5. Libera
«Ho trovato un lavoro. Non va bene?»
La dottoressa bionda mi guarda da dieci minuti buoni come se fossi pazza. «Ti espongo la questione da un punto di vista diverso: sei una ragazza di vent'anni, laureata da pochi mesi. Avresti potuto ambire a qualcosa di più che fare... la pescatrice. Per giunta sulla barca che ti ha salvata, Âmbar!»
«Questo cosa c'entra?»
«C'entra.»
Capisco che c'è qualcosa che la dottoressa Neves non mi dice, ma non mi interessa saperlo. «Non sapevo proprio da dove partire. E servire ai tavoli di un ristorante non rientra tra le mie opzioni.»
«Perché no? Per iniziare sarebbe stato perfetto.»
«No, io...» Chiudo gli occhi e lascio andare un lento sospiro di frustrazione. Per uscire da questo impasse dovrò confessare, anche se non so che parole usare. Opto per le prime che mi passano per la testa, quelle che mi tolgono il sonno la notte. «Non voglio che mi trovino.»
La Neves sospira. Nonostante cerchi di nasconderlo, la ruga che le deforma la bocca mi lascia intuire quanto in realtà sia preoccupata per me. «Tuo padre non è stupido. Non si avvicinerà a te sapendo di dover affrontare l'udienza a breve. E se dovessi vedere lui o qualcun altro della tua famiglia, non devi far altro che chiamare l'agente Carmo, lo sai.»
«Quindi secondo lei che dovrei fare?» sbotto. «Fingere di non avere nulla da temere? Vivere come se la mia fosse una vita normale?»
«La tua è una vita normale». Lo sguardo della dottoressa è dolce, ma il tono della sua risposta è fermo e deciso. «È giusto che tu sia spaventata da questa situazione, ma la paura che senti devi imparare a dominarla.»
«E come?»
«Sei in una nuova città, non hai voglia di esplorarla?» Annuisco, e lei mi incalza: «Allora fallo! Una ragazza della tua età dovrebbe avere il desiderio di conoscere nuove persone, di trovarsi un lavoro che le piaccia, di uscire a cenare con gli amici.»
Fino a questo momento l'idea di prendere in considerazione l'invito a uscire di Felipe non mi ha minimamente sfiorata. Eppure, adesso che ci penso, mi piacerebbe sapere cosa si prova a passare la notte fuori, ad andare a ballare in discoteca. Non è questo che fanno tutti i ragazzi della mia età? «E secondo lei potrei cominciare anche subito?»
La Neves alza le spalle. «Non vedo perché no.»
«Quindi posso farlo? Posso uscire stasera?» le chiedo, col cuore in gola.
Lei sbatte le palpebre un paio di volte e risponde, accigliata: «Stai chiedendo a me il permesso per uscire?» Un lampo di comprensione attraversa il volto della dottoressa, mentre io balbetto una risposta incomprensibile persino a me stessa. «Chiedevi a tuo padre l'autorizzazione per uscire, vero?» sussurra.
Le mie guance bruciano di vergogna, e non ce la faccio a sostenere lo sguardo pietoso che lei mi lancia. «A un certo punto ho smesso persino di chiederglielo, in realtà.»
«La libertà di scegliere è sempre stata tua. Tu e solo tu hai il diritto di decidere cosa fare e quando farlo. Chiaro?» Annuisco, ma non ho il coraggio di parlare perché sono sull'orlo delle lacrime. Per diversi minuti l'unico rumore nella stanza è la penna della Neves che gratta sulla carta. Poi la dottoressa raddrizza la schiena e mi sorride, incoraggiante. «In ogni caso, mi fa piacere che ti sia fatta degli amici qui. Ti va di parlarmene? Si tratta di qualcuno che alloggia al convento?»
Scrollo le spalle e rispondo: «No, è solo Felipe.»
«Il ragazzo che ti ha soccorsa?» Stavolta la Neves non riesce a nascondere il sarcasmo nella voce.
In effetti, realizzo, è stato proprio Felipe a trovarmi in acqua. Il pensiero che lui mi abbia vista nuda mi fa arrossire fino alla punta dei piedi. «Sim*.»
«Che ne pensi di lui?»
Dottoressa, stai fraintendendo il mio essere arrossita. «È ok.»
«È ok», ripete lei. «Quindi si tratta di un'uscita a due.»
«No, ci sono anche i suoi amici». Meglio puntualizzare che non si tratta di un appuntamento. «Mi hanno invitata ad andare con loro a ballare, ma non so se è una buona idea.»
«Perché? Conoscere nuove persone è un buon segno. E farebbe un'ottima impressione anche all'udienza di mercoledì.»
Ah, l'udienza. «Dottoressa, lui ci sarà?»
