32. Qualcosa di più

Il profumo di legno di mare è tanto radicato nell'appartamento di Felipe che neanche le vaschette del cibo che ho appena ritirato dal cinese qui sotto riescono a nasconderlo. Questo odore mi distrae, mi rende incapace di fare altro che non sia macinare passi inquieti per la stanza, con il libro che Louis mi ha lasciato tra le mani. Il rumore del temporale che si abbatte sulla città fa da colonna sonora all'attesa del rientro di Felipe e ai mille pensieri che si rincorrono nella mia testa.

Mancano una manciata di ore all'udienza che deciderà il mio futuro, e mi domando se avrò i nervi saldi per affrontarla come dovrei. Domattina sarò obbligata a tagliare fuori le faccende che non mi riguardano, ma stasera sento il bisogno di sapere che è successo a Louis. Di tanto in tanto mi ritrovo a guardare la scritta sul libro, per accertarmi di non essermela immaginata. Perché il vecchio me l'ha lasciato? Contiene persino una mappa sul retro, tarlata in alcuni punti, ma non c'è nessun biglietto, né alcuna altra scritta, eccetto quella sul frontespizio. Le pagine sottili e ingiallite dal tempo sono macchiate solo da brevi tratti di penna, come se qualcuno avesse studiato con attenzione le nozioni contenute al loro interno. Per me questo tomo non ha alcun significato, però mi sono convinta che Felipe sarà capace di trovargli un senso.

Ma lui dov'é?

Mi avvicino al vetro della portafinestra e scruto con attenzione la strada deserta. Neanche l'avessi evocato, Felipe svolta l'angolo quasi di corsa. Credo che mi abbia vista, perché rallenta di colpo l'andatura e alza la testa verso di me. Io lo saluto e lo incito a sbrigarsi. Corro alla porta, la spalanco e mi affaccio nella tromba delle scale. Lui sale i gradini a due a due e lascia una lunga scia d'acqua dietro di sé. Ha il fiato corto e si avvicina fino a sfiorarmi. «Stai bene», considera, sollevato.

«Sim*, sto bene. Allora?» chiedo con impazienza.

«La Marítima* non l'ha trovato. Né lui, né la Louisa. E nemmeno lo cercherà per altre ventiquattr'ore», m'informa. Toglie la giacca e la appoggia sulla ringhiera. Mi lascia entrare e abbandona anche scarpe e calzini accanto allo zerbino. Trovo strano che chiuda la porta a chiave, e anche la sua espressione seriosa mi fa preoccupare. «Tu hai scoperto qualcosa?» mi domanda.

Aspetto questo momento da ore e gli porgo il libro che ho tra le mani, trattenendo il fiato. «Credo che Louis abbia lasciato questo per noi. L'ho trovato a casa sua». Felipe legge la frase sul frontespizio e sgrana gli occhi dallo stupore. «L'hai mai visto prima?» lo incalzo, mentre lui sfoglia le prime pagine.

Il suo sguardo si posa su di me, e lo vedo esitare di fronte al mio tono carico di speranza. «Non... Non c'è scritto nient'altro?»

«No. L'ho sfogliato da cima a fondo e ci sono solo scarabocchi. Quindi neanche tu hai idea del perché ce l'abbia lasciato?»

Lui scuote la testa, e un bruciante senso di delusione fa crollare tutte le speranze che ho costruito nelle ultime ore. Gli volto le spalle e mi incammino verso la portafinestra, tormentando il labbro tra i denti. Ferma a pochi centimetri dal vetro, fingo di scrutare la città avvolta nella nebbia, ma in realtà gli sto solo nascondendo quanto è profondo lo sconforto in cui sono caduta.

«Può essere», esordisce Felipe dopo un lungo silenzio, «che Louis abbia lasciato un biglietto, ma che qualcun altro l'abbia preso.»

«Andiamo... Chi ruberebbe il biglietto in un libro?»

Nel riflesso del vetro vedo Felipe chiudere gli occhi per qualche istante. «Sai l'uomo con la cicatrice che ti seguiva? Louis aveva ragione... L'obiettivo non eri tu, ma lui.»

Mi volto tanto in fretta da provare una fitta al collo, ma non m'importa. «E tu come lo sai?»

«Me l'ha... Me l'ha detto Teresa.»

«Ah», dico solo.

