanto forte che gli faceva tremare le gambe e gli mozzava il fiato nel petto. Sarebbe andato in Abissinia a piedi per quelle labbra, si sarebbe fatto saltare la copertura per lui, non c'era niente che non avrebbe fatto perché Mauro fosse in salvo. 

Così lo baciò, in bocca la sua lingua e un vago sapore di nicotina che tanto odiava e allo stesso tempo gli faceva girare la testa, i suoi sospiri nelle orecchie e le sue mani su di lui. 

Sentì che le mani di Mauro si infilavano nei pantaloni del suo pigiama e fu percorso da un brivido. Lo desiderava, da tanto tempo quanto riusciva a ricordare, continuava a volere il suo corpo ancora dopo tutti quegli anni insieme. 

Gli sfuggì un gemito e lo baciò più forte, famelico, ma proprio quando la mano del compagno trovò quel che stava cercando si fermò.

Si separò da lui e mormorò «Fermo. Mi farai fare tardi a lavoro.»

«Di’ che non ti è suonata la sveglia» protestò, baciandolo di nuovo.

Carmine si lasciò trasportare ancora, rispondendo al bacio con fervore e affanno, ma dopo qualche attimo si ritrovò costretto a separarsi da lui.

«No. Davvero, devo andare.»

Mauro sospirò, tirando fuori la mano dall'elastico dei suoi pantaloni e buttandosi di nuovo sdraiato sul letto. «Agli ordini, capitano» gli disse, con sarcasmo. I suoi occhi limpidi erano tristi, mentre guardava il suo compagno che si alzava e andava verso il bagno. 

«Non fare quella faccia» lo sgridò. «Dopo la doccia torno a salutarti.»

Si aspettò che Mauro gli chiedesse di assistere a questa doccia, come faceva ogni volta che si svegliava abbastanza presto. Lo sorprese però, restando steso sul letto come rassegnato.

L'acqua calda e la saponetta di Marsiglia profumata gli calmarono i nervi e lo motivarono per quel che lo aspettava. Si rasò la barba in modo che la ricrescita sparisse e si spruzzò l'acqua di colonia. In ultimo, la sua divisa. La camicia nera con le mostrine l'aveva sempre disgustato, per tutto quello che rappresentava, eppure la infilò comunque, perché quello era il suo lavoro.

Uscì dal bagno che era vestito di tutto punto, e trovò Mauro che guardava con aria malinconica verso la porta, gli occhiali inforcati sul naso. Lui gli sorrise e si avvicinò al letto, porgendogli una mano. Mauro l'afferrò e la portò alle labbra, dandole un bacio sul dorso.

Carmine chiuse gli occhi e prese un profondo respiro. «Io vado.»

«Sai perché ti chiamo ‘tesoro’?» chiese, ignorando le sue parole. 

Lui riaprì gli occhi e li puntò in quelli chiari dell'altro. «Perché ami darmi fastidio?»

«Perché sei la cosa più preziosa che ho. Torna, per favore.»

Ritirò la mano, come scottato, e deglutì. «Farò il possibile, lo prometto.»

In cucina, Fabio ed Elia erano già al lavoro, piegati sulla polvere da sparo, intenti nella fabbricazione dei soliti ordigni. 

«Buongiorno» mormorò, andando ai fornelli per scaldarsi il caffè.

«Buongiorno» rispose Fabio, senza staccare gli occhi dal suo lavoro certosino. 

Elia invece sollevò lo sguardo, fissandolo su di lui. «Oggi è il gran giorno, huh?»

Carmine alzò le spalle, dandogli la schiena per mettere la caffettiera già fatta sul fuoco. «Così pare.»

«Che gran giorno?» chiese Fabio, il naso ancora sulla polvere da sparo, il tono di voce distratto e disinteressato.

«Oggi viene l'OVRA in ufficio a cercare la spia» rispose, accendendo il fornello.

«Mhmh» rispose Fabio, sovrappensiero. Passò qualche secondo di silenzio, poi l'uomo esclamò «Oh.»

