15. Chiaroscuro

I raggi del sole filtrano dalle persiane chiuse e finiscono dritti nei miei occhi. Sono sveglia da un po', a fissare le particelle di polvere che danzano negli spiragli di luce, senza avere idea di che ore siano. L'unico rumore nella stanza è il respiro cadenzato e regolare di Ileana, che dorme accanto a me dandomi la schiena. Scivolo fuori dal letto più piano che posso per non svegliarla; attraverso la stanza in punta di piedi e recupero il telefono, abbandonato in cima alla valigia disfatta. Ci sono le notifiche di due chiamate e un messaggio di Teresa. Le ho scritto ieri sera per darle l'indirizzo di questo appartamento e informarla che starò qui finché non troverò una nuova sistemazione. Deve essersi preoccupata, ma considero già un grande risultato che non abbia buttato giù la porta nel cuore della notte.

Tiro via un paio di pantaloni a caso dalla valigia, e le pieghe dell'indumento trascinano fuori anche una cartellina, che sparge con un fruscio il suo contenuto sul pavimento. So di cosa si tratta senza neanche guardare: gli unici fogli che ho in valigia sono i miei disegni. Non ricordo nemmeno quando è stata l'ultima volta che li ho guardati. Mi accoccolo a terra con le mani che tremano per raccoglierli tutti. Il solo sfiorare con le dita quella carta ruvida fa crescere in me il desiderio di prendere in mano una matita e mettere nero su bianco le mie emozioni.

Mi sento come un alcolizzato in astinenza a cui hanno messo davanti un bicchiere di liquore pregiato. So esattamente dove sono la matita e il blocco da disegno e, seguendo un bisogno irrefrenabile, frugo nella valigia e li prendo. Le mani formicolano, percorse da un'elettricità febbrile, e gli occhi vagano alla ricerca di un soggetto da immortalare, trovandone uno davvero perfetto. Siedo a gambe incrociate sulla poltrona verde nell'angolo opposto della stanza, posiziono il blocco sulle caviglie e la matita tra i polpastrelli di indice, medio e pollice.

La prima linea nera accarezza il foglio immacolato, e solo quando sento il grattare della mina sulla carta mi accorgo che sto trattenendo il fiato. Lo lascio uscire dalle labbra, accompagnato da un lento sospiro liberatorio. La linea che ho tracciato delimita la parte sinistra del corpo, dalla spalla in giù, fino al piede. Passo a tratteggi appena marcati e li sovrappongo a poco a poco, per definire il punto in cui il lenzuolo forma le pieghe da cui esce la gamba destra, esposta dalla coscia fino alla punta del piede – tirato in un arco perfetto. Le onde morbide dei capelli nascondono quasi del tutto i tratti del viso, eccetto la linea piena delle labbra appena socchiuse, e la punta decisa del naso. Devo solo abbozzare la mano destra perché le dita sono nascoste tra le ciocche, sotto al mento, e catturo con facilità anche i tratti di quel braccio muscoloso. Una sola linea ricurva al centro della schiena nuda basta, mentre ho bisogno di un tratto più deciso per imprimere sulla carta il seno scoperto, che nella realtà è illuminato in modo teatrale da uno spiraglio di sole. L'ennesima linea serve a dividere il ventre piatto dal materasso, e sto attenta a far sprofondare il corpo nel foglio nei punti in cui so che il peso è maggiore. L'ombra appena accennata dei fianchi, vagamente accarezzati dal lenzuolo leggero che li copre, è l'ultimo dettaglio che mi serve.

Lavoro di chiaroscuro, sfumo con le dita per modulare le ombre e cancello con la piccola gommina sulla sommità della matita nei punti in cui risaltano le luci. Allontano il disegno di Ileana dagli occhi per guardarlo meglio nell'insieme. Ho come l'impressione di aver tirato un lungo respiro dopo giorni di apnea. Sono felice per aver riscoperto una parte di me e triste perché il ricordo di ciò che mi ha spinta ad abbandonarla mi fa ancora soffrire.

Chiudo il blocco e lo nascondo nella valigia con il resto dei disegni. Ho bisogno di scrollarmi di dosso questa strana sensazione di déjà-vu, e decido di farlo con una doccia calda. Mezz'ora dopo esco dal bagno, avvolta in un asciugamano che ho trovato rovistando in un cassetto e mi ritrovo di fronte Ileana.

«Bom dia*, bellezza!» Ha la voce assonnata e gli occhi ancora gonfi di sonno, ma almeno si è buttata addosso una maglietta per coprirsi. «Ieri sera sei crollata, eh? Avevi il libro sulla faccia quando sono tornata». Apre le persiane, lasciando entrare la luce calda del sole del mattino, e io mi stringo addosso il telo perché vedo delle persone che camminano sui balconi dei palazzi di fronte.

«Bom dia*. Scusami, avrei voluto aspettarti ieri sera, ma non ce l'ho fatta.»

Lei mi viene incontro, porgendomi il libro di Hemingway che ho trafugato dalla Louisa mercoledì, e io allungo la mano per riprendermelo. L'espressione di Ileana cambia guardando il polso del mio braccio teso. La lascio fare quando lo prende tra le mani con estrema delicatezza e percorre con un dito la cicatrice ancora arrossata che lo attraversa. «Fa male?»

«Pizzica un po', ma fanno più male le ferite che non si vedono». Cerco di mettere insieme un sorriso e sottraggo il polso alla presa gentile delle sue dita, cambiando in fretta argomento. «Mi spiace averti svegliata, comunque.»

«Avrei dovuto svegliarmi lo stesso. Faremo tardi a yoga se non mi sbrigo. In frigo trovi del succo d'arancia e sul tavolo ti ho lasciato dei biscotti», spiega e mi sfiora appena la spalla, prima di scomparire oltre la porta del bagno.

Come Ileana aveva previsto, arriviamo appena prima che la lezione cominci. Lo yoga con Viviane mi rilassa a tal punto che al botteghino giù al porto noi tre ragazze passiamo un pranzo piacevole e spensierato. Abbiamo appena finito di mangiare quando Ivo si lascia cadere sulla sedia accanto alla mia e bacia con trasporto Viviane per un minuto buono. Ileana, che li ha proprio di fronte, mima un conato di vomito, e Ivo si gira verso di lei.

«Che c'è, non hai mai dato un bacio a qualcuno?» chiede in tono canzonatorio.

Ileana incrocia le braccia al petto e lo guarda con aria di sfida. «Ho l'aria di essere una verginella?»

«Non lo so, diccelo tu.»

«Decisamente no». La ragazza sembra divertirsi a battibeccare, ma a differenza di Felipe, con Ivo ha trovato pane per i suoi denti. «Tu, invece, sembri proprio il genere di uomo che crede di piacere a chiunque.»

Ivo è quel genere di uomo. Oggi indossa una maglietta nera che aderisce alla perfezione al suo torace muscoloso e un jeans slavato strappato sulle ginocchia che gli dona un'aria da bad boy. La barba appena accennata e il ciuffo di capelli neri che gli ricade sulla fronte fanno da contorno a un volto dai lineamenti spigolosi e a un paio di occhi luminosi, animati da un'espressione furba. Sa di essere bello e non fa niente per nasconderlo o negarlo. «Non a te a quanto pare.»

«No, io ho gusti più raffinati. Senza offesa, Vivi.»

Ivo arriccia le labbra, sembra essere arrivato al punto che voleva. «Tipo?»

Per la prima volta da quando la conosco, Ileana sembra in difficoltà. Si agita sulla sedia e risponde a denti stretti: «Tipo cosa?»

«Tipo facci un esempio dei tuoi gusti», la provoca Ivo, e noto che Viviane si allunga per dargli un pizzicotto sul braccio.

Ileana ha un ghigno sul volto che neanche da lontano potrebbe essere scambiato per un sorriso. «Tipo chi non pensa con l'affare che ha nelle mutande.»

Quella risposta piccata mi lascia di stucco. Ivo apre la bocca per replicare, ma stavolta Viviane lo precede. «Sono certa che i suoi gusti siano impeccabili, Ivo, ma credo proprio che non sono affar nostro.»

L'atmosfera che si è creata è carica di tensione, e penso che io mi stia perdendo qualche particolare fondamentale per comprendere la discussione in atto. «Mi sono persa qualcosa?»

Nessuno dice più una parola, e io mi volto verso Ileana. I suoi occhi di ghiaccio trafiggono i miei, seri come non li ho mai visti prima d'ora. «Credo che loro abbiano capito che sono lesbica. A me piacciono le donne, Âmbar.»


⚓︎


«Andiamo, davvero non l'avevi capito?» mi chiede Ileana, con un tono a metà strada tra curioso e sospettoso.

«No, e te lo ripeto, per me non fa alcuna differenza». Stiamo camminando da un'oretta per i vicoli del Bairro Alto. È sabato pomeriggio e le strade sono piene di gente, tanto che la solita sensazione di disagio si è attaccata alla bocca dello stomaco non appena siamo arrivate in questo strano quartiere. Cerco di fare lunghi respiri regolari, come mi ha insegnato la Neves, ma non riesco a godermi il momento come vorrei. Dopo la rivelazione di Ileana, poi, temo di dire qualcosa che possa ferirla, e il malessere non mi aiuta a restare lucida per quest'impresa. «Solo non capisco come mai non me l'hai detto prima.»

Ileana abbassa lo sguardo, e Viviane interviene, dando mostra di una sensibilità molto più sviluppata della mia. «Âmbar, non credo sia una cosa che si dica così, a cuor leggero.»

«Certo, concordo con te, Vivi, ma non è affatto da lei. È questo che mi ha stupita, tutto qui.»

«Evito di dirlo perché le persone si sentono a disagio», confessa Ileana.

Aggrotto la fronte. «Più a disagio di quando sentono che lavori come spogliarellista?»

«Molto di più». La mia è una domanda ironica, però lei rimane seria, e capisco che il non essere accettata per quello che è la fa soffrire.

«Sappi che per me non cambia nulla. Sei la stessa Ileana di sempre», ribadisco.

«Lo stesso vale per me», concorda Viviane, posandole una mano sul braccio con dolcezza. «E non fare caso a Ivo. Tende sempre a esagerare quando risponde alle provocazioni, ma non voleva ferirti.»

Ileana risponde qualcosa, ma io non seguo il discorso perché la mia attenzione viene calamitata dalla vetrina di un negozio di belle arti. «Vi spiace se entro un attimo qui?»

Senza aspettare una risposta varco la soglia della bottega, il respiro accelerato dall'esaltazione. Le narici inalano quel vago sentore di olio e polvere tipico dei negozi di belle arti che mi fa tornare in mente particolari lontani, come appartenenti a un'altra vita. Sorrido al signore occhialuto alla cassa che ricambia, un po' incerto, e mi dirigo verso la parete dedicata agli acquerelli. Prendo la mia palette preferita e, anche se so di non potermi permettere di spendere quella cifra, ho già deciso che la comprerò lo stesso. Quella e anche i tre pennelli con cui mi trovo meglio, più il blocco da disegno per acquerelli più grande che c'è.

Pago con una sensazione di impazienza alla bocca dello stomaco ed esco dal negozio troppo su di giri per guardare la strada. Qualcuno mi urta forte la spalla destra, e se le sue mani non mi avessero afferrata per le braccia, di sicuro sarei finita a terra. Mi ritrovo a pochi centimetri dal volto di un uomo sulla quarantina, con una curata barba scura. Lo stomaco reagisce d'istinto, stringendosi dal terrore per quel contatto fisico inaspettato, che risveglia nella mente più di un episodio che ho vissuto ad Alcains, dove era mio padre a tenermi stretta per le braccia allo stesso modo, per sbattermi con le spalle al muro. Lo sguardo di quest'uomo, però, non è blu, ma nero e guardingo; indugia un secondo di troppo nel mio, e mi resta impressa la cicatrice che attraversa l'angolo dell'occhio sinistro.

«Excuse moi*», dice, mollando la presa su di me e dileguandosi tra la folla.

«Âmbar, respira». La voce di Ileana arriva alle mie orecchie come fosse lontana chilometri, ma pian piano mi riporta alla realtà. «Piano». Metto a fuoco il suo viso preoccupato, mentre lei scandisce: «Uno, due, tre...»

Sento il battito rallentare, e la voce di Viviane chiedere: «Che le succede?»

Ileana per tutta risposta scuote la testa, senza smettere di contare o di lasciare soli i miei occhi, aggrappati con prepotenza ai suoi.

E, così come è arrivato, il panico si dissolve.


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Dizionario di portoghese (e un po' di francese):

*Bom dia = Buongiorno

(francese) *Excuse moi = Scusami

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