«Tuo padre? No, non ci sarà nessuno. Io e Teresa Carmo ti accompagneremo dal giudice con il tuo avvocato d'ufficio, e dovrai solo ripetere a lui ciò che hai già detto a noi.»
«Sarete entrambe con me?»
La Neves allunga il braccio sulla scrivania. Posa la mano sulla mia e la stringe forte. «Certo che saremo con te. Finché lo vorrai, non sarai mai sola.»
⚓︎
Mi sento un pesce fuor d'acqua a camminare nei vicoli illuminati dalle fievoli luci dei lampioni. Ho il batticuore, e l'impressione che qualcuno mi segua è così forte da farmi voltare di continuo, a smascherare ombre vuote e pericoli che esistono solo nella mia testa. Al contrario, la fermata del tram è piena di gente, il che non mi fa sentire affatto meglio. Rovisto nella borsa in cerca del cellulare e la luce di una notifica preannuncia che uno dei due numeri che ho in rubrica mi ha inviato un messaggio. Le parole apprensive della Carmo mi fanno alzare gli occhi al cielo; sto per risponderle che non ho bisogno di una babysitter, ma l'arrivo del tram mi distoglie dall'intento.
Il convoglio ingoia senza difficoltà la folla sulla banchina, e nel corridoio, in corrispondenza della porta, resta persino un piccolo spazio vuoto. Esito qualche secondo di troppo e mi decido a salire poco prima che le porte si chiudano alle mie spalle. È la partenza a cogliermi del tutto impreparata: mi sbilancio in avanti e sono costretta ad appoggiarmi alle spalle della ragazza ossigenata seduta di fronte a me per non cadere. I miei occhi incrociano delle iridi azzurre chiare e luminose, su un volto truccato di tutto punto. «Tutto bene?»
«Sì, ho solo perso l'equilibrio. È la prima volta che prendo un tram», le spiego, e mi allontano di qualche passo per sostenermi al corrimano.
Lo sguardo della ragazza si sofferma all'altezza dei miei polsi, e io mi accorgo che la manica della giacca di jeans è scivolata fino quasi a metà avambraccio, lasciando scoperta la cicatrice arrossata, che spicca sulla pelle candida. Lei incrocia di nuovo gli occhi coi miei , e sono lieta di constatare che nel sorriso che mi rivolge non c'è traccia di compatimento. «Tranquilla, non ti preoccupare. Ti abituerai.»
Io le sorrido di rimando, ma il tram sta decelerando e la prossima è già la mia fermata. Prima di voltarmi verso la porta la saluto. «Boa noite*.»
«Boa noite*, bellezza.»
La strada in cui scendo è stretta e in salita. Intercetto subito Felipe, appoggiato con disinvoltura a un muro, poco distante da me. Dei pantaloni neri e aderenti mettono in risalto il fisico slanciato, e la camicia scura che indossa si accorda alla perfezione con il tono della sua pelle. Non riesco a fare a meno di pensare che stia parecchio bene vestito così. Sono a pochi passi da lui quando alza la testa e mi vede. «Oi*», lo saluto.
«Sei venuta!», dice lui, senza riuscire a nascondere un pizzico di stupore.
Apro le braccia e alzo le spalle. «Sono qui.»
«Andiamo, allora», replica, e fa strada incamminandosi su per il vicolo. «Ivo e Vivi ci stanno aspettando al Club.»
«Cos'è il Club?»
Lui mi guarda con un'espressione incredula dipinta sul volto. «Cos'è? È una delle discoteche più famose della città. Non puoi non conoscerla!»
«Io sono nuova in città», lo informo.
«Ah, sì?»
«Sim*». Credo che lui si sia accorto che l'argomento mi mette a disagio, perché non indaga oltre.
Per qualche minuto affrontiamo la salita in silenzio, finché lui mi chiede, di punto in bianco: «La sai ballare la Samba?»
Uno sbuffo prepotente fuoriesce dalle mie labbra. «Io non ho mai ballato in vita mia! Tu?»
«La Samba noi brasiliani ce l'abbiamo nel sangue.»
«Sei brasiliano?»
«Non si sente?» risponde lui, alludendo al suo accento. Io sorrido ma non rispondo. «Posso insegnartela, se vuoi. La Samba», aggiunge, dopo qualche attimo di esitazione.
Ci penso su per un minuto buono prima di rispondere e, più per istinto che per logica, dico: «Ci sto. Insegnamela.»
⚓︎
A metà serata ho già deciso che la discoteca non fa per me. Gli altri parlano e io non riesco a sentirli. Mi offrono alcolici e sono costretta a rifiutare perché non posso bere per via dell'udienza. In più, i divanetti sono tutti occupati, e finisco per passare la serata appoggiata al muro, pur di non farmi spintonare dalla gente di passaggio.