«Già. Ma non sono preoccupato» disse, anche se si trattava di una bugia. «Continuerò a comportarmi come sempre, non dovrei destare sospetti.»

«Tieni un profilo basso» disse Elia. «Stai fuori dai guai. Se salti tu, possiamo saltare tutti.»

«Non sanno dove abito, la copertura non dovrebbe saltare comunque.»

«Potrebbero spiarti se hanno dei sospetti. Seguirti.»

«Starò attento a non farmi notare. Forse potrei andare davvero verso casa di mia madre, se mi accorgo di qualcosa di strano... giusto come precauzione. Potrei fare più tardi del solito.»

La caffettiera iniziò a gorgogliare e lui spense la fiamma. Si versò la bevanda in una delle tazzine e soffiò sul caffè caldo, senza aggiungere zucchero. Lo portò alle labbra e chiuse gli occhi, appoggiato alla cucina, gustandosi il sapore amaro.

«Mauro non sarà contento» commentò Fabio, che ormai aveva deciso di fare una pausa dalla sua preparazione di ordigni. 

«Quello che pensa Mauro è meno importante della copertura» commentò Elia, asciutto. 

Anche Carmine lo pensava. All'inizio si era unito alla causa solo per lui, perché gli piaceva e voleva compiacerlo, ma poi i discorsi di Cecco avevano fatto breccia, lui era cresciuto, e ora si rendeva conto di avere vite sulle spalle, che era una cosa seria.

Si ritrovò ad ammettere che sì, la copertura era più importante dei sentimenti di Mauro, per quanto i sentimenti di Mauro fossero di vitale importanza per lui.

«Ci vediamo stasera. Se non torno in orario, ho notato qualcosa di strano e sono andato da mia madre.»

«Come facciamo a sapere se ti è successo qualcosa?» chiese Fabio.

«Non lo saprete, dovrete fidarvi di me» rispose, sbrigativo. «Ora vado, non posso fare tardi. Arrivo sempre presto, non voglio cambiare le abitudini proprio oggi.»

«Va’» disse Elia, gli occhi di un marrone caldo puntati su di lui. «E sta’ attento.»

Arrivò al lavoro che era uno dei primi a presentarsi, come sempre. 

Entrò nel suo ufficio e si sedette alla scrivania, il cuore che gli batteva all'impazzata nel petto.

L'OVRA era una cosa seria, non era come i gonzi del suo ufficio. Era l'intelligence del partito che si occupava nello specifico di casi come il suo. Tutto sarebbe potuto andare storto, le indagini gli avrebbero messo i bastoni tra le ruote, e se lui avesse continuato a rifiutare casi o farseli sfuggire da sotto il naso si sarebbero certo accorti che qualcosa non andava.

Se avesse deciso di tenere un profilo basso, però, avrebbe mandato i compagni a morire – o peggio. Se avesse deciso di tenere un profilo basso, proprio come aveva detto Mauro, sarebbe stato in tutto e per tutto ‘un fascio vero’ e allora a cosa sarebbe servita la sua presenza lì?

Iniziò a ordinare le carte sulla sua scrivania e attendere i fascicoli di giornata, quando proprio nel bel mezzo della sua concentrazione qualcuno bussò alla porta.

Il suo cuore si fermò.

Riuscì solo a pensare che fosse arrivato il momento, per poi pronunciare un deciso «Avanti.»

Il suo superiore, l’Oberfurhër Lüders, si affacciò nel suo ufficio con fare ossequioso.

«Kapitän» disse, aprendo la porta e rivelando alle sue spalle un uomo che Carmine non conosceva. Lüders chiuse la porta dopo che furono entrati e modulò la voce per non farsi sentire all'esterno. «Sono qui per presentarvi Graziano Rovere, l'inviato dell'OVRA, starà qui per un po' a condurre le sue indagini.»