Non tento neanche di nascondere la delusione che provo. Ogni frase che Felipe pronuncia è una pugnalata alle spalle, mi fa assimilare a malapena le informazioni che riguardano l'intricata vita personale di Louis. Mi sento una stupida per essermi fidata di Teresa, mentre lei sceglieva di nascondermi l'identità dell'uomo misterioso che tanto mi preoccupava.

«Ma non è finita qui», sta dicendo Felipe. «Penso di aver appena incontrato suo figlio, o quello che è. Sul tram, prima di tornare qui.»

Sbatto le palpebre per qualche secondo, paralizzata dalla paura. «Non l'hai mai visto, come fai a sapere che fosse lui?»

«Perché mi ha parlato», risponde Felipe. «Quell'uomo... Sapeva che so parlare francese, sapeva qual era la mia fermata e... Lui mi ha detto una cosa strana anche su Louis. Ha detto che lo stavo cercando nel posto sbagliato». Ci guardiamo per un lungo minuto, ed è Felipe a dare voce al sospetto nato nella testa di entrambi. «E se lui avesse trovato il libro per primo? Potrebbe aver strappato la copertina, o aver trovato qualche appunto che Louis aveva scritto per noi...»

«E adesso che facciamo?»

Il ragazzo strizza gli occhi e si massaggia la fronte con le dita. Tutta la stanza ci separa, e io mi rendo conto solo ora che è a piedi scalzi, con pantaloni bagnati e i capelli umidi. «Louis dev'essere andato in uno dei posti indicati nel libro, non c'è altra spiegazione. Li guarderemo tutti, e cercheremo di capire quale sia il più probabile.»

«Prima dovresti parlare con Teresa, per dirle che hai visto questo Blanc», considero a malincuore, e aggiungo anche: «E sei bagnato fradicio, dovresti anche cambiarti. Se mi dai carta e penna io intanto inizio a catalogare i luoghi di cui parla il libro.»

«D'accordo», conviene lui. «Carta e penna le trovi nel cassetto sotto al tavolo.»

Recupero un paio di fogli e scanso di lato le buste col cinese d'asporto. Sottecchi, però, osservo Felipe che si sposta da una parte all'altra della camera da letto, con il telefono all'orecchio. Dalle sue risposte intuisco le domande mirate che gli sta ponendo la poliziotta, che, tempo un paio di minuti, arriva al cuore della questione. «È un libro di nautica che ha trovato Âmbar a casa di Louis.»

Felipe si affaccia sulla porta. «Sim*», dice e nel mentre gesticola verso il telefono, ma io scuoto la testa, categorica. «Adesso è impegnata, ti faccio chiamare dopo. Va bene, a più tardi.»

Felipe lancia il telefono sul letto, a disagio. So che non gli piace mentire, ma è stata una sua scelta. Avrebbe potuto mettere in chiaro a Teresa che non ho voglia di parlarle, per quanto mi riguarda.

«Dice che dovresti prepararti per l'udienza», mi informa.

«Ha anche il coraggio di dirmi cosa devo o non devo fare», mormoro. «E comunque ho già preparato tutto stamattina, prima di uscire. Ho usato anche il ferro per stirare il vestito, spero non ti dispiaccia.»

«No affatto», dice e si ferma al centro della stanza con la testa bassa, rigirandosi i vestiti puliti tra le mani. «Senti... La faccenda di Louis ha risucchiato tutta la mia attenzione nelle ultime ore, ma anche la tua udienza è una priorità per me». Felipe si interrompe e sposta il peso da una gamba all'altra. I suoi occhi si alzano, convergono nei miei con un'intensità tale da farmi sentire un vuoto allo stomaco. «Io ti vedo... Anche se appari tranquilla, so che sotto la superficie nascondi una corrente che smuove il fondale.»

Dura il tempo di quelle parole, il suo sguardo, e poi mi lascia libera. Felipe attraversa la stanza e chiude a chiave la porta del bagno dietro di sé, mentre io rimango pietrificata.

Io ti vedo.

Scuoto la testa e mi alzo in piedi. Il riflesso nel vetro rimanda un'immagine perfetta di me. Ho il volto segnato da profonde occhiaie, i capelli in disordine sulle spalle e le braccia strette attorno al corpo.

Sotto la superficie nascondi una corrente.

Come ha fatto a vedere cosa provo? Come ci è riuscito? Apro la finestra e mi lascio investire dalla corrente fredda dell'aria. Quel gelo mi aiuta a riprendere il controllo e, lentamente, torno a pensare con lucidità. Rientro, determinata a sfogliare il libro per la seconda volta, dalla prima pagina. Catalogo le prime quattro baie in base il distretto di appartenenza e mi concentro sulla quinta. Sul primo rigo di questo capitolo la parola "novecento" è sottolineata fino a metà, e accanto c'è disegnato pure un piccolissimo cerchietto. Sfoglio le pagine seguenti, e noto che il successivo tratto a penna sottolinea la parola "un", accompagnata da una lineetta verticale. «Nove gradi... e un primo?»

La penna mi scivola via dalle dita. Scorro a ritroso le pagine, così in fretta da rischiare di strapparle, con un dubbio in mente a cui mi rifiuto di credere fino in fondo. Ma gli altri tratti di penna che trovo sotto a sillabe e intere parole mi costringono ad arrendermi all'evidenza. Struscio la sedia sul pavimento e corro a bussare alla porta del bagno, con il cuore in gola. «Felipe.»

«Non ho ancora finito...» risponde lui da dietro la porta.

«Quali sono le coordinate del posteggio della Louisa al porto?»

«Trentotto gradi e quarantadue primi Nord, nove gradi e un primo Ovest. Perché?»

Io non rispondo. Seppellisco il volto tra le mani e mi lascio andare a un pianto irrazionale e liberatorio. I singhiozzi che mi scuotono si portano via tutte le emozioni di questa lunga giornata, e finalmente la morsa che mi schiaccia il petto inizia ad allentarsi un po'.

«Allora?» La serratura del bagno scatta e la porta si apre. Distinguo la figura di Felipe che si avvicina, avvolto nell'accappatoio e mi scuote la spalla. «Che succede?» chiede, preoccupato. «Cos'hai?»

Asciugo gli occhi e, prendendo un profondo respiro, gli dico: «Ho capito perché il vecchio ci ha lasciato il libro. Lo troveremo, Felipe. Lo troveremo.»


⚓︎


L'odore stantio della mappa aggredisce le narici di Felipe a ogni respiro. Il ragazzo scribacchia l'ultimo appunto alla base del foglio ammuffito e poggia la matita sul tavolo, accanto a bussola e compasso, lasciandosi sfuggire un sospiro di sollievo.

Il lavoro certosino svolto da Louis per nascondere i punti di meridiano e parallelo della sua rotta tra le pagine del libro ha richiesto a lui e Âmbar ore di lavoro. Poi è toccato a Felipe il compito di mettere insieme le coordinate ottenute con il carteggio della mappa nautica. Il ragazzo controlla per l'ultima volta di aver fatto tutto correttamente e invia un messaggio a Teresa, con la destinazione che è venuta fuori. È molto tardi, ma lui sa che la poliziotta lo sta aspettando, e infatti lo schermo del cellulare si illumina di rimando una manciata di secondi dopo. Teresa gli ha scritto qualcosa che lui sa già: quel tratto di costa è raggiungibile anche in treno. Dopotutto Louis non ha lasciato nulla al caso. Ogni dettaglio della sua sparizione sembra far parte di un piano studiato con furbizia e anticipo dal vecchio. Però c'è una cosa che Louis non poteva prevedere: l'incontrastabile forza della natura. E questo particolare preoccupa il ragazzo più di ogni altra cosa.

Per allontanare quei pensieri, Felipe accorda ai suoi occhi affamati di oscurità il permesso di vagare per la stanza. Lo sguardo si sofferma qualche istante di troppo sulla sagoma della ragazza, addormentata scompostamente sul divano. E, con quell'immagine nella testa, cerca con le dita l'interruttore della lampada e lascia che il buio avvolga tutto nella sua morsa.

Il bisogno di respirare aria fresca lo induce ad alzarsi e aprire la portafinestra del terrazzo. L'aria della notte si scontra con le guance calde di Felipe, e un vago sentore di mare raggiunge le sue narici. È in giorni come questo, quando resta lontano dall'oceano troppo a lungo, che ne avverte la mancanza. Senza curarsi di essere a piedi nudi, avanza nelle pozzanghere di acqua fredda che la pioggia ha lasciato sul pavimento poche ore fa. Le dita trovano il ferro della ringhiera e lo stringono in modo convulso quando nel campo visivo fanno capolino le acque agitate del rio*, illuminate da una luna piena che ha deciso di farsi strada inaspettatamente tra le nuvole. Felipe abbassa le palpebre e implora la brezza gelida di portargli via la tensione accumulata in quella giornata interminabile.

«Felipe?»

Lui si volta di scatto. Âmbar è avvolta nella coperta che le ha gettato addosso, ferma sulla soglia con il volto assonnato.

«Non dormi?»

«Non ancora. Scusa, non volevo svegliarti.»

Lei scrolla le spalle e lo raggiunge, appoggiandosi alla balaustra. «Meglio. Continuo a sognare di dover tornare a casa con mia madre.»

«Andrà bene domani, vedrai.»

Âmbar si gira a guardarlo e gli domanda: «Hai trovato la posizione sulla mappa?»

«Sim*. Non è molto lontano da qui. Domattina andrò lì in treno.»

Lei aggrotta le sopracciglia. «Non starai pensando di andarci senza di me?»

Felipe sospira di fronte all'occhiata minacciosa che Âmbar gli sta rivolgendo. Cercherà il vecchio perché si fida di lui e anche perché glielo deve, ma lei... «Tu non hai alcun obbligo nei suoi confronti. Credo che sarebbe meglio se io andassi da solo.»

«Louis ha lasciato quel libro a me», insiste la ragazza con tono fermo.

«E sapeva che solo io avrei saputo leggere la carta nautica.»

«Io verrò con te, fine della storia». Il ragazzo passa una mano sul viso e, quando rialza le palpebre, lei è girata di profilo, verso le luci che illuminano una città che ancora dorme. «Io avrò sempre un obbligo nei suoi confronti. E anche nei tuoi», conclude perentoria.

Felipe contrae la mascella e stringe forte i pugni lungo i fianchi. Le parole che gli ronzano in testa da ore sfuggono alle sue labbra in un sussurro. «Una tempesta del genere non è facile da affrontare in due, e lui ha deciso di farlo da solo. Ho paura di andare lì e non trovare nessuno che ci aspetta.»

La schiena di Âmbar si irrigidisce dalla tensione. «Credi che sia partito di proposito per andare a morire?»

«Non lo so. E non sono certo di volerlo scoprire». Lo sguardo del ragazzo accarezza il profilo della città senza vederlo veramente, e la mente vaga su ricordi lontani che tormentano i suoi sogni da quando ne ha memoria. «Mia madre è morta suicida quando avevo cinque anni. L'ho trovata io». Felipe ha pronunciato di rado quelle parole ad alta voce. Farlo squarcia una voragine nel tempo e nello spazio, gli fa pensare che, se solo chiudesse gli occhi, potrebbe tornare indietro per rivivere quegli istanti. La brezza dell'oceano sul viso, la luce bianca della luna piena, il rumore delle onde in lontananza erano allora come sono adesso. Ricorda la sensazione della sabbia fredda tra le dita dei piedi, la corsa forsennata sulla spiaggia per tirare l'orlo della gonna rossa agitata dal vento... Le urla disperate di sua nonna sono così vive nella memoria che riesce quasi a sentirne l'eco. «Una delle mie più grandi paure è che qualcuno a cui tengo muoia di nuovo in quel modo», le confida in un sussurro.

«Louis è vivo, Felipe. E lo sono anch'io». Una mano calda si appoggia sulla sua. Felipe volta appena la testa e resta immobile, a osservare il volto della ragazza che si avvicina. Sente odore di pelle calda, dita fredde sulla nuca che scaldano con un brivido la spina dorsale, il contatto di labbra morbide con le sue. Cerca con le mani la curva dei fianchi di Âmbar e attira quel corpo minuto contro il suo. Ne esplora la schiena e si sofferma su una striscia di pelle incandescente che sbuca dalla maglietta alzata. La coperta scivola ai loro piedi, mentre si abbandonano uno contro l'altra, uno nell'altra.

Hanno entrambi il fiato corto, quando si separano, e un sapore nuovo sulla lingua. Restano a guardarsi per minuti che sembrano ore, fino a che Âmbar non lo conduce dentro casa. Felipe attraversa la cucina, illuminata solo dai raggi della luna che s'infilano nell'abbaino, guidato dalla mano della ragazza, dall'odore di fiori dei suoi capelli. Varca la soglia della camera da letto con il cuore che batte forsennato contro le costole. Lei si volta e i loro sguardi si incrociano, ed è lui ad annullare la distanza che li separa, posando ancora una volta le labbra sulle sue.


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Dizionario di portoghese:

*Sim = Sì

*Rio = fiume

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