XXXIX Dylan: ANIMA A METÀ
Canada, 4 luglio 2010
Iris piange tra le mie braccia.
Lo fa per alcuni minuti, anche se a me sembra un tempo infinito.
E' la prima volta che mi capita.
Non è il mio forte né ascoltare, né consolare qualcuno. Spero solo di non essere troppo impacciato nel farlo.
Le parole di Iris si sono fatte largo tra i pori e mi sono entrate sotto pelle, dritte fino all'anima. L'hanno fatta vibrare.
Non avrei mai pensato che la mia coscienza potesse tremare, ma questa notte è successo. Qualcosa dentro di me si è mosso.
Qualcosa di profondo e inspiegabile.
"Scusami" dice Iris, tornando a sedere in modo composto. "Non avrei dovuto assillarti con tutti i miei problemi"
Incrocio di nuovo i suoi occhi. Sono rossi, gonfi. Sono occhi che hanno sofferto e stanno ancora soffrendo.
"A quest'ora avresti dovuto essere a letto a dormire, invece sei qui ad asciugare le mie lacrime"
Spingo i piedi a terra, attivando il leggero dondolio del marchingegno sul quale siamo seduti. "Non preoccuparti, tanto non riuscivo a dormire" la rassicuro.
Iris appoggia la testa sul cuscino.
E' girata in parte e mi guarda mentre spingo entrambi avanti e indietro.
Il silenzio si impadronisce dell'aria.
Qualche lucciola si rincorre in mezzo al prato, tra l'odore dei fiori, sospinto magicamente dal vento.
Frugo nella tasca dei jeans alla ricerca del mio pacchetto di sigarette.
Ne accendo una.
Iris mi guarda quasi sconvolta e capisco che ho commesso un errore.
Non dovrei fumarle vicino.
Non è affatto buono per la sua salute.
Mi alzo e faccio qualche passo nel prato.
Inalo e butto fuori il tabacco.
Il fumo si perde nella notte.
"Da quanto tempo fumi?" Il volto di Iris è illuminato appena dai raggi della luna.
E' pallido e stanco, ma ha qualcosa di inspiegabilmente bello.
"Non ricordo" alzo le spalle, "forse da sempre"
Iris ferma il dondolo, si alza in piedi e mi raggiunge. " Voglio farlo anche io" dice.
I suoi occhi sono improvvisamente sicuri e anche il tono della sua voce lo è.
Niente più lacrime, niente più singhiozzi.
"Non puoi!" replico.
"Per favore" mi fissa, " lascia che provi!"
"Potrebbe farti del male, potrebbe..."
"Un tiro non mi farà niente!" dice.
E' testarda. E' fermamente decisa.
Guardo la sigaretta che ho tra le dita.
La rigiro un paio di volte e poi gliela porgo.
Finirò all'Inferno. Già lo so!
La Luna non è mai stata un posto adatto per tipi come me.
Iris prende la cicca e la porta alla bocca.
Le sue labbra si schiudono sulla cartina come se lo avessero fatto milioni di altre volte, pur non conoscendola.
Le sue guance rientrano mentre inspira.
Poi lascia andare il fumo, che finisce dritto sulla mia faccia.
"Ecco!" mi restituisce il corpo del reato.
Riprendo la sigaretta e guardo Iris dritta negli occhi.
Lei sostiene il mio sguardo, " Tu sei la prima persona che mi ha fatto sentire come una ragazza normale" si volta e torna a sedersi sul dondolo.
***
Le prime luci del mattino mi svegliano.
Apro gli occhi.
Ho la schiena dolorante e non ho più alcuna sensibilità al braccio destro.
Mi guardo intorno.
La luna e le stelle hanno lasciato il posto ai fuochi raggi di sole.
Mi trovo nel giardino di casa Sanders.
Sono in jeans e pigiama e sto stringendo al mio corpo quello addormentato di Iris. Per essere precisi la testa della ragazza è posata contro il mio petto e la sua gamba sinistra è accavallata alla mia destra.
Con estrema cautela mi libero della sua persona. Faccio attenzione a non svegliarla.
A giudicare dall'aria fresca e la scarsa luminosità, è ancora molto presto.
Probabilmente appena l'alba.
Mi metto in piedi, sistemandomi la maglia stropicciata.
Sbadiglio e mi stiro, cercando di acquisire di nuovo il controllo di me stesso.
Iris per fortuna continua a dormire.
Le sistemo meglio la mia giacca sul corpo e lascio che riposi.
Mi allontano con cautela, scavalco di nuovo il grande cancello e mi riporto sulla strada principale.
Non devo essere una bella visione, a giudicare dalle facce dei pochi passanti che incrocio nel mio cammino, ma non è che la cosa mi importi più di tanto.
Sono indolenzito e confuso.
Esageratamente confuso!
L'unica cosa che voglio è arrivare prima possibile alla dependance, prendere asciugamano, vestiti puliti e infilarmi sotto la doccia dei Cox.
L'idea che mi aspetti una mattina intera di lavoro mi butta ancora più a terra.