Carmine si alzò e passò intorno alla scrivania, raggiungendo i due uomini e stringendo la mano al più giovane dei due.

Rovere era un uomo sulla quarantina, dai capelli che iniziavano a striarsi di grigio. Aveva la barba rasata di fresco, gli occhi chiari, e non era in divisa. Portava un paio di pantaloni eleganti grigio chiaro, una camicia bianca e una cravatta grigio fumo a strisce più chiare. La sua stretta fu salda, ma quella di Carmine non fu da meno.

«Molto obbligato» disse, quando la lasciò. «È un piacere fare la vostra conoscenza, signor Rovere. Voglio che sappiate che avete la mia completa collaborazione e che potete sempre passare dal mio ufficio se avete bisogno di qualcosa. Sono convinto che la talpa salterà fuori quanto prima, se riusciamo a collaborare.»

«Piacere mio, capitano» rispose, aggiustandosi la cravatta. «La vostra fama vi precede. Sono sicuro che questa collaborazione riuscirà a facilitarmi il lavoro abbastanza da farmi trovare la spia in poco tempo.»

«Confido che il vostro lavoro sarà eccellente» sostenne Carmine, la sua voce non esitò.

«Benissimo» commentò l’Oberfurhër. «Avete visto, Rovere? Ve l'avevo detto che sarebbe stato collaborativo. Coppola è uno dei migliori capitani che abbiamo.»

«Oh, non ne dubito... andremo molto d'accordo, noi due.»

«Senza ombra di dubbio» confermò Carmine.

«Mi serviranno tutti i fascicoli privati dei vostri dipendenti, compreso il vostro. È una formalità, sapete... e ho bisogno di conoscerli bene. Voglio vederli in azione, devo osservare i loro comportamenti sul campo.»

«Avete piena libertà all'interno della centuria. Vi chiedo solo di essere discreto. Se qualcuno di loro si accorgesse del vostro intento...»

«Si capisce. Imparerete che sono un tipo molto discreto.»

«Io devo andare, devo sbrigare degli affari a Milano, la macchina mi aspetta. Vi lascio a fare le vostre conoscenze» si accomiatò Lüders, che dopo aver fatto il saluto romano sparì dalla loro vista.

«Ma accomodatevi, prego, fate come foste a casa vostra. Gradite un amaro, una grappa magari?»

«Un sorso lo prendo volentieri» rispose, benché fossero appena le nove del mattino. Rovere si sedette sulla poltroncina dall'altro lato della sua scrivania, e Carmine andò al mobiletto degli alcolici, afferrando una bottiglia di grappa e due bicchieri. 

«Ecco qui» esclamò, sedendosi al suo posto e spostando dei fascicoli dalla scrivania, per liberare lo spazio per la bottiglia e i bicchieri. «Se avete bisogno dei fascicoli sui miei uomini vi consiglio di consultare l'archivio, si trova al secondo piano. Dite che vi ho dato il permesso di accedere ai documenti privati. Li ho ordinati io stesso proprio ieri, dovrebbero essere completi di tutti quello che vi occorre.»

Versò del liquido trasparente nel bicchiere di cristallo, l'uomo osservava con attenzione ogni suo minimo movimento, e Carmine si sentì esposto.

«Voi fumate, capitano?» 

«Temo di no» rispose, versando la grappa anche nel bicchiere davanti a lui. «Come mai lo chiedete?»

«Curiosità. Non ho visto posacenere qua dentro, eppure quando vi siete avvicinato ho percepito dell'odore di fumo.»

Carmine deglutì. Odiava quando Mauro fumava in camera, l'odore gli si appiccicava ai capelli e ai vestiti. Benché si fosse lavato quella mattina, l'odore di tabacco doveva essere rimasto.

«Mia madre è una fumatrice. In tutta onestà, è un vizio che non sopporto...»

«Brutta abitudine, soprattutto per una donna» commentò lui. «A proposito di vostra madre... so che abitate ancora con lei. Alla vostra età e col vostro stipendio è assai strano, non trovate? Posso chiedervi il perché di questa scelta?»