Però, a dire il vero, non mi sto annoiando. Ivo e la sua ragazza Viviane ballano di fronte a me come se dovessero spogliarsi sulla pista da un momento all'altro. Sono davvero bravi, ma la vera sorpresa della serata è Felipe.
Aveva ragione: è un ballerino nato. Sono incantata, non riesco a distogliere lo sguardo da lui. Certe cose si imparano, ma quello che lui diventa quando balla non si può insegnare; deve essere un'eredità di sangue, un istinto che sgorga direttamente dal DNA, un dono di chissà quale dio. Di certo è il ballerino più ambito della pista, lo capisco perché attorno a lui si crea una vera e propria calca di donne. Le sue mani le accarezzano tutte, per un ballo o poco più, prima di passare alla prossima, alla prossima e a un'altra ancora. Il suo modo di ballare è ipnotico, non ha nulla a che vedere con la sensualità che c'è tra Ivo e Viviane. È una storia d'amore a senso unico tra lui e il ritmo che gli scorre nelle vene. Nella foga del ballo la camicia di Felipe si è slacciata, e di tanto in tanto quel lembo di stoffa si sposta, lasciandomi intravedere i suoi addominali scolpiti.
«Felipe è fenomenale con la Samba, vero?» Non ho visto Viviane arrivare e mi affretto a distogliere lo sguardo, in imbarazzo.
«Non ho mai visto nessuno ballare così. Però anche voi siete molto bravi!»
Lei alza le spalle e urla di rimando: «Sì, ma lui di più!»
Viviane è dolcissima. Abbiamo parlato poco perché è impossibile conversare con il volume assordante di questa musica, ma sembra proprio il tipo di persona che riuscirebbe ad andare d'accordo con chiunque. Mi tiene compagnia da quando Felipe si è dileguato sulla pista e si allontana solo quando Ivo la reclama per ballare. È un'insegnante di Yoga. Mi ha detto che è tornata dall'India un anno e mezzo fa e stava pianificando di ripartire, quando ha conosciuto Ivo ed è rimasta. È incredibile quanto perfetta sia la coppia che formano loro due. Sembrano modelli di stupide riviste per ragazzine: belli e innamorati all'inverosimile.
La ragazza sorride, sorniona, del mio imbarazzo. Sposta una ciocca dei lunghi capelli scuri sulla schiena, si avvicina al mio orecchio e mi confida: «È un ottimo insegnante, sai. Io e Ivo abbiamo imparato da lui». Ripenso a quello che mi ha detto Felipe qualche ora fa davanti al locale e azzardo di nuovo un'occhiata nella sua direzione. Dal livello di coinvolgimento che ha, direi che stasera non è il momento giusto per ricevere la lezione che mi ha promesso. Per fortuna Ivo arriva, districandosi tra la folla, e mi evita l'obbligo di replicare. Ha tre bicchieri in mano e mi fa cenno di prendere quello al centro, mimando con la bocca la parola "analcolico". Consegna l'altro a Viviane e insieme brindiamo.
Dopo un po' il ragazzo si avvicina per sussurrarmi qualcosa all'orecchio, e il suo petto mi sfiora appena la spalla. È un contatto innocente, lo so, ma il corpo reagisce d'istinto. La stessa, sgradevole sensazione di disagio provata stamattina si ripresenta, prepotente, lasciandomi pietrificata. «Ambra, perché non vai a ballare con Felipe?»
Scuoto la testa e mi allontano da lui, con il pretesto di posare il bicchiere su un tavolo. Non so perché la sua vicinanza mi faccia questo effetto che non riesco a gestire. Dovrò parlarne alla dottoressa il prima possibile. Respiro a fondo per qualche minuto e un po' mi calmo, anche se un vago senso di timore mi resta attaccato addosso. Credo di non avere più voglia di rimanere. «Ragazzi, vado via.»
«No, resta ancora!» mi implora Viviane.
«Sei sicura?» chiede Ivo.
Io annuisco, convinta. «Sì, sono sicura. Salutate Felipe!»
Attraversare la calca per raggiungere l'uscita non si rivela cosa da poco. Il disagio che provo cresce al contatto con quei corpi sconosciuti e, quando l'aria fresca della notte mi sfiora il viso fuori dal locale, ho il fiato corto e un peso che mi comprime il petto. Cammino nei vicoli deserti con le pulsazioni del cuore che non accennano a rallentare; alla fermata del tram ho il sangue che martella nei timpani e riesco a malapena a respirare. Non bado a niente e a nessuno, mi rannicchio su me stessa e metto la testa tra le mani, aspettando che il panico che provo vada via così com'è venuto.
«Stai bene?» Alzo appena la testa e intravedo la sagoma di una ragazza. «Hai bevuto, fumato o entrambe le cose?»