Unica consolazione è quella di rivedere Iris, anche se, in realtà, è soltanto da cinque minuti che l'ho lasciata.
Quando arrivo alla tenuta però il mio desiderio si appanna, fino a sfumare completamente.
Di fronte alla porta della dependance c'è Steve, accoccolato ad accarezzare un grosso gatto bianco. Deve essere il vecchio felino di famiglia.
Non appena il rampollo di casa Cox mi vede arrivare si solleva in piedi. Non ha affatto una buona cera. E' scuro in volto, quasi livido.
Improvvisamente non ho più tutta questa fretta di rincasare. Rallento i miei passi, fino quasi a fermarmi.
"Cos'è? Hai paura?" Steve punta le mani sui fianchi, "un ragazzo di città come te..." ride falsamente.
"Non ho paura dei moscerini" riprendo a camminare, "sono soltanto insetti insignificanti e fastidiosi!"
Steve stringe la mascella.
Guardo i suoi pugni. Li studio attentamente. Questa volta desidero essere pronto in caso voglia procedere a una scazzottata.
"Dove sei stato tutta la notte?" chiede.
Mi posiziono esattamente di fronte a lui. "Non capisco il motivo per il quale devo renderti conto di ogni mio spostamento!"
"Dove sei stato?" ripete, ignorando completamente la mia affermazione. "Non hai affatto una bella faccia e neanche un bell'abbigliamento" mi squadra da capo a piedi.
Sbuffo e mi porto avanti, spintonandolo appena. Voglio entrare in casa e chiudermi lui e le sue domande il più fuori possibile.
Steve gonfia il petto e mi restituisce il colpo con una spalla. In realtà mi spinge proprio indietro, con tutta la forza che possiede.
"Vuoi finirla?"mi faccio sentire, "non hai davvero nient'altro da fare che rompermi le scatole?"
"Tu dimmi dove hai passato la notte e io ti lascerò in pace!" mi afferra saldamente per il colletto del pigiama.
Prendo i suoi polsi tra le mie mani e lo strattono, riuscendo a liberarmene.
Apro la porta della dependance.
Steve però non si arrende, mi si avventa ancora una volta contro, spingendosi dentro insieme a me.
"Sei stato da Iris, non è vero?" I suoi occhi sono lucidi adesso.
Non rispondo.
Mi limito a sostenere il suo sguardo.
"Cosa hai fatto, Dylan?" Di nuovo le sue mani sono attaccate al colletto della mia maglia. "Hai provato a baciarla? Ci sei andato a letto?"
Lo stringo contro l'anta della porta. "Tu sei decisamente fuori di testa!"gli sputo in faccia.
"Chi sei Dylan Prince?" assottiglia i suoi occhi contro i miei. "Cosa vuoi dalle nostre vite?"
"Non sono nessuno e non voglio niente dalle vostre vite" sbuffo, facendo un passo indietro. "Figurati! Non so cosa farne neanche della mia!"
Steve si fa di nuovo spazio nella stanza.
La sua attenzione si sposta sul divano.
I suoi occhi sono catturati da qualcosa che, distrattamente, ho dimenticato sopra.
"Cos'è quella?"
Osservo il corpo del reato. "Una bottiglia vuota"
"E' birra!" grida Steve.
"Era birra" preciso, "e allora?" alzo le spalle.
Lui mi guarda in modo strano. "Allora non dovrebbe stare qui!" si lancia sulla bottiglia, afferrandola con entrambe le mani. "Tu sei un alcolista, fai uso di sostanze, stai portando l'amoralità in questo tranquillo paese!"
Non posso fare a meno di ridere.
Non so con chi abbia parlato, ma a quanto pare lo hanno male informato. Per quanto l'alcool sia il mio migliore amico, non mi ritengo un alcolista. E non faccio nemmeno uso di sostanze. Odio anche Tara e Brian quando sniffano quella roba schifosa.
Steve mi guarda storto. "Adesso andrò a dire a mio padre che hai infranto le regole, così la finirai di fare lo spiritoso!"
Faccio un passo avanti, portandomi a una spanna dal suo viso. "Tu non dirai niente a nessuno!" lo minaccio.
"Altrimenti?" mi punzecchia.
"Altrimenti anche io riferirò a tuo padre qualcosa...ti dice niente un certo nascondiglio, un certo giornaletto di cultura alternativa e certi palloncini di gomma..."
Il volto di Steve si fa roseo, poi rosso e infine violaceo. Credo che voglia incenerirmi con la sola imposizione dello sguardo.
"Tu, non lo farai!" dice.
"Neanche tu!" faccio spallucce.
Steve scuote la testa e lascia andare la bottiglia, che finisce malamente a terra.
Il suono che produce è sordo, attutito dal tappeto.
Osservo il giovane Cox raggiungere l'uscita e fuggire di corsa. Poi sposto l'attenzione sul vetro. Si è rotto in due grandi pezzi.
Non ne capisco il motivo, ma è come se lo fosse anche la mia anima. Rotta a metà.
Dylan Prince di New York.
Dylan Prince di Banff.
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