Carmine alzò le spalle. Avvicinò il bicchiere a quello dell'altro e lo fece tintinnare, poi bevve un sorso. Il sapore di alcol a temperatura ambiente gli bruciò la gola. 

«Da quando è morto mio padre, mia madre è una persona molto sola. Io non ho ancora una donna, dunque posso ancora permettermi di farle compagnia, non mi va di abbandonarla. Quella di famiglia è una casa così grande per viverci soli...»

«Capisco. Quindi voi siete uno scapolo, uno scapolo d'oro. Strano che non abbiate ancora trovato moglie. Avete... ventinove anni, mi sbaglio?»

«È corretto. Sapete, lavoro davvero molto, non ho tempo per le donne. Il mio è un mestiere che occupa tempo e testa, lo saprete meglio di me...»

«Mi risulta che lavoriate qui in centuria da sette anni. Pochini, per essere già capitano.»

Carmine mandò giù un altro sorso di grappa calda, poi alzò gli occhi su di lui. «Questo è un interrogatorio, non è vero?»

Rovere sorrise. Un sorriso poco allegro ma divertito, molto intelligente. «Non mi permetterei mai. È solo una chiacchierata, tutto qui.»

«Ci mancherebbe» mormorò Carmine, il volto nascosto dietro il bicchiere. 

«Avete qualche sospetto all'interno della centuria? Avete notato qualche movimento strano, qualcuno che si comporta in modo irregolare, che fa meno arresti, che va poco d'accordo con gli altri?»

«Che va meno d'accordo con gli altri c'è Montella, ma lui è uno degli agenti più prolifici che abbiamo, lavora tanto e bene. Non so se potrebbe trattarsi di lui. Sono sempre stato convinto che fosse solo un po' antisociale.»

«Mi informerò. Ho bisogno di sapere tutto di tutti. Abitudini, amici, indirizzi, storie familiari...»

«Troverete tutto nell'archivio. E quello che i fascicoli non dicono potrete procurarvelo, non ho dubbi a riguardo.»

«Fate bene a non averne» disse Rovere, buttando giù l'ultimo sorso di grappa e sbattendo il bicchiere sulla scrivania. «E ricordate, capitano, che farete bene anche a non avere favoriti in questo ufficio. Nessuno è al sicuro... neanche i più insospettabili.»

Quando fu ora di lasciare l'ufficio, Carmine si incamminò in direzione di casa di sua madre. Procedette in quella direzione a lungo, poi quando fu certo che nessuno lo stesse seguendo svoltò e tornò sui suoi passi, verso casa.

In un lampo di ribellione e curiosità acquistò il giornale sulla via, per sapere cosa la propaganda aveva deciso di comunicare quel giorno ai cittadini. La sua copia del Corriere della Sera stava nelle sue mani, mentre si guardava intorno preoccupato per essere certo che nessuno lo avesse seguito dall'ufficio sin lì. 

Ogni quotidiano del territorio, fatta eccezione dei bollettini della resistenza, era venduto al regime. Carmine lo sapeva bene, perché Mauro lavorava nel settore e sapeva di scrivere solo ciò che il partito voleva venisse scritto, ogni giorno gli articoli venivano commissionati e approvati dal partito fascista. 

Mauro a volte si stancava di scrivere per loro, sapeva di star facendo qualcosa di sbagliato, ma anche la sua presenza era vitale per la sopravvivenza della resistenza. Veniva a conoscenza delle notizie prima che venissero filtrate dalla censura, e mentre scriveva gli articoli mutilati per il suo giornale, la notte sulla sua macchina da scrivere si faceva perdonare coi bollettini antifascisti, che venivano consegnati nelle case della resistenza da ragazzini pagati qualche lira.

Quando arrivò a casa con la sua copia del giornale, infatti, Mauro era sulla macchina da scrivere che batteva e batteva, con Elia annoiato che gli teneva compagnia e Fabio che preparava la cena, come al solito.

