PROLOGO

"È colpa dei medici."
"Ma chi ha assunto il personale?"
"Dovrebbero mettere in carcere quei demoni vestiti con i camici bianchi."
"Povero piccolo, come hanno fatto a non accorgessene?"
"Dovrebbero licenziare il colpevole, bastardo."
"Che medici, ma dove la prendono la laurea? Con i punti dei cereali?"

Queste parole, queste frasi, rimbalzavano da una parete all'altra delle mie membrane, facendomi provare continue fitte a ogni colpo.
Era ciò che ognuno si era sentito la libertà di dire quando aveva saputo della morte di Lucas, il fratellino di Logan, deceduto a causa di un cancro ai polmoni non diagnosticato.
La famiglia Lerman era caduta in un lutto straziante; certo, il cancro ai polmoni si sa che è il più difficile da guarire, non sapevamo se sarebbe sopravvissuto lo stesso, ma capire che si sarebbe potuto fare qualcosa e non la si è fatta acutizza di molto il dolore.
Avevo cercato di rimanerli vicino tutto il tempo, facendo anche le cose più stupide: stavo a casa sua; compravo continuamente i fazzoletti se li finivano; li consolavo e dicevo loro che Lucas era in un posto migliore, che in quel momento lui li stava guardando dall'alto con un sorriso compassionevole, e di sicuro non li voleva vedere piangere.
Riuscii a portare a piano piano le cose a posto, con anche l'aiuto di Matthew e dei miei genitori, ma naturalmente la crepa era sempre aperta, e un vaso che va in frantumi non può essere riparato e riportato allo stato originale.
La realtà era stata straziante, ma ormai eravamo tornati alla nostra vita normale, giusto in tempo per la scuola direi.
Ma la verità più sconvolgente, però, non l'ho scoperta quando sono stata informata delle condizioni di Lucas; ma bensì quel vento gelato mi investii in una serata qualunque.
Mi trovavo in camera mia, stavo finendo di leggere un libro che i professori ci avevano assegnato per le vacanze estive, quando mio padre mi chiamò e mi chiese di andare un momento in salotto. Eravamo solo io e i miei in casa, Matthew era andato a correre come faceva abitudinalmente. Posai il libro sul letto e mi diressi in soggiorno, curiosa di ciò che avrebbero dovuto dirmi.
Quando arrivai in salotto e potei vedere le loro facce, constatai che  non era affatto una buona notizia.
Chiesi preoccupata il motivo per cui mi avevano chiamata, e mio padre, ogni tanto interrotto da mia madre, cominciò a dirmi che mi voleva bene, e qualsiasi sbaglio avesse compiuto, non era fatto apposta.
La tensione saliva, mi sedetti sulla poltrona vicino al divano, sicura che era meglio che fossi seduta, perché dovevano dirmi certamente qualcosa di terribile.
E lì arrivo.
Il freddo vento pungente della verità mi avvolse come un lenzuolo ruvido e vecchio.
E lì realizzai che il medico che continuavano a volere morto, che pagasse, che provasse lo stesso dolore che aveva provato quella famiglia, quello stesso medico che io stessa volevo che provasse le pene dell'Inferno, altro non era che mio padre.
Odiavo mio padre.
E in parte, mi facevo schifo da sola.

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