Scuoto la testa e seppellisco di nuovo il viso tra le mani. «Nessuna delle tre. Sto bene, tra poco passa.»
Sento un fruscio e, sbirciando tra le dita, vedo che anche lei si è rannicchiata sulle ginocchia, proprio davanti a me. «Ci siamo incontrate prima, ricordi?» Tolgo le mani dagli occhi e in effetti la riconosco: è la ragazza bionda a cui sono caduta addosso nel tram. «Non ti sembra strano che ci incontriamo due volte nella stessa sera? Mi chiamo Ileana, tu?»
Incrocio il suo sguardo e rispondo, incerta: «Âmbar.»
«Non ti ho mai vista da queste parti. Sei solo di passaggio, eh?»
«Sim*, come...»
«...faccio a saperlo? Quelli che circolano qui intorno a quest'ora li conosco tutti, ormai», spiega. Con un cenno della testa indica una signora mora e distinta dall'espressione triste, e prosegue a voce bassa: «La vedi quella? È l'amante di un uomo ricco che sta con lei solo il venerdì notte. Gliel'ho sentito dire qualche mese fa... E quei due ragazzini seduti sulle scale potrebbero sembrare innocui, invece indicano ai turisti come procurarsi la droga nel quartiere. E lui?» dice, salutando con la mano un signore in tunica islamica che chiacchiera a voce alta in videochiamata. «Lui è Kemal. Una sera mi fissava in maniera inquietante e gli ho fatto una scenata. Non ne vado molto fiera, lo ammetto, ma in compenso abbiamo fatto amicizia. Ha un negozio di frutta e verdura giù al porto che gestisce con la famiglia di suo fratello. È una brava persona». La vedo sorridere e spostare di nuovo l'attenzione su di me. «Che ne dici se ci alziamo? Iniziano a farmi male le ginocchia.»
Non so bene come e quando sia successo, ma il respiro è tornato regolare e il peso che sentivo sul petto sembra svanito nel nulla. Questa sconosciuta mi ha salvata da una crisi che non avevo la minima idea di come gestire. Annuisco e mi tiro su, osservandola meglio. Indossa degli stivali dal tacco alto, una minigonna molto mini e un maglione nero oversize. Sul suo viso fanno capolino degli occhi così azzurri da apparire come gemme luminose sotto la quantità esagerata di ombretto nero che ha sulle palpebre. Anche lei mi sta studiando: osserva il mio corpo, fasciato nel semplice tubino blu notte, e indugia un secondo di troppo sulle Converse logore che indosso.
«Grazie», le dico con sincerità.
«Non c'è bisogno che ringrazi. In passato capitava anche a me», mi confida, seria, ma il sorriso torna ad animarle il volto, veloce come si è dissolto. «Allora, posso sapere cosa ti porta qui stasera?»
«Mi hanno invitata a ballare la Samba al Club.»
«Stasera al Club c'era la serata brasiliana? Peccato essermela persa!» si lamenta, imbronciata, e resta zitta a fissarmi.
Sento che dovrebbe essere il mio turno di fare domande, così le chiedo la prima cosa che mi viene in mente. «Tu come mai sei qui, invece?»
«Per lavoro. Mi spoglio per gli uomini in un Night», risponde, con una naturalezza tale che mi lascia senza parole. Per fortuna il tram mi salva dal silenzio imbarazzato che sarebbe seguito, anche se lei ha colto lo stesso la mia titubanza. Quando le porte del convoglio si richiudono dietro di noi, si affretta ad aggiungere: «Lo faccio solo per pagarmi l'università. Sono all'ultimo anno.»
«Anche fosse, non c'è nulla di male», replico, cercando di suonare convincente.
Stavolta, quando il convoglio parte, sono preparata e mi reggo al corrimano senza cadere. Lei deve aver pensato la stessa cosa, perché mi guarda e ridacchia. «Lo racconteremo ai nostri figli come ci siamo conosciute!» A queste parole il mio cuore si stringe, attraversato da una scheggia incandescente che mi impedisce di sorridere come fa lei. «Senti, ce l'hai un numero di telefono?Magari in questi giorni usciamo, ti va?»
Rovisto nella borsa e le porgo il cellulare. «Ho cambiato numero da poco, è meglio se mi scrivi qui il tuo.»
Lei lo afferra con le dita smaltate di rosso e digita, svelta, sullo schermo. «Ecco!» mi rende il telefono appena in tempo, perché le porte del tram si aprono, e io sono arrivata a destinazione. «Boa noite*, bellezza. Scrivimi, magari ci vediamo domani!»
⚓︎ ⚓︎ ⚓︎
Dizionario di portoghese:
*Boa noite = Buonanotte
*Sim = Sì
*Oi = Ciao
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