Non appena aprì la porta ed entrò, Mauro alzò gli occhi dalla macchina da scrivere e spense la sigaretta sul tavolo della cucina, dove ne stavano altre tre.

«Sei in ritardo» disse, a mezza voce. «Perché ci hai messo tanto? Pensavamo...»

«Ho preferito fare un'altra strada, nel caso qualcuno mi stesse seguendo. Scusate.»

«La prossima volta avvertici prima» commentò Elia, «ci hai fatto prendere un bello spavento.»

«Ve l’ho detto che forse sarei andato da mia madre, stamattina, io..» Non terminò la frase. Mauro si era alzato in piedi e si era avvicinato a lui, lo guardava come se cercasse di convincersi che fosse vero. «Sto bene» gli disse. «È tutto a posto.»

Lo abbracciò, e lui si irrigidì sul momento, per poi stringerlo a sua volta. Fabio si voltò dai fornelli e gli sorrise, mentre Carmine teneva Mauro stretto a sé. 

«Stai bene» sussurrò Mauro al suo orecchio. La mano di Carmine corse ai suoi capelli e li accarezzò. «Grazie a Dio, stai bene.»

«Sto benissimo. Mi ha interrogato, mi ha messo un po' sotto torchio, ma penso di essere andato bene. Ha detto che indagherà un po' sul passato dei miei uomini, deve analizzarli tutti, speriamo che esca fuori qualcuno di sospetto.»

Mauro si slegò dall'abbraccio e lo guardò, gli occhi azzurri ingigantiti da due spesse lenti di occhiali. «Ti ha interrogato? Perché? Sospetta di te?»

«È stata solo una formalità.»

Mauro sospirò di sollievo. Aprì la bocca per dire qualcosa, ma il suono che seguì gli mozzò il fiato in gola, come a tutti loro.

Qualcuno bussò alla porta.

«Signor Coppola, siete in casa?»

Scese il gelo nella stanza. Nessuno avrebbe dovuto sapere che Carmine abitava laggiù, che Rovere l'avesse fatto seguire senza che lui se ne accorgesse? Che avesse davvero messo gli altri in pericolo?

«Nasconditi. Adesso» intimò Carmine a Elia, che senza dire una parola si affrettò a chiudersi in camera sua, nella botola che Fabio aveva ricavato da una vecchia cantina che spariva sotto il pavimento. 

Mauro levò uno dei quattro piatti dal tavolo, pronti per la cena, per far sparire il suo passaggio, e ordinò la sedia su cui era stato seduto.

«Avevi detto che non ti avevano seguito» mormorò Fabio, nel panico.

«Infatti non mi hanno seguito! Almeno, io pensavo di no!»

«Ricordate il piano e siate naturali. Andrà tutto bene» ripeté Mauro, poi gli fece cenno di aprire la porta.

Carmine annuì. Ripassò il piano nella sua testa. 

Quella sarebbe dovuta essere casa di Mauro, gli altri due amici erano stati lì per qualche giorno, per questo gli altri due letti erano sfatti. Li aveva invitati per festeggiare una promozione, e avevano passato gli ultimi due giorni a bere e a mangiare in compagnia. 

Fabio e Carmine vivevano ancora dalle loro madri, Elia non era mai stato lì, tutto era sotto controllo.

Carmine si fece forza e avanzò verso la porta d'ingresso. Chiunque avesse appena bussato, lo fece ancora. «Signor Coppola? Ci siete?»

Deglutì, pose la mano sulla maniglia, e la porta si aprì.

Note autrice
Beccato, ops.
Chi sarà mai? L'avranno davvero seguito sino a casa? Cosa succederà adesso?
Mi rendo conto che fare finire qui il capitolo sia una bastardata, ma non sapevo dove spezzarlo (e sono anche un po’ bastarda, lo ammetto).
Pensieri? Teorie? Impressioni?
Noi ci vediamo al prossimo capitolo!

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