23. Voglio che l'abbia tu

«Avrai parlato con l'agente Carmo, Âmbar, quindi sai che l'udienza è fissata per il prossimo mercoledì, trenta novembre.»

Lo so da giorni, ma facciamo finta che l'abbia saputo solo oggi, dottoressa bionda. «Sim*, me l'ha detto.»

«Ne approfitto per comunicarti che questo sarà il nostro ultimo incontro. Io e te ci rivedremo di nuovo, ma sarà l'udienza a stabilire quando e con quale frequenza». La notizia mi spiazza, e lei deve accorgersi dello smarrimento che provo perché mi rivolge un sorriso rassicurante che tira le sue labbra rifatte. «Dopo esserci viste quasi tutti i giorni per un mese è normale che interrompere la terapia ti spaventi un po'.»

«Non ho paura, dottoressa», dico ed è la verità perché quello che sento è fastidio. Il percorso che stiamo affrontando insieme mi sta aiutando a capire tante cose, di me stessa e della mia vita, e interromperlo proprio adesso che inizio a stare meglio mi sembra una beffa. «Anche se non facciamo altro che parlare, lei... Lei è riuscita a mettere tutto nella giusta prospettiva, e non posso che ringraziarla per l'aiuto che mi ha dato finora.»

La Neves sembra felice di ciò che le ho detto. «È il complimento più bello che tu potessi farmi, Âmbar. La strada è ancora lunga. Come tu stessa hai detto, non è finita qui.»

Le sorrido di rimando. «Va bene.»

Mi rivolge un breve cenno per informarmi che stiamo per cominciare, apre il quaderno e si mette a sfogliare rumorosamente le pagine. «Bem*. Oggi vorrei fare con te il punto della situazione, a partire dalla prima volta che ci siamo viste sino a oggi. Quante cose ritieni siano cambiate in due mesi a questa parte?»

«È cambiato tutto», confesso, e un brivido mi scuote al solo pensiero. «Mi capita spesso di avere dei flashback o dei ricordi casuali della mia vita prima, e a volte non riesco a capacitarmi che quelle memorie sono mie, che fossi proprio io a vivere quell'esistenza subordinata.»

«Cosa intendi quando dici: "la mia vita prima"?»

La Neves annuisce in modo impercettibile; sa bene cosa intendo e vuole che lo ammetta ad alta voce. «Prima del tentato suicidio. Io e lei ne abbiamo parlato tante volte, e ormai credo sia inutile negare che questo evento mi abbia condizionato la vita.»

«Il percorso che hai affrontato è molto complesso, ma in linea di massima hai ragione. I progressi che hai fatto sono evidenti e incontrovertibili e partono proprio da quel gesto, che ti sei lasciata alle spalle.»

«Sto costruendo a piccoli passi una vita vera, una vita mia. Lavoro sul peschereccio da un mese. Ieri ho ricevuto il primo stipendio e la scorsa settimana ho firmato un contratto d'affitto. Da dicembre non sarò più ospite da Ileana: mi trasferirò in un appartamento mio.»

La Neves strizza l'occhio in segno di apprezzamento. È stata Teresa a suggerirmi di sottolineare che trascorro le giornate come una qualsiasi persona della mia età. «Ottimo, Âmbar, davvero ottimo. Non sapevo della casa, è un enorme passo avanti. Martedì, invece, hai seguito il suggerimento di uscire a festeggiare il compleanno?»

A giudicare dalla sua espressione, lei lo sa già, anche se non dovrebbe. «In realtà è stata la festa a venire da me. Ileana, Viviane e gli altri mi hanno organizzato una sorpresa giù al porto ed è stato bellissimo. È venuto persino Louis!» E Teresa, ma questo credo tu lo sappia già, bionda.

«Intendi Bernard?»

«Lui.»

La dottoressa scrive un appunto sul quaderno e mi chiede: «Da come lo dici, sembra ti abbia fatto piacere la sua presenza.»

«Sì che mi ha fatto piacere.»

«Cosa rappresenta lui per te?»

Mi prendo qualche secondo per pensare. Felipe è novità, cambiamento, libertà, ma il vecchio... Lui cos'è per me? «La prima volta che l'ho conosciuto e gli ho detto che avrei voluto lavorare sulla sua barca, lui ha avuto una specie di crisi di nervi. Sentendolo urlare, non lo nego, ho avuto paura. Mi ha ricordato cosa succedeva ogni volta che mio padre perdeva le staffe. Ma è bastato guardarlo negli occhi per capire che in lui non c'era traccia della violenza a cui ero abituata.»

«Non hai risposto alla domanda, Âmbar», puntualizza la Neves.

Tiro una lunga, lenta boccata d'aria nei polmoni. «Louis è una persona sulla quale so di poter contare. Se mi servisse appoggio, chiamerei lui. Se mi succedesse qualcosa, so che ci sarebbe lui a coprirmi le spalle.»

«È uno di famiglia, insomma».

Non volevo dirlo, ma l'hai detto tu per me, dottoressa. «Credo di sì». Mi agito sulla sedia. Sono indecisa se parlare o meno, ma potrei non avere più occasione di farlo per troppo tempo, ed è questo che mi induce ad aprire bocca. «Ma c'è anche dell'altro. Con le sedute insieme a lei, ho capito di aver usato il mio essere introversa per nascondere agli altri quello che provavo. E Louis fa la stessa cosa... C'è qualcosa che lo tormenta, e lui lo nasconde con l'aggressività.»

Passano diversi minuti nei quali l'unico suono nella stanza è il grattare della penna della Neves sulla carta. Resto in silenzio ad aspettare e, quando lei alza lo sguardo, sono certa che abbia colto la domanda implicita nella mia affermazione. «Credo che tu sia molto affezionata al signor Bernard e che ti fidi ciecamente di lui. Ricorda, però, che non si può salvare qualcuno che non vuole essere salvato.»

La dottoressa mi lancia uno sguardo eloquente e io capisco che per adesso mi tocca chiudere qui la questione, anche se vorrei insistere. «Va bene.»

Il mio tono non la convince, perché si affretta ad aggiungere: «Lui non è te. Ricorda che sei stata tu a volerti salvare, hai scelto tu di far fronte ai tuoi problemi. Bernard ha tutte le carte in regola per risolvere i suoi, ma se, quando e come deciderà di farlo, spetta a lui stabilirlo». Le sue parole trasudano "stanne fuori" da tutti i pori, e per lanciarmi un messaggio ancora più esplicito, la Neves scosta un ciuffo biondo dal viso e fa un gesto eloquente con la mano.

«Ha ragione, dottoressa», replico, provando a convincere me stessa oltre che lei.

«Bene, ritorniamo a noi». Mi guarda per ricevere assenso e io annuisco. «C'è qualcosa di Alcains che ti manca?»

Questa domanda mi coglie alla sprovvista, tanto che sospetto sia stata Teresa a suggerirle di farmela, visto che proprio questa mattina abbiamo avuto una brutta discussione a riguardo. «Non credo che a un prigioniero potrà mai mancare la sua gabbia. A mancarmi non è qualcosa, ma qualcuno. Mi manca mia nonna, ma lei è morta, e so che non potrei riaverla indietro. E poi...» Deglutisco e riesco a stento a prendere aria per respirare perché il petto è compresso in una morsa ferrea di sofferenza. «Mi manca mia sorella. Vorrei solo essere certa che lei stia bene, che non stia vivendo quello che... Quello che è toccato a me.»

«Tu sai, Âmbar, che tua sorella è minorenne, e in quanto tale in questo momento è sotto la custodia di tua madre.»

«La cosa non mi rincuora affatto. E continuo a non capire perché io non possa parlare con lei.»

La dottoressa mi guarda con un'espressione affranta. «Credo che tu ne abbia già parlato con l'agente Carmo». A questo punto è palese che Teresa le abbia raccontato che ho affrontato l'argomento anche con lei, in modo molto meno diplomatico. L'ho supplicata, ho pianto, ho fatto diverse scenate, ho provato a persuaderla in ogni modo possibile, ma lei mi ha dato sempre la stessa risposta. La stessa che mi sta dando adesso la Neves. «Almeno fino all'udienza non puoi avere contatti con nessun membro della famiglia, nemmeno con lei. Mancano pochi giorni, devi pazientare un altro po'.»

Ho le mani che tremano e devo respirare con cadenza regolare per riprendere il controllo; la dottoressa mi scruta e aspetta che riprenda un minimo il controllo di me stessa prima di finire. «Se avessi la possibilità di parlare ai tuoi genitori ci sarebbe qualcosa che vorresti dirgli?»

Non è la prima volta che me lo chiede, ma la risposta che mi sale alle labbra oggi è diversa e più spontanea di quanto mi aspettassi. «No. Non ho più nulla da dirgli.»


⚓︎


«Ferma l'argano!»

Sotto lo spesso strato di gomma del guanto le dita sono così fredde da essere diventate insensibili; so che hanno pigiato il bottone giusto solo perché il congegno ha smesso di stridere e si è fermato davanti ai miei occhi.

Il pesce è smistato, le cassette sono tutte ordinate e assicurate ai ganci, la rete è pulita. Presto potrò rifugiarmi nella cabina, al calore esiguo dello scaldino elettrico che intiepidisce quella latta di ferro sferzata dal vento di fine novembre. Afferro il tubo dell'acqua e aziono il getto, mentre Felipe ha il compito di spazzare il ponte. Altri pochi minuti e ci lasciamo questa notte di lavoro alle spalle. Apro la cassa, sfilo i guanti e li butto dentro. Felipe mi raggiunge e fa lo stesso. Le nuvolette di vapore prodotte dai nostri respiri si incontrano a mezz'aria e scompaiono quando un alito di vento le trascina via, verso l'Atlantico. I nostri occhi si incrociano per un istante, e mi accorgo che lui ha una strana espressione dipinta sul viso.

Raddrizzo la schiena e gli chiedo: «Che c'è?»

Lui non risponde subito. Sfila i trampolieri e li assicura con cura al moschettone, poi fruga nella tasca dei jeans e tira fuori una scatolina di cartone rettangolare. Me la porge con lo sguardo basso, puntato sulla sua mano tesa. «Ho un regalo per te. Per i tuoi ventun anni, sai.»

Per diversi secondi resto a fissare la scatola nel suo palmo e l'unica cosa che riesco a dire quando mi riscuoto è una stupida frase di circostanza. «Non dovevi.»

Lui alza timidamente gli occhi e mi incita. «Dai, prendila.»

La scatolina ha assorbito il calore del corpo di Felipe e tenerla tra le mani ghiacciate mi dà sollievo. Non so cosa aspettarmi e alzo il coperchio con il fiato sospeso. Dentro c'è una collana molto delicata, con una pietra incastonata nel ciondolo che ha lo stesso identico colore dei miei occhi. «È...»

«... ambra. Ho incaricato un'amica di restaurare una vecchia collana di nonna, e lei l'ha finita solo ieri. Il metallo è semplice argento e la pietra è piccola; non ha grande valore commerciale, ma l'ho portata con me dal Brasile e voglio che l'abbia tu», conclude Felipe. Alzo gli occhi su di lui, ma mi mancano le parole. Gli altri mi hanno fatto dei regali bellissimi: Teresa mi ha dato un bigliettino disegnato da Miguel e un simpatico portachiavi per la casa nuova; Ivo e Viviane hanno acquistato per me due biglietti per l'Oceanário*; Ileana e Louis mi hanno comprato un blocco da disegno molto costoso, con dieci matite dalle mine tutte diverse. Credo, però, che niente di tutto questo possa eguagliare il dono di cui Felipe mi ha appena omaggiata.

«È bellissima». Prendo la catenina e la slaccio con mani tremanti. «Vuoi aiutarmi a metterla?»

Lui annuisce, e le nostre dita si sfiorano nel passarsi la collana. Gli do le spalle e scosto i capelli di lato. Il mio collo nudo viene investito da una raffica d'aria pungente, ma la pelle di Felipe sfiora un punto appena sotto la nuca e mi fa dimenticare il gelo che ho attaccato addosso da tutta la notte. Le sue mani si ritraggono e io resto così, ferma, a fissare il cielo grigio che si confonde con l'oceano davanti a me. Se solo mi voltassi, troverei gli occhi di Felipe pronti ad allacciarsi ai miei, a leggervi dentro tutto ciò che a parole non riesco a dire. Sono consapevole che lui sia lì, in attesa, ma non riesco a trovare la forza per affrontarlo. E dopo qualche secondo Felipe sembra capire che non mi volterò, perché gli sento dire con un tono che non tradisce alcuna emozione: «È meglio se rientriamo o moriremo congelati qui fuori.»

«Entra, io arrivo.»

Sento dei passi che si allontanano e il rumore metallico della porta della cabina che si apre e si richiude. Una lacrima silenziosa scende lungo la guancia, e io la cancello con decisione, tirandola via con il dorso della mano. Perché, mi chiedo, perché dev'essere così difficile? Ho solo ventun anni, eppure la vita mi pesa addosso come se ne avessi il triplo. Dovrei farmelo io un regalo, smettendola di tormentarmi e iniziando ad ascoltare un po' più me stessa. Ma da dove comincio?


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Dizionario di portoghese:

* Bem = Bene

* Oceanário = acquario

*Sim = Sì

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