XXXVI Iris: UN FIORE NEL TASCHINO

Canada, 3 luglio 2010

Dylan se ne va. Fugge via a grandi passi.
Neanche gli avessi proposto qualcosa di dannatamente indecente, tipo rimanere a scrostare il water del mio bagno o pulire i vetri alle finestre. Deve odiare proprio tanto i pranzi in famiglia!

Lo osservo attraversare il cortile, fino al grande cancello. Non posso non sorridere della sua andatura dritta e spedita.

Come può Steve accusarlo di cose tanto brutte? Alcool, droga? Infondo con me è così gentile!
E' stato carino il suo gesto di passare a scusarsi, molto carino.

Resto un minuto in più a guardare fuori.

Dylan apre le inferriate ma, prima di uscire, fa qualcosa che mi lascia basita.
Si avvicina alla magnolia e stacca un fiore.
Lo porta al naso e lo annusa.
Poi, dopo averlo sistemato all'interno del taschino della giacca, si allontana.

Guardo l'albero. Guardo la strada dove Dylan pian piano scompare.

"Allora, bambina mia, come è andata la tua mattina?" Mio padre posa un braccio attorno alle mie spalle, riportandomi al presente, ai problemi, alle scelte.

Chiudo la porta e lo seguo in cucina.
Accantono in una parte del cervello l'immagine di Dylan, del fiore nel suo taschino e dei suoi gesti sorprendenti. "Bene, ci sono alcune novità" dico.

Mio padre si appresta a imbandire la tavola. Dall'odore di formaggio e cipolla che c'è in cucina, pare che abbia preparato la Poutine.

"Il signor Cox ha ricevuto una donazione da parte di una associazione. Ha deciso di destinare i soldi ricevuti alle mie cure. Ha detto che sarò coperta fino alla fine di questo anno"

Papà fa scivolare la salsa sulle patate. "Magnifico!" ostenta un sorriso.

Prendo dal cassetto i miei integratori e li mando giù con un sorso d'acqua. "Solo...magnifico?" alzo le sopracciglia, "sai cosa significa? Che tu non dovrai fare nessun doppio turno ed io non dovrò cercarmi un lavoro per questa estate, è molto più che magnifico!"esclamo.

Papà si siede e io faccio altrettanto, posizionandomi proprio di fronte a lui.

"C'è anche un'altra cosa" rubo una patatina dal vassoio. "Sono in lista" comunico freddamente.

"Vuoi dire...quella lista?" Lui spalanca gli occhi.

"Già" annuisco, "la lista per il trapianto"

Il mio vecchio scatta in piedi.
Posa le mani sul tavolo e fa un paio di respiri profondi.
Come me, sa cosa significa essere in lista di attesa. Vuol dire cambiamento. Vuol dire
una possibilità di vita migliore.
Poi pian piano alza la testa e mi guarda dritta negli occhi. Lui mi conosce, può leggervi tutto dentro, tutto quello che ci sta passando in questo preciso istante.

"Hai paura, bambina mia?"

Le sue pupille tremano e anche le mie.

Annuisco.

Lo osservo fare il giro del tavolo, fino ad arrivare al mio fianco. Mi tira sù quasi di peso e mi abbraccia. Mi stringe così forte da fare quasi male.

Quando mi lascia andare, il suo viso è appena contratto. Una lacrima gli scende dagli occhi fino al collo. Se la asciuga con la manica della maglia.

"E' la tua occasione" dice, "la tua vera occasione!"

Ci sediamo di nuovo a tavola e riprendiamo a mangiare.
Quest'oggi non è come gli altri giorni.
E' diverso.
E' uno di quei giorni che fa da spartiacque della tua vita.
Uno di quei giorni, dopo il quale vivere non è più identico a prima.
***

Dopo cena mio padre telefona ad Eva, mettendola al corrente sulla notizia.

Mia sorella vuole parlarmi, così papà mi passa il cordless. Rose mi riempie la testa con insensate domande sui nuovi polmoni che mi metteranno. Ha dieci anni, ma certe volte sembra proprio una bambina di cinque.
I suoi perchè sono davvero ingenui e assillanti.

Quando chiudo la chiamata, sono ancora più stanca e confusa.
Papà mi bacia la fronte, augurandomi la buonanotte.

Salgo le scale fino alla mia stanza.
Mi guardo intorno. Il letto ben rifatto, l'armadio in legno bianco e i peluche ordinati sulle mensole. Cerco di imprimere a fuoco nella mente ogni singolo particolare.

In questo momento tutto il mondo mi gira  intorno, mentre io sono ferma e immobile ad osservarlo.

Da adesso in avanti, ogni attimo, ogni singolo istante il mio cuore fremerà nell'attesa di una chiamata.

Non credevo che essere inserita in una semplice lista fosse così angosciante.
Non credevo che avrei avuto tutto questo terrore.

Mi preparo per dormire con una svogliatezza fuori dal comune.
Non scrivo sul diario, non fingo di avere vicino le rassicuranti e lisce mani di Dylan.
Mi stendo sopra la coperta e fisso la maschera della mia fisioterapia respiratoria.
Seguo i suoi contorni, fin quando la vista non regge più. Si sfuoca, si fa pesante, lasciandomi addormentare. O meglio, finire in un dormiveglia poco rassicurante.

Nella mia testa frullano immagini impazzite di organi, sangue, salette operatorie.
Viaggiano flash di morte e rinascita.
Un mix che mi fa saltare a sedere sul letto, impaurita e in una pozza di sudore freddo.

Sono appena le dieci e quaranta minuti, quando ho un'idea. Un lampo di genio vero e proprio.

E se il trapianto non fosse necessario?
Se il dottor Cox si stesse sbagliando e avessi ancora del tempo per pensarci e aspettare?

Forse i miei polmoni non sono poi così deboli come tutti pensano.
Sono polmoni di una diciannovenne.
Sono ancora giovani.

Decido di alzarmi.
Mi lavo la faccia e il collo, ripulendoli dal brutto sogno.

Mi affaccio all'armadio e con determinazione, scelgo una tuta e una maglia adatti.
Indosso le scarpe da ginnastica e lego i capelli con una fascia.

Scendo al piano inferiore, decisa ad affrontare le vie notturne di Banff.
Sono mesi che non faccio una corsa come si deve. E' giunto il momento di mettermi alla prova.

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