Calàudi - Sotto la superficie
Autore: CloyThePhoenix
Genere: fantascienza
Questa seconda analisi mi ha messo davanti a un testo corposo e complesso, e di cui sono molto felice di parlarne. Anche in questo caso conosco l'autrice e con lei ho intercorso dei lunghi scambi di lettura nei quali i consigli vicendevoli erano attesi come il pane dagli affamati. Ma non per questo sarò meno egoista con lei! La sua storia, infatti, presenta numerose sfaccettature stratificate e purtroppo, data la ferrea regola autoimpostami, ho potuto – contrariamente al titolo – scalfire solo la superficie.
Stile e modalità di scrittura
Il testo di Calàudi è ben scritto, mostra una grande maturità nell'esposizione dei pensieri, dei concetti e delle azioni e ci introduce in un mondo tutto da scoprire e narrato in terza persona. Elemento che denota una certa maestria e perizia nel costruire un capitolo è il leggero slittamento di prospettiva che il narratore onnisciente compie durante la storia: i dettagli e i termini specifici del pianeta vengono sfruttati come delle finestre che si aprono e si chiudono in base all'esperienza che il personaggio ha dell'ambiente circostante.
Ho però notato una tendenza che potrebbe rendere l'atmosfera leggermente piatta rispetto a quanto creato dalla storia: l'indugiare di Calàudi nella descrizione visiva. Sebbene la vista sia un punto forte nello stile dell'autrice e fa bene a concentrarsi su essa – donandoci immagini evocative –, l'utilizzo di altri sensi al di fuori delle necessità di trama darebbe certamente un tocco in più.
I paragrafi sono molto ampi e si prendono il loro tempo nel raggiungere il proprio obiettivo di senso; in linea generale il testo propone periodi della giusta lunghezza e di una certa diversità espressiva, ma errare è umano e possono esserci delle sbavature. In alcuni punti, la costruzione della frase risulta macchinosa e da rivedere a causa della mole di informazioni che si vuole inserire al suo interno:
"Fu soltanto quando fu costretto ad arrampicarsi su un masso coperto d'edera per scavalcare un crinale e, invece di calarsi con attenzione dall'altro lato, gli venne spontaneo saltare giù che si rese conto, senza comprendere il perché, di non essere più esausto né dolorante." (prologo)
Il lettore in questo periodo è costretto a fermarsi più volte per far sì che nella sua mente si incaselli al posto giusto tutto ciò che c'è da sapere.
"Kelon si portò d'istinto la mano all'orecchino di cristallo gensua ricevuto in dono da sua madre quando aveva attivato il suo potere per la prima volta, perché lo aiutasse a incanalarlo e contenerlo, rigirandoselo tra le dita com'era sua abitudine mentre rifletteva." (Capitolo 3 parte prima)
Rimanendo su questo capitolo, avrei voluto analizzare brevemente il titolo, "Il figliol prodigo", e descrivere la potenza espressiva che questa immagine instaura con il dipanarsi della trama, ma Calàudi ha reso manifesta questa forza ottenendo, purtroppo, l'effetto contrario: un'immagine metaforica che sa di vecchio.
"Lida spalancò le porte del Tribunale con un semplice guizzo del polso e si assicurò che i Paladini stessero trattando con i guanti il suo figliol prodigo prima di badare al primogenito devoto."
Durante la lettura si percepisce la grande pulizia e la cura che è stata operata sul testo e gli errori sono molto rari e facilmente trascurabili; per completezza elencherò quelli più evidenti:
"Kelon vide che la prima schiera che raggiunto il Custode, la più lunga, gli aveva attraversato l'orbita destra e forato la fronte, il cervello e poi il cranio." (Capitolo 3 parte prima) Mancanza dell'ausiliare "aveva" al participio.
"I Custodi appena fuori le porte massicce restarono sull'attenti finché Lida, e lo sproporzionato strascico del suo mantello, non sparirono dietro l'angolo, poi spiarono l'interno del Tribunale e sollevarono Thay per portarlo dai Devoti che ne avrebbero preparato il corpo per la sepoltura." (Capitolo 3 parte seconda) Il verbo sottolineato andrebbe al singolare oppure si può optare per un soggetto plurale eliminando le due virgole. Personalmente preferirei la prima, così si evita la possibile ambiguità con i verbi rivolti ai custodi.
"«Io... ho di nuovo imbracciato il fucile e ho corso verso il nemico.»" (Capitolo 5 parte prima) L'ausiliare sarebbe tecnicamente corretto, ma c'è un però: l'eccezione dei verbi intransitivi. In questo caso specifico l'azione di correre non è fine a sé stessa ("ho corso per dieci ore"), ma si concentra sul risultato dell'azione, per cui l'ausiliare corretto è il verbo essere.
A chiudere questa sezione inserirò una ripetizione concettuale in cui il testo è incappato nel capitolo 4 parte prima:
"«Non mi sorprende» replicò il senza-volto. «@!#?@! sì che è una brava comandante... Chi è il morto, comunque?»
Reskil comprese perfettamente tutte le parole pronunciate dallo sconosciuto, tutte tranne quella che intuiva fosse il nome della comandante; quella specifica parola fu come censurata e dalla bocca del senza-volto fuoriuscì uno stridio elettronico che gli ricordò le interferenze emesse dai comunicatori quando...»
Il paragrafo si concentra nell'esporre ciò che è già chiaro al lettore senza però mostrare la stranezza provata dal personaggio.
Organizzazione, struttura, personaggi
Calàudi – Sotto la superficie ci porta in un pianeta alieno abitato da esseri molto simili agli umani e dotati di capacità psichiche e magiche. Il lieve accenno all'universo e ad attacchi galattici potrebbe non essere sufficiente per categorizzare il testo come fantascientifico, ma – come ho già detto – i dieci capitoli letti sono solo la punta dell'iceberg per poter giudicare questa scelta di genere. A ogni modo, gli elementi fantasy introdotti accolgono il lettore in un mondo fatto e finito, dall'ambientazione incredibile e di cui si può percepire la profondità e la complessità. Ogni cosa non è lasciata al caso e i vari elementi sono ben integrati gli uni con gli altri in un modo originale e mai banale: il testo è un ottimo esempio di world building in cui lo scarto di comprensione – tra autore e lettore – non deriva da una mancata informazione, ma dall'esoticità che si lascia scoprire passo dopo passo.
Nota al margine: rispetto alla prima stesura, si è percepita una maggior consapevolezza dei personaggi all'interno del proprio mondo.
All'interno di questo lavoro mastodontico la trama si prende i suoi tempi e mette in scena un protagonista con una sindrome post-traumatica da stress e con l'assenza dei ricordi che torna nella sua patria. Ma prima di analizzare i personaggi, preme evidenziare delle piccole incongruenze:
"I suoi lineamenti erano severi, rudi: aveva infatti gli zigomi pronunciati, la mascella squadrata e le sopracciglia spesse, seppur curate, contratte in un cipiglio impensierito che doveva avere su per la maggior parte del tempo a giudicare dalle rughe d'espressione." (Capitolo 2 parte prima)
"Kelon sembrò scioccato per un momento, ma la sorpresa abbandonò presto il suo volto ovale e fu sostituita dalla confusione." (Capitolo 2 parte prima)
Entrambe le descrizioni sono molto efficaci nel descrivere la personalità di Kelon, ma non coincidono sulla sua fisionomia.
Nello stesso capitolo si assiste a un'altra caduta; sempre con Kelon protagonista.
"Il riccone sembrò comprendere quella tacita richiesta di aiuto e si voltò verso la ragazza per ordinare qualcosa ma, con un certo disappunto del soldato in armatura di cuoio, fu lui stesso ad avvicinarsi e non lei. Alzò il capo del ragazzo per il mento e gli toccò una tempia con le dita."
"«Non è saggio avvicinarsi così tanto al prigioniero» lo avvertì Ric, portando una mano sull'elsa..."
L'azione è già avvenuta ed è stata molto più incisiva rispetto a un avvicinamento. Dare un avvertimento quando un'azione è stata sdoganata e sta per ripetersi lo rende stucchevole. La formula potrebbe anche avere un sottinteso - ti è andata bene la prima volta, non sfidare la sorte avvicinandoti ancora -, ma è meglio disambiguare la frase esprimendo il giusto concetto.
Nel capitolo 4 parte prima, invece, si trovano i comprimari che in più occasioni chiamano il protagonista "Reskil" fino al momento della rivelazione:
"«Tu sei Revi Alon.»
"Revi... sì, è così che mi chiamo." "
Chiamare una persona con un nome diverso da quello con cui lo si conosce rende la scena artificiosa, ma mi rendo conto che il tutto era funzionale per il climax in cui il protagonista prende consapevolezza di sé. La scena potrebbe essere gestita meglio e con un po' più di realismo, magari il personaggio può chiedersi perché lo chiamino Revi oppure potrebbe correggerli dicendo "Reskil", in questo modo la sentenza finale avrà tutt'altra portata.
Per quanto riguarda i personaggi, sono tutti molto interessanti e si riesce subito a entrare nel loro modo di pensare: ciò denota una grande capacità di osservazione e di stesura da parte dell'autrice. Aspetto un po' meno semplice da gestire – e di cui l'autrice stessa ne è consapevole – è la presentazione simultanea di più personaggi; forse in questo caso varrebbe il detto "less is more".
Nel capitolo 5 parte prima, infatti, il giovane protagonista ha prima un momento conviviale con il parentado e in seguito riceve le visite singole (o in coppia) del parentado. Entrambi questi momenti, sebbene lascino trasparire la bontà, il desiderio di riconciliazione e la volontà di instaurare un rapporto, non aggiungono nulla alla trama e non ci forniscono dettagli ulteriori. L'unico elemento di svolta o di risoluzione è il sorriso che generano nel personaggio di Revi. Calàudi potrebbe operare un taglio verso uno dei due momenti e concentrarsi su quello che per il testo è più significativo; in questo modo si eviterebbe anche una ripetizione situazionale.
La figura del protagonista, Revi/Reskil, è molto interessante e inizia un viaggio interiore per rimettere insieme i cocchi della propria psiche dopo disavventure e morti apparenti. Con la rimozione del proprio passato, vive il dramma di una doppia coscienza scissa e frammentata, una vita tra i nemici conosciuti e il ritorno in una famiglia sconosciuta. È stato un uomo senza scrupoli ma si ritrova a piangere per il primo omicidio commesso nella sua "nuova" vita resettata.
La trama punta molto sul bivio identitario in cui il protagonista è costantemente gettato e in cui è portato, di volta in volta, a dover scegliere quali pezzi del proprio io accettare e quali soffocare: un moderno edipo che potrebbe redimersi dal suo passato anziché condannarsi.
Purtroppo, c'è un passaggio, sempre nel capitolo 5 parte prima, in cui queste premesse vengono dimenticate.
"«Come posso essere traumatizzato?» disse in fretta, senza lasciare a Fyn il tempo di replicare. «Sono un Nume, il Nume della guerra.»"
La linea temporale degli eventi descritti finora vede il protagonista risvegliato, catturato, condannato, graziato e osannato nel giro di qualche giorno: vita frenetica ma plausibile e ben orchestrata, la tensione arriva alle stelle ed è in grado di lasciare il lettore con fiato sospeso. Ma la rivelazione del suo ruolo gerarchico e divino gli è stata comunicata il giorno prima e si cita:
"Non aveva ancora metabolizzato appieno il fatto di essere una divinità e la conversazione del giorno precedente gli risultava sfuggente e distante come un sogno, nonostante continuasse a ripetersi in sottofondo tra i suoi pensieri." (capitolo 4 parte seconda)
Questo frammento è un ottimo esempio di caratterizzazione che rende umano Revi, che gli fa prendere consapevolezza in maniera lenta e graduale e che gli fa sedimentare la grande rivoluzione interiore che sta vivendo. Invece, il dialogo che segue il capitolo 5 vira verso un'affermazione identitaria introiettata dal verbo essere, che suona molto forte e perentorio, ma che non ha riscontri nella condizione mentale del protagonista. I ricordi che vive delle battaglie sono stati resi dal testo intimi e alieni al tempo stesso – come ci si aspetterebbe –, ma sono percepiti dal protagonista come appartenuti e centrati, come se il suo passato non fosse stato mai resettato.
Per fortuna, sbirciando le parti successive, ho notato come questo sia stato l'unico momento da rivedere per quanto riguarda l'identità di Revi e che il suo viaggio verso la completezza del sé è ancora lungo e pieno di sorprese.
In conclusione, l'opera Calàudi – Sotto la superficie possiede numerose frecce nel suo arco in grado di colpire gli appassionati del genere fantasy e del genere fantascientifico, ma anche lettori in cerca di una storia ben stratificata nel world building, nei rapporti tra i personaggi e nell'intreccio, di cui ho evitato di svelare troppi particolari. Darle un'occhiata vale senz'altro la pena.
Zhor